La sfida ambientale è dunque innanzitutto una sfida spirituale, ma anche una sfida educativa. Bisogna infatti tornare alla sobrietà come valore inseparabile della solidarietà e opporsi alla logica dello sfrenato consumismo, rieducando noi e i nostri giovani ad uno stile di vita in cui “meno è di più”, rendendoci così di nuovo capaci di gustare le piccole cose e di godere della vita.
-di Sabrina Corsello
È chiaro
infatti che, per quanto artificio si intenda tutto ciò di cui l’uomo è artefice
e che deriva dall’uso dell’arte, tuttavia da ciò non segue che l’essere umano
sia esso stesso artificio. Esiste infatti una realtà che, benché sia
trasformabile da parte dell’uomo, tuttavia non è da lui prodotta. Ed è proprio
all’interno di questa realtà modificabile, ma non prodotta dalla mano umana, che
l’uomo stesso si colloca. La posizione occupata dall’uomo è dunque quella a
metà strada tra natura e artificio.
Da un lato
vi è l’idea che vi sia una natura governata da leggi naturali universali che
operano su tutti gli esseri viventi, uomo incluso, dall’altra vi è un uomo che
ritiene, ogni giorno sempre di più, di poter fare a meno di queste leggi,
vittima di un’illusione di onnipotenza che lo porta a pensare che non possa e
non debba esserci alcun limite al suo potere di azione. Oggi sembra che la natura
stessa si stia ribellando in varie forme a questo strapotere e che l’uomo
stesso ne stia pagando le spese.
Disastri
ambientali, emergenze climatiche, pandemie sembrano i segnali sempre più chiari
ed evidenti di una natura che si ribella e grida all’uomo che non può più
ignorare le sue leggi. Che sia finalmente arrivato il momento di comprendere
che non possiamo più considerare la natura come separata da noi, come se fosse
la mera cornice estetica delle nostre vite? Forse, finalmente, a caro prezzo,
l’umanità sta iniziando a comprendere che la salvaguardia della natura è
garanzia di salvaguardia di se stessa.
Ma come è
stata possibile una simile strumentalizzazione della natura da parte dell’uomo?
L’epoca moderna, dal Rinascimento in poi, è stata caratterizzata da un
antropocentrismo la cui elaborazione ha finito con il legittimare un uso
strumentale ed utilitaristico delle risorse naturali. A questo si è anche
aggiunta una interpretazione distorta del tema biblico del dominium terrae, per
la quale l’uomo sarebbe il padrone assoluto e incontrastato del creato cui ogni
creatura sarebbe sottomessa.
Uno dei
passi più discussi lo troviamo in Gen 1, 26-29, in cui si legge che Dio, dopo
aver creato l’uomo a sua immagine, gli ordina di soggiogare e dominare sui pesci
del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni altro essere vivente. Purtroppo,
tali versetti non sempre sono stati letti assieme a quelli seguenti che
troviamo in Gen.2,15, nei quali Dio, pone l’uomo nel giardino di Eden perché lo
coltivi e lo custodisca.
Il coltivare
e il custodire rimandano dunque all’idea del custode e del lavoratore e dunque
di un uomo che, in tal modo, si rende partecipe dell’opera della creazione,
portando a compimento quella creaturalità (ricordiamo che creaturus è un
participio futuro) che non è mai da intendersi come un dato di fatto, ma come
un compito tutto da assolvere.
L’uomo così,
pur essendo già creato ad immagine e somiglianza di Dio, diviene creatura
attraverso la sua stessa opera. Il dominio dell’uomo, ben lungi dunque dal
potersi intendere come attribuzione di un potere assoluto su tutto il resto
degli esseri viventi, è una vera e propria chiamata alla responsabilità di
quell’essere vivente che, in quanto dotato di ragione, è l’unico in grado di
“rispondere” e di aderire alle leggi della natura in modo consapevole. Come ci
ha spiegato Tommaso d’Aquino, mentre la legge naturale opera su tutti gli
esseri viventi in modo irriflesso e necessario, nell’uomo richiede un’adesione
consapevole e libera.
L’uomo cioè,
in quanto essere dotato di ragione, è l’unico essere vivente che può essere
chiamato in causa in qualità di custode e di amministratore responsabile. Si
tratta dunque di un problema spirituale prima ancora che ecologico. Non a caso,
Papa Francesco ha voluto dedicare al tema un’enciclica, la Laudato si’. Si
tratta di una lettera che si rivolge non solo ai credenti, ma a tutte le
persone che sentano forte la responsabilità verso la nostra casa comune.
È la prima
volta che la Chiesa cattolica pubblica un documento ufficiale sul tema della
salvaguardia dell’ambiente, ma lo fa puntando alla conversione del cuore
dell’uomo. Per risolvere il problema, non è utile infatti rifugiarsi in un
atteggiamento fideistico nei confronti di sempre nuovi ritrovati tecnologici,
né tanto meno colpevolizzare un uomo sempre più inteso come minaccia per
l’ecosistema, la cui presenza debba addirittura essere ridotta attraverso
drammatiche strategie di depopolamento o inducendo sterilità.
L’uomo
rimane quella creatura che ha sempre dinanzi a sé un cammino da fare, un
compito da assolvere, una vocazione cui rispondere. Se però tutto è connesso e
l’uomo è parte integrante della natura, allora la prima conversione deve essere
quella dell’uomo. Non può esistere, infatti, un problema ecologico che possa
essere affrontato prescindendo dal problema etico, economico e dal senso di
giustizia verso i poveri.
Occorre
essere consapevoli, si legge nell’enciclica, che «l’ambiente umano e l’ambiente
naturale si degradano insieme» e che alla radice del problema vi è il
predominio dell’interesse economico di un “mercato divinizzato”, che non
rispetta le leggi della natura e che non conosce limiti inviolabili. Pertanto
“le ragioni per le quali un luogo viene inquinato richiedono un’analisi del
funzionamento della società, della sua economia, del suo comportamento, dei
suoi modi di comprendere la realtà”. Se la terra è ferita, ciò accade perché a
prevalere è sempre la logica della speculazione finanziaria, che nel pianeta
vede solo una fonte infinita di risorse da estrarre incondizionatamente e che
persino osa prefigurarsi il ricorso allo sfruttamento di altri pianeti,
esaurite le risorse della terra.
Il fatto che
oggi tutto questo si stia ritorcendo contro l’uomo e il suo benessere non è che
la prova provata che egli è parte integrante di questo ecosistema. Alla
transizione ecologica viene così preferita la conversione spirituale di un uomo
capace di rifondare la sua vocazione di custode dell’opera di Dio. Solo un
amministratore responsabile può infatti contrastare quel relativismo pratico,
che dà assoluta priorità agli interessi contingenti e trascura le prospettive
di lungo termine. Non ci sono dunque due crisi separate, una ambientale e
un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale che richiede
di affrontare in parallelo il compito di combattere la povertà, di restituire
la dignità agli esclusi, di prendersi cura della natura.
Tuttavia,
affinché questo progetto possa divenire praticabile occorre rilanciare il senso
della comunità e dell’appartenenza. Com’è possibile, infatti, prendersi cura
degli spazi pubblici se non si ha la percezione del proprio radicamento, se in
essi non ci si sente a casa, se non si riesce a vivere la città come uno spazio
che “ci contiene e ci unisce” e infine se non si riesce a «concepire il pianeta
come patria e l’umanità come popolo che abita una casa comune”? Ecco un’altra
ragione per cui occorre ripartire dall’etica e dalla spiritualità, prima ancora
che dalla scienza, specie se per scienza si intenda quello scientismo, oggi
tanto in voga, che troppo spesso usa la tecnica come un’arma da usare contro la
natura e dunque contro l’essere umano.
Non è
possibile uscire da una logica utilitaristica che fa della natura uno strumento
per il soddisfacimento di falsi bisogni, prescindendo dalla conversione del
cuore umano. Infatti, “Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di
oggetti da comprare, possedere e consumare” e dunque più si allontana dalla
possibilità di concepire la natura e l’ambiente in cui viviamo come un fine in
sé.
Si tratta
perciò di rieducare le nostre menti a nuovi stili di vita, compatibili con la
salvaguardia del creato. Un buon inizio potrebbe essere per il cristiano – ma
non solo – quello di tornare a vivere il giorno del riposo celebrato dalla
tradizione biblica come giorno della contemplazione estetica contro la logica
dell’efficientismo. In fondo sono le stesse meraviglie del creato che ci
invitano alla contemplazione, ad un atteggiamento estatico. Forse è proprio
questo il senso di quell’idea secondo cui la bellezza salverà il mondo.
Nessun commento:
Posta un commento