Il «pensiero complesso»
si apre all’agape
Castellana,
già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento ed
esponente di quella che Geymonat ha chiamato «la scuola meridionale di
epistemologia», fondata da Bruno Widmar, è approdato al pensiero complesso non
con «una fulminea conversione sulla strada di Damasco», ma ha le sue radici nel
pensiero di Simone Weil, nello studio della epistemologia francofona (Gaston e
Suzanne Bachelard, Teilhard de Chardin, Hélène Metzger, Piaget, Florenskij,
Serres, Morin), molto attenta alla dimensione storica della scienza, e del
pensiero di Federigo Enriques.
Più
il mondo diventa complesso, più cresce la tentazione del riduzionismo e della
semplificazione. La complessità è portatrice di una razionalità incarnata della
polifonia del reale, che ci aiuta a superare «l’era desertica del pensiero »
(Paolo VI) e a cogliere la ricchezza del mondo.
Questo
libro, come ha scritto Mauro Ceruti nella prefazione, ci offre non solo «una sapiente
mappa delle molteplici vie del pensiero complesso»,
ma
anche un contributo che aiuta a chiarire e a sviluppare il potenziale teoretico
della complessità». Il pensiero complesso ci protegge dal virus della
onniscienza, da visioni essenzialistiche e unilaterali della realtà, dal
pensiero asettico e dallo scetticismo. Vive e si alimenta della tensione verso
il vero. «Non esistono teorie vere, ma teorie sempre più vere», ripete
Castellana con Federigo Enriques.
Il
pensiero complesso ci aiuta a prendere coscienza dei limiti della «forma
calcolante del pensiero», imposta dalla modernità, e risponde al bisogno di una
«razionalità allargata», proposta da Benedetto XVI. Essendo una razionalità
enracinée, aperta, sensibile, riesce a cogliere le diverse nuances (Bachelard)
del reale e ad essere «cuore pensante» (Hillesum).
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