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venerdì 26 aprile 2024

I.A. L'ECLISSI DELL'ESPERIENZA

 La condizione tecnologica della Digital Age è composta di simulacri e di mondi sempre più virtuali: un’eclissi dell’esperienza

  

-         di Paolo Benanti*

Le intelligenze artificiali (Ia) hanno avuto un impatto significativo sulle interazioni sociali dei ragazzi. Con l’avvento di assistenti virtuali, chatbot e algoritmi di raccomandazione, le Ai sono diventate parte integrante delle esperienze online degli adolescenti. Le Ia sono in grado di analizzare i dati personali, le preferenze e i comportamenti degli utenti per offrire suggerimenti personalizzati e automatizzare molte attività quotidiane.

Intimamente connessa a questa trasformazione vi è un mutamento sempre più evidente nel criterio di autorità: se una volta era la fonte autorevole a dirci il livello di credibilità di un’informazione oggi è la quantità di condivisioni e ricorrenze nel mondo digitale che, spesse volte algoritmicamente, ne influenzano la percezione come maggiormente autorevole.

La Brexit e la vittoria di Trump hanno accompagnato il dibattito sulla cosiddetta post-truth society, l’idea di una società in cui il concetto di verità condivisa – l’insieme di eventi e personaggi che tutti consideriamo esistenti, al di là delle nostre opinioni su di loro – è definitivamente scomparso. O meglio, deformato per sempre: dai social network e dai loro algoritmi, per esempio, in grado di creare e rinforzare le filter bubble, ossia il filtro automatico fatto dai server sulle notizie che ci vengono presentate, in cui un’emergenza politica può esistere o scomparire; un politico essere un eroe o un soggetto pericoloso per la Repubblica nel giro di poche ore, a volte minuti. I social network, infatti, confezionano un piccolo mondo personalizzato per ciascun utente, un “feed” che contiene notizie e personaggi che l’algoritmo ritiene possano piacerci.

In altri termini si assiste oggi al diffondersi di una tendenza a ritenere autorevoli le notizie che trovano maggior eco nell’universo digitale. Gli effetti di questa trasformazione sono già saliti alla ribalta dei media: fake news, postverità e altre espressioni analoghe ci dicono quanto sia efficace questa nuova modalità percettiva. La sfida educativa allora sarà quella di rendere percepibile, se ci si perdona il gioco di parole, il valere dei valori. Spesso il bene costa e questo non sempre è popolare. Educare al bene allora dovrà confrontarsi con meccanismi di quantità, il numero di condivisioni, che tendono ad offuscare criteri di valore. Dobbiamo guardare ai giovani per aiutarli a divenire degli adulti in un’epoca di digitale. Come trasmettere alle nuove generazioni il patrimonio di valori acquisiti e la tensione al bene che caratterizza la nostra identità?

Un’ulteriore sfida è prodotta da quella che potremmo definire con Filippo La Porta un’eclissi dell’esperienza: la condizione tecnologica che caratterizza il Digital Age è composta di simulacri, di espansione illimitata di fiction e spettacoli, di mondi sempre più virtuali. In questi mondi virtuali l’esperienza che si fa, ammesso si possa chiamarla ancora tale, è senza pericoli, potenzialmente infinita, continuamente intercambiabile, reversibile. Solo che questa più che un’esperienza si riduce a quella che potremmo definire una pseudo-esperienza: non ci sono limiti, non c’è noia, non ci sono pericoli, non c’è rischio, non c’è passività, capacità d’attesa, non c’è storia, memoria, non c’è morte, non ci sono corpi. In questa situazione siamo sempre più condannati a controllare per intero l’esperienza, a renderla comodamente reversibile, e così a perderla. L’esperienza, caratteristica unica del vivere e del crescere sembra contrarsi a una sorta di esperimento: la caratteristica propria dell’esperimento scientifico è il suo potersi ripetere infinite volte con gli stessi identici risultati.

Se ogni periodo storico ha elaborato il suo tipo d’uomo ideale, questo autoreverse dell’esperienza nell’esperimento porta a definire l’uomo ideale come uomo emozionale o homo sentiens.

L’emozione si presenta come l’oggetto di un vero e proprio culto e caratterizza specialmente la ricerca del mondo giovanile. Non che l’emotivo sia un mondo da reprimere ma non si parla qui di quell’emozione come lo stupore che per Aristotele era la base della conoscenza e la chiave di ogni accadimento spirituale. I giovani tendono a declinare l’emotivo, grazie a videogiochi sempre più immersivi e coinvolgenti, nell’emozione shock: violenta, intensa e che necessita di soglie di attivazione sempre più alte. Anche il vissuto emotivo chiede oggi di essere particolarmente oggetto di attenzione educativa e di cura.

Stiamo attraversando una stagione nuova del nostro vivere che presenta numerose opportunità e anche delle sfide, specie per l’educazione delle giovani generazioni. Non esistono ancora delle soluzioni a tutte le sfide e alle trasformazioni a cui assistiamo ma la natura umana, dono del Creatore a noi creature, ci consente di guardare a questo tempo con speranza. Se ci chiediamo se oggi i giovani sono complicati dobbiamo risponderci, con Francois Gervais, che «è vero soprattutto quando attraversano quel periodo in cui rivendicano la differenza per aiutarci a non dimenticare mai la nostra gioventù, quel periodo scomodo che noi chiamiamo adolescenza» (Il piccolo saggio).

www.avvenire.it

*Paolo Benanti (Roma, 20 luglio 1973) è un presbitero e teologo italiano del Terzo ordine regolare di San Francesco. Insegna alla Pontificia Università Gregoriana e presso l’Università di Seattle ed è consigliere di Papa Francesco sui temi dell'intelligenza artificiale e dell'etica della tecnologia. È l'unico italiano membro del Comitato sull'intelligenza artificiale delle Nazioni Unite.

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