"L’armonia
è la chiave per salvare il mondo, solo così possiamo sognare giustizia e
bellezza"
-
di Vito
Mancuso
La
leva dell’intelligenza ci ha innalzati come teorizzava Archimede, ma serve una
fede a cui appoggiarsi. Filosofia, religione o politica offrono una
soluzione a patto di non crederle immobili, perché nulla lo è.
Immaginatevi
(com’è capitato a me) di dover esporre pubblicamente quale sia la vostra
filosofia di vita, la vostra scala di valori, il punto di appoggio della vostra
mente per orientarvi nel mondo: quale sia insomma il vostro “ubi consistam”.
L’espressione latina è tratta dalla frase pronunciata da Archimede dopo aver
scoperto il principio della leva: “Da ubi consistam et terram caelumque
movebo”, “Datemi un punto d’appoggio e solleverò la terra e il cielo”. Qui
però non è in gioco un punto di appoggio materiale, quanto piuttosto il punto
di appoggio immateriale necessario alla coscienza per non smarrirsi nel
labirinto della vita. Ebbene, come rispondereste?
Ad
Archimede nessuno fu in grado di dare il punto di appoggio fisico richiesto e
il mondo proseguì nel suo corso regolare. E fu proprio questa regolarità
cosmica a costituire lungo i secoli il punto di appoggio mentale degli esseri
umani. Così Shakespeare illustrava la situazione: “I cieli, i pianeti, e questa
terra ch’è centro di ogni cosa, rispettano grado, priorità, rango, stabilità,
corso, proporzione, tempo, forma, dovere e fedeltà col massimo rigore” (Troilo
e Cressida, I,3). Su questa cosmologia si appoggiavano la religione e la
politica, l’etica e l’estetica, producendo ciò che nella sua bellissima
autobiografia intitolata “Il mondo di ieri” Stefan Zweig definiva “il mondo
della sicurezza” …
Oggi
le cose sono cambiate. La leva dell’intelligenza umana è effettivamente
riuscita a sollevare il mondo come sognava Archimede. Da qui lo scardinamento
dell’antica cosmologia, della religione, dell’ideologia politica, dell’etica,
dell’estetica, della socialità. Tutto il mondo di ieri, oggi, non esiste più.
Si trattava di un lavoro che andava fatto? Penso di sì, ma la conseguenza è che
noi ora siamo rimasti privi di punti fermi che ci consentano di avere un
terreno comune su cui costruire anche solo un minimo di comunità. Il mondo di
ieri faceva pagare la sicurezza e l’unità conferite negando libertà e diritti
dei singoli, il mondo di oggi assicura libertà e diritti ai singoli ma lo fa
sgretolando i valori e generando solitudine e insicurezza. Siccome però il
primo bisogno della mente è la sicurezza (avvertita più urgentemente anche
della libertà), da tale insicurezza deriva un malessere generale il cui nome
più preciso è: paura.
La
paura conosce diverse gradazioni: preoccupazione, inquietudine, timore,
agitazione, ansia, tremore, smarrimento, sgomento, spavento, fobia, orrore,
panico, terrore. Ma una cosa è certa: essa si vince ritrovando sicurezza, e la
sicurezza necessita di un punto fermo archimedeo su cui sollevare non dico il
mondo, ma se stessi rispetto al mondo. Ovvero: datemi un punto fermo e mi
solleverò dal mondo. E una volta lassù con la mia mente, il mondo mi farà meno
paura e il mio respiro tornerà normale. Ma esiste un punto fermo a cui la mente
si possa appoggiare?
L’atto
di fede costituisce la posizione di un punto fermo per esercitare su di sé il
movimento della leva. Ci si appoggia a quel punto e si solleva se stessi. Forse
è la missione più importante della vita: sollevare se stessi e così vincere le
proprie paure.
Esattamente
come scriveva Etty Hillesum: “In fondo, il nostro unico dovere morale è quello
di dissodare in noi stessi vaste aree di tranquillità, di sempre maggior
tranquillità”.
Solo
dalla serenità interiore infatti scaturisce una vita autenticamente capace di
bene, di giustizia, di vera bellezza.
Ma
in che cosa avere fede? Qui il discorso si fa strettamente personale, si può
avere infatti una fede religiosa, una fede filosofica, una fede politica o
ancora di altro tipo. Un tempo si cercava il punto fermo in cui avere fede
pensando che qualcosa (Dio, il partito, la scienza…) potesse essere immobile,
o, teologicamente parlando, infallibile, poi però si è capito che in realtà
nulla sta fermo e nessuno è infallibile. Anche quando siamo fermi, ci troviamo
su un pianeta che gira su di sé a una velocità di 1700 km/h e che ruota attorno
al sole alla velocità di centomila. Nei nostri corpi poi è tutto un continuo
movimento: cellule che nascono, cellule che muoiono, microrganismi del nostro
microbiota che ora combattono ora collaborano, e mille altri incontrollati
processi. Nulla sta fermo fuori di noi, nulla sta fermo dentro di noi. Noi
quindi oggi possiamo onestamente ottenere un punto d’appoggio per la nostra
fede solo a condizione di non ricercare un punto fermo che sia immobile, perché
non c’è nulla che lo sia (e se, ciononostante, lo facciamo, cadiamo nel
dogmatismo e nella durezza ideologica). Un punto fermo si può dare solo a patto
che non sia immobile: ecco la condizione per avere un punto di appoggio per noi
postmoderni.
Per
questo la mia fede, che riprendendo Jaspers definisco “fede filosofica”, è fede
nell’armonia quale logica complessiva del mondo e della vita. Il mio punto
fermo ma non immobile è dato dall’armonia e dalla sua ricerca. In tutto questo
incessante mutamento che produce spaesamento io tento come posso con la mia
vita e il mio lavoro di inserire in me e fuori di me energia positiva
finalizzata alla costruzione di armonia. Più c’è armonia, più c’è vita sana:
questa è la mia verità.
A
proposito di verità, un giorno mi colpì il fatto che in latino il termine
verità (veritas) ha la medesima radice del termine primavera (ver).
Non credo sia una mera coincidenza.
Anzi,
a mio avviso questo legame tra verità e primavera attesta che originariamente
il concetto di verità non aveva a che fare con la mera esattezza (verità
scientifica) né con un’immutabile dottrina (verità religiosa), ma con il
dinamismo naturale che fa fiorire e rifiorire la vita: cioè, con l’armonia in
quanto capacità di aggregazione. Per questo, inoltre, il colore primaverile per
eccellenza venne denominato “verde” (in latino virĭdis).
Si
tratta di un dato che va attentamente considerato: le radici della nostra
lingua ci consegnano la radice “vr” connessa alla primavera e alla verità, la
quale perciò non va intesa come formula o come dottrina, ma come energia e
informazione che fa fiorire e rifiorire la natura. Come armonia.
Ora
scusatemi, ma invito chi ha letto fin qui a pronunciare ad alta voce la radice
“vr” di veritas; anzi, la seguente sequenza: “vr vr vr vr vr”. Non
sentite come il suono di un motore che cerca di mettersi in moto? Che cos’è
questo motore? Io credo che qui abbiamo a che fare con la riproduzione, intuita
dalla mente archetipale, della vibrazione originaria dell’essere come motore
che genera vita, dell’essere come energia. Energia etimologicamente significa
“al lavoro”, in questo caso potremmo dire “in moto”.
Mediante
la radice vr la mente antica della nostra civiltà giunse a cogliere l’energia
che mette in moto e produce lavoro e così a esprimere l’armonia. Noi siamo
all’interno di questo processo e più saremo conformi alla sua logica
relazionale servendone la fioritura, più a nostra volta fioriremo. Ecco il mio
“ubi consistam”.
Il
punto fermo ma non immobile dell’armonia quale logica profonda della vita è
stato colto da tutte le grandi civiltà dell’antichità e denominato in vari modi
tra cui “logos, dharma, tao, hochmà, maat”. Per me il nome più bello è “sophia”,
e per questo vivo il mio “ubi consistam” come philo-sophia: come
servizio amorevole della logica più profonda della vita.
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