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giovedì 25 aprile 2024

LA PREGHIERA DI GESU'




- di P. Giuseppe Oddone



 Premessa

Il terzo sussidio presentato dal Dicastero per l’evangelizzazione, pubblicato sempre dalla Libreria editrice vaticana, per aiutarci a vivere questo anno di preghiera, ha il titolo “La preghiera di Gesù”.

E’ stato scritto da Juan López Vergara, biblista messicano, docente all’Instituto Bíblico Católico di Guadalajara. La tesi di fondo è questa: “Un desiderio profondo abitava Gesù: è essenziale per lui essere con il suo Abbà. La sua preghiera è incessante ed instancabile”.

L’autore, con una operazione per alcuni aspetti soggettiva e anche discutibile, trasforma in preghiera venti episodi significativi del Vangelo. Entra nel cuore di Gesù di Nazareth, rivive il mistero della sua filiazione unica, dal Battesimo alla sua morte in croce, e dopo una breve presentazione del passo evangelico e la sua trascrizione immagina di ricostruire l’orazione che fiorisce sulle labbra di Gesù rivolta al Padre, il suo Abbà. Lo fa anche con un tocco di poesia e di psicanalisi, perché nella sua preghiera Gesù rivive anche alcuni aspetti della sua infanzia, in particolare col suo papà terreno Giuseppe e con sua madre Maria.

L’autocoscienza di Gesù

Occorre tuttavia tener presente quanto il magistero ordinario della Chiesa, facendo riferimento alla predicazione degli Apostoli, ai Vangeli Sinottici, ed al Vangelo di Giovanni ha precisato sull’autocoscienza di Gesù. Si può riassumere in quattro affermazioni: Gesù aveva coscienza di essere il figlio unico di Dio ed in questo senso di essere egli stesso Dio; Gesù aveva chiaro lo scopo della sua missione di Messia: annunciare il regno di Dio e renderlo presente nella sua persona; Gesù era consapevole di fondare la “sua” Chiesa, costituita poi in modo definitivo negli avvenimenti della Pasqua e della Pentecoste, per continuare la sua missione; Gesù sapeva di morire per tutti e non escludeva nessuno dal suo disegno di salvezza. Ciò non toglie tuttavia che l’autocoscienza di Gesù abbia avuto un suo sviluppo, perché egli è completamente uomo con un corpo, un’anima, una volontà umana, dei sentimenti, delle reazioni alle persone ed agli avvenimenti imprevisti che via via la vita gli presenta.

Il Vangelo è esplicito su questo punto: “Gesù cresceva in sapienza, in età e in grazia davanti a Dio ed agli uomini” (Lc. 2.52).

Il ricordo di Giuseppe

La crescita di Gesù in sapienza, in grazia, in consapevolezza umana della sua realtà e missione di Figlio di Dio è la linea scelta dall’autore. Nel ricostruire i sentimenti e la preghiera di Gesù riaffiora spesso il ricordo dei suoi genitori terreni. Così dopo l’incontro di Gesù con i suoi compaesani a Nazareth, egli prega così: “Abbà, ogni sabato il custode permetteva a mio padre di avvicinarsi ai rotoli sacri. Egli li baciava con riverente pietà. Pieno di ricordi mi ritrovai a piegare a posare la mia testolina sul suo petto. In uno slancio spontaneo mi baciò ed abbracciò la fronte con la stessa riverenza con cui baciava i rotoli sacri. In quell’eterno istante ho sentito il mio essere risplendere della sacralità del mistero. Sì, era un uomo semplice, con la gloria degli umili, convinto che la vita è bella e vale la pena di essere vissuta… Il sentimento dominante verso di lui, che abita il mio essere fin dall’infanzia, è intriso di enorme gratitudine, caro Abbà” (pag. 35).

Il ricordo più intenso di Giuseppe riemerge quando Gesù eleva al suo Abbà la preghiera dopo aver insegnato ai discepoli il Padre nostro, quasi un’eco delle preghiere che egli aveva imparato nella sua casa di Nazareth: “Mio padre aveva un carattere piacevole, ma solenne. Irradiava pace, Abbà… aveva l’anima rivolta verso di te. Quanta fiducia aveva nella tua amorevole bontà… ho mantenuto un profondo affetto per lui. C’è un motivo di gioia ancora più grande: lui custodiva un mistero, che io percepivo instaurarsi nella sua anima alla fine della giornata, quando credendo che dormissi veniva presso il mio letto a darmi un ultimo bacio e, non senza alzare gli occhi a te, pronunciava una preghiera… Mi ha insegnato che senza fiducia non si può vivere.

La fiducia è comunione. E quella immensa fede aperta alla tua immensità è una delle benedizioni più dolci che ho ricevuto da te, Abbà, attraverso papà, che ricordo con una ammirazione sempre rinnovata” (pag.61-62). E anche quando Gesù eleva la preghiera dopo aver raccontato la parabola del Padre misericordioso e del figliol prodigo, riaffiora il ricordo di Giuseppe, quasi una proiezione del padre della parabola: “Nella mia adolescenza, di fronte alle richieste di mia madre, mentre ero a Gerusalemme per la Pasqua, le espressi il mio incontro con Te in mezzo ai maestri… Quando mi riferii a te come mio Padre, guardai Giuseppe e gli sorrisi. Lui abbassò la testa con gli occhi bagnati di lacrime. Questa reliquia di infanzia mi ha segnato, potrei chiamarti così senza il suo esempio, Abbà? Sempre sensibile alle tue benedizioni, mi diceva di ringraziarti perché sei buono, perché il tuo amore è eterno. Lui e mia madre mi hanno insegnato a fare della mia vita una preghiera di gratitudine” (pag. 116).

Il ricordo di Maria Anche il ricordo di Maria ritorna nelle preghiere che Gesù eleva al suo Abbà. Mentre Gesù è tentato da Satana, il pensiero rivolto a sua madre gli fa superare la prova e gli testimonia che Lui stesso è la Parola: “Si trattava della mia santa madre che, all’alba di un giorno luminoso, con amorosa sollecitudine contemplativa gustava il mistero della tua Parola. Sembrava che la sua anima fosse sempre in preghiera. Lei aveva fissato i suoi occhi nei miei, facendomi capire che la tua Parola aveva un nome. Questo lo doveva aver sperimentato con grande forza, al punto di sentirsi figlia del suo Figlio” (pag. 25-26). A Cana di Galilea Gesù compie il primo dei suoi prodigi; non era tuttavia nei suoi programmi, tanto che egli sembra inizialmente respingere sua madre. Ma è determinante l’incoraggiamento di Maria con il suo sguardo materno, come se gli dicesse: “Vai, è il tuo momento! Lo devi fare!”. Ella dilata l’anima di Gesù ed accelera l’inizio del Vangelo, manifesta la gloria del Figlio e suscita la fede dei discepoli. “Le sue parole, Abbà, non si adattavano al mio piano di vita! Lei, impregnata di tenerezza che sgorga dal suo cuore puro ed umile, fece finta di nulla ed ordinò ai servi di fare ciò che io avrei detto loro. E, nonostante che il progetto fosse turbato, Abbà, ho sentito un raggio di luce percepibile che circolava tra le parole di mia madre….

Abbà, la mia anima si è dilatata. Ho ricevuto una lezione dalla mia santissima madre. Lei è sempre rimasta colma della tua grazia e sorpresa dalla tua parola” (pag. 41-42). Il pensiero di Maria riemerge quando Gesù è inchiodato alla croce e promette al buon ladrone il paradiso. In quel momento Gesù percepisce e comprende pienamente il mistero della sua identità di Figlio di Dio, ricordando il ritorno dei suoi genitori a Nazaret dopo il suo ritrovamento nel tempio. “Un ricordo mi ha segnato, Abbà… Giuseppe fece capire a mia madre che il mio comportamento lo aveva sorpreso. La mamma in un lampo di chiaroveggenza rispose che, se ero un mistero per lui, lo ero ancora di più per lei, e ancora di più per me stesso, che portavo un mistero impossibile da condividere. Questo mistero che mi dà un chiaro senso di identità, finalmente lo capisco, mentre prometto a questo buon malfattore pentito che oggi sarà con me in paradiso” (pag. 141).

L’autore del sussidio “La preghiera di Gesù” si abbandona anche a desideri e a ipotesi personali, non condivise da tutti o per lo meno incerte, non oggetto di fede. Gesù sulla croce prega per la salvezza eterna di Giuda e viene esaudito nel ricordo delle parole di Maria: “Nulla è impossibile a Dio”. Gesù stesso sulla croce ha un dubbio e si chiede se l’inferno non sia vuoto: “Abbà, non ho mai negato l’esistenza dell’Ade, il luogo della punizione eterna, ma ci sarà qualcuno lì dentro?” (pag.135). Ma la concreta possibilità di finire nell’inferno ossia nella lontananza eterna da Dio è chiaramente proclamata nel Vangelo: ”Lontano da me!” (Mt. 25,41).

Nella nostra libertà noi possiamo costruirci orientandoci verso Dio o separandoci da Lui: in questa libertà vi è la grandezza e la dignità della persona umana che deve compiere nella vita delle scelte che riguardano il suo eterno destino. Dio chiama tutti alla salvezza, ma non costringe nessuno; Lui solo sarà il nostro giudice e salvatore e noi non possiamo dire con certezza di nessuno, nemmeno di Giuda, che è dannato. 

L’unione di Gesù con il suo Abbà

Nei venti episodi evangelici presentati dall’autore si riafferma sempre l’unione incessante di Gesù con il suo Padre celeste: è l’esperienza unica della paternità di Dio, è il centro della vita di Gesù, la fonte della sua esistenza, la sua essenza più intima, la luce della sua missione, la lampada per i suoi passi nei vari casi lieti o tristi, sia quando è acclamato ed accolto, come quando è rifiutato e condannato a morte. La preghiera è per Gesù una ricerca costante della volontà di Dio, percepita nello Spirito, una realtà che si apre al mistero trinitario per il Figlio che si è fatto uomo, ma continua a riposare nel seno del Padre. Nella tentazione del deserto, dopo quaranta giorni di contatto con il suo Abbà, Gesù è la Parola che fa riferimento alla parola divina che lo ha preceduto nelle scritture, di cui continua a nutrirsi la sua vita. La preghiera riempie la sua solitudine nelle notti trascorse in contatto con Dio, la sua attività nel contatto con la gente e la proclamazione del Vangelo. “Non voglio dimenticare l’esperienza fondamentale della mia vita: essere tuo Figlio” (pag. 54): un’esperienza sempre approfondita nel corso della sua vita terrena, anche nelle esigenze che comporta per i suoi discepoli, che devono amare Lui al di sopra di tutto, più del padre e della madre. La preghiera di Gesù si rivela pertanto divina come la sua obbedienza al Padre.

Davanti al volto del Padre si erge il volto divino di Gesù; Egli è Figlio suo come nessun uomo può esserlo: “Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo” (Mt, 11,27). Noi siamo figli di Dio per grazia, Gesù lo è per natura, ma Egli rimane sempre il modello della nostra preghiera. La preghiera di Gesù si riempie anche di tanti sentimenti umani: di gratitudine, di stupore per il mistero della sua persona, di fiducia nella Provvidenza divina, di commozione per le sofferenze umane, di tenerezza e di amore per i suoi discepoli, per i poveri, per gli ultimi, di sensibilità per la bellezza del creato, di giubilo quando il Padre si rivela ai piccoli.

Ad un certo punto del suo ministero, dopo la confessione di Pietro che riconosce che Gesù è il Cristo, Egli intuisce che è venuto il tempo di offrire la propria vita, di andare a Gerusalemme per affrontare la sua passione, morte e risurrezione e fa questo discorso apertamente: di qui in avanti la preghiera di Gesù si colora di abbandono senza riserve alla volontà del Padre, di luce nell’episodio della trasfigurazione con la certezza della gloria futura, ma anche di gemiti e di lacrime perché passi da Lui questo calice di sofferenza.

Infine, pregando e morendo sulla croce Gesù consegna il suo spirito nelle mani del Padre. Questa è, secondo l’autore, la preghiera conclusiva di Gesù, che sottolinea anche la prospettiva con cui è ricostruita la sua vicenda terrena: “Abbà, ho fatto la tua volontà in ogni momento della mia vita, sono cresciuto alla luce della tua grazia ed ho raggiunto la perfezione. Ora che tutto si è compiuto, so che hai ascoltato la mia preghiera. Una pace mi assale nel dolore più cruento; non mi resta che dirti, Abbà, dall’inizio e dalla perfezione della fede, in una visione del Tutto, che un sentimento eterno mi rivela che nessuno mi sta togliendo la vita, così chino il capo e ti do il mio spirito. Grazie, Abbà per ascoltarmi” (pag. 145-146).

Osservazioni conclusive

L’impostazione dell’autore riflette l’interesse attuale di biblisti e teologi per l’autocoscienza di Gesù di Nazaret; Egli rivela un rapporto unico e speciale con il Padre, ma poiché la sua vicenda è stata anche totalmente umana Egli progredisce sia nella conoscenza della realtà esterna sia in una sempre maggiore e più chiara autocoscienza di essere figlio di Dio, Messia, fondatore della Chiesa, salvatore di tutti gli uomini. In questo senso l’autore parla spesso della fede soggettiva di Gesù, ancora oggi oggetto di discussione, interpretata come affidamento al Padre, fedeltà, obbedienza, dedizione totale alla sua volontà: un aspetto della fede ricevuto da Giuseppe e da Maria, vissuta da Gesù e da Lui proposta a tutti i suoi discepoli. Il mistero del Figlio di Dio che si fa uomo e che possiede in modo perfetto sia la natura divina che quella umana rimane uno dei misteri più grandi, più belli, più coinvolgenti della nostra fede.

Il nostro poeta Dante conclude il suo cammino verso Dio proprio contemplando come nel cerchio divino riflesso, ossia nel Verbo, nella seconda persona della Santissima Trinità, appaia con chiarezza la figura di un uomo, del Figlio di Maria, crocifisso e risorto, verso cui ha orientato il suo sguardo, tutta la tensione della sua intelligenza e del suo cuore. Egli cerca di capire come un uomo possa essere dentro il mistero trinitario, del colore stesso di Dio. Si chiede come può adattarsi la natura umana ad una persona divina, come vi possa trovare spazio. Nonostante tutti i suoi sforzi non riesce a raggiungere il mistero.

Solo la folgorazione della grazia divina realizza il suo desiderio di conoscenza e di amore: “Veder voleva come si convenne l’imago al cerchio e come vi s’ indova; ma non eran da ciò le proprie penne: se non che la mia mente fu percossa da un fulgore in che sua voglia venne”. (Par. XXXIII, 137-141) 

Parafrasando: volevo comprendere come l’immagine di un uomo (di Gesù) si adattasse al cerchio divino (la persona del Figlio) e come potesse trovare posto in esso; ma le mie capacità non erano adeguate per questo; ma ecco che la mia mente fu colpita da una folgorazione di grazia che realizzò il mio desiderio di conoscenza, di amore, di pace. Nell’accostarci a Cristo, nel rivivere la sua preghiera, solo il “fulgore” della grazia che penetra in noi può veramente saziare la nostra “voglia” di partecipazione e di unione alla vita del Figlio di Dio fatto uomo.

P. Giuseppe Oddone 




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