A cadenza regolare, ogni
anno, l’attenzione del mondo è focalizzata sui vertici dei cosiddetti “Grandi
della terra”. Li vediamo riuniti attorno a tavoli perfettamente addobbati,
sorridenti, in mezzo a bandiere multicolori, disposti in ordine rigorosamente
protocollare per la “foto di famiglia”. Dovrebbero decidere - si presume
- i destini del pianeta, risolvere conflitti e crisi umanitarie. Quando quelle
riunioni finiscono, tuttavia, troppo spesso le guerre proseguono o addirittura
ne scoppiano di nuove, le crisi si acuiscono, le tregue non tengono, i deboli e
specialmente i bambini continuano a morire. Eppure, basterebbe ascoltarli.
Dostoevskij coglie perfettamente la giocosa serietà e la competenza innata dei
bambini: «I grandi non sanno che, perfino sulle questioni più difficili, un
bambino è in grado di dare un consiglio assolutamente serio». Giovanni Pascoli
riteneva che in ognuno si celasse un «fanciullino», ovvero la capacità di
guardare alla realtà con uno sguardo capace di coglierne la meraviglia, di
intuire la struttura profonda del mondo. Il Presidente della Repubblica,
Sergio Mattarella, nel suo recente discorso al Bundestag, ha denunciato
«l’applicazione sistematica della ignobile pratica della rappresaglia contro
gli innocenti». Innocente, etimologicamente, significa colui che “non
nuoce”: in-nocens. Non solo colui che non ha colpe passate, ma che,
in assoluto, non può averne. La cartina di tornasole del potere, da quello
municipale a quello imperiale, è proprio come tratta gli innocenti.
Le zone di conflitto
Oggi, secondo l’Unicef,
un bambino su sei nel mondo vive in una zona di conflitto. In Ucraina, oltre
2.400 bambini hanno perso la vita, molti sono stati sottratti alle loro
famiglie e condotti in Russia. La crisi umanitaria del Sudan per i bambini è,
per numeri, la più grande al mondo. Migliaia di minori sono morti per via della
guerra tra le fazioni militari, le malattie, la carestia, le atrocità. A
Gaza, l’Unicef riporta che 18.430 minori sono stati uccisi o gravemente
menomati. E per quelli sopravvissuti non basta accoglierli, come pure è
doveroso, necessario, urgente, nei nostri ospedali, se non ci si chiede chi li
ha ridotti in tale stato - amputati, traumatizzati, cronicizzati nelle malattie
indotte da guerrieri vili, che prendono di mira gli indifesi ed i deboli. Non
basta dire che sono stati oltrepassati i limiti, se non si indentificano – essi
sì – i veri colpevoli, se non si fa nulla per fermarli, se non ci si adopera
affinché rispondano dei loro crimini, se non si risale alle responsabilità politiche
ultime.
Un infanticidio differito
Troppi minori vengono
reclutati e impiegati nei conflitti armati in tutto il mondo. Tra il 2005 e il
2022, oltre 105.000 bambini sono stati schierati dalle parti in conflitto, ma
il numero effettivo dei casi è sicuramente molto più alto. Ragazzini costretti
a impugnare un’arma invece di una matita. Tutto ciò, nonostante il fatto che la
Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, adottata dalle
Nazioni Unite nel 1989, sia ad oggi il Trattato più ratificato, ma forse anche
tra i meno rispettati, della storia. Un grande polemologo, Gaston
Bouthoul, concepiva la guerra come un infanticidio differito. Riprendendo
questa terribile verità in chiave letteraria, Oriana Fallaci scriverà, in Lettera
ad un bambino mai nato, che «la guerra è un infanticidio in massa, rinviato
di vent’anni». Ma alla guerra generalizzata non corrisponde una pace generica:
di paci ce ne sono almeno tre tipi, come suggeriva Johan Galtung. La Pace
Diretta è la semplice assenza di violenza fisica o diretta, come nei conflitti
armati o nella violenza individuale. Ma – per quanto essenziale – è solo una
condizione di base, non sufficiente a garantire una pace duratura. C’è però
bisogno anche della Pace Strutturale, che riguarda la rimozione delle ingiustizie
sociali ed economiche, le disuguaglianze e le strutture oppressive che
impediscono l'accesso equo alle risorse, ai diritti e alle opportunità.
La pace culturale
Ma soprattutto c’è la Pace Culturale, che riguarda le attitudini, le ideologie e le convinzioni che ammettono o addirittura giustificano la violenza e l’intolleranza. La pace culturale promuove il rispetto, la comprensione reciproca e la non-violenza, non solo a livello individuale, ma anche a livello delle comunità e della società. Si costruisce attraverso l’educazione e la diffusione di valori di empatia, solidarietà e cooperazione. In Colombia, dal 2014 è in atto un’iniziativa educativa esemplare: la creazione di una “cattedra della pace”. Una legge introduce in tutte le scuole del Paese un insegnamento obbligatorio volto a promuovere competenze di convivenza, mediazione e cittadinanza democratica. In Italia, anche senza aspirare a tanto, il prossimo 20 novembre, in occasione della Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, si potrebbe lanciare l’iniziativa del “banco vuoto”. Un banco lasciato libero per ricordare le vite spezzate di tutti i bambini ed i ragazzi che la guerra dei grandi ha sottratto al futuro del mondo. Un banco da cui gli alunni, a turno, potrebbero condividere riflessioni, proporre azioni, esprimersi creativamente, o semplicemente colmare, anche con il semplice silenzio, una tragica assenza con una presenza. Sedersi in rappresentanza dei loro coetanei che non ci sono più. La grande strategia è importante, ma altrettanto lo è la micro-fondazione della pace. Se è certamente necessario perseguire la Pace con la maiuscola, altrettanto indispensabile è costruire con tenacia, giorno per giorno, tante piccole “paci”.
Alla guerra dei grandi, rispondere con la pace dei piccoli.
www.avvenire.it

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