dei ragazzi
verso una
cultura di pace
- di Diego Miscioscia *
Nel tentativo di indagare cosa
significhi scegliere per i nostri ragazzi, abbiamo chiesto aiuto al professore
Diego Miscioscia, psicoterapeuta e membro del centro studi milanese Il
Minotauro, che da oltre trent’anni si occupa di ricerca-formazione e intervento
sull’adolescente. Con lui abbiamo provato a leggere due aspetti fondamentali:
da una parte chi sono i giovani del 2022, che esigenze hanno, che scenari si
portano alle spalle e che vissuti sperimentano, anche a seguito della pandemia.
In parallelo, il professore ci ha invitato a comprendere in quale ambiente essi
crescono, con quali adulti e quali modelli di riferimento, in quale contesto
sociale sono accolti e accompagnati. “La generazione Z arriva all’appuntamento
con l’età adulta con un patrimonio emotivo e affettivo che la predispone a
sviluppare valori universalistici e pacifisti. È l’incapacità degli adulti ad
accompagnarli nella nascita sociale che impedisce loro di sviluppare pienamente
questi valori”.
Questi assunti sono fondamentali per
aprire una riflessione personale e condivisa, in quanto adulti, rispetto al
come accompagnare i ragazzi nelle scelte, senza che si perdano in facili
“derive identitarie”. Il focus di questo accompagnamento, come spiega l’articolo,
è il farsi quotidianamente testimoni di un mondo adulto positivo e innamorato
(non onnipotente, ma potente), aiutandoli così a sviluppare una fiducia nel futuro,
come spazio-tempo per la realizzazione del sé, dei propri progetti e dei propri
sogni, nella costruzione di un “vero Sé”, imperfetto ma reale, creativo e
generativo, ricco di esperienze, competenze e valori. L’amore per la vita
propria e altrui non si costruisce in astratto, ma solo crescendo accanto ad
adulti coraggiosi, ricchi di sogni ed esperienze e innamorati della realtà.
Il disagio psicologico prodotto in questi
due anni dal Covid-19 sembra aver risvegliato l’attenzione degli adulti e della
politica sui giovani. Chiusi in casa a causa del lockdown, costretti a dover
rinunciare agli amici e al proprio gruppo classe, risorse indispensabili per la
loro crescita emotiva, molti ragazzi hanno visto peggiorare una condizione
psicologica personale che, già negli anni precedenti, gli esperti valutavano
come molto precaria. L’aumento degli stati di ansia e di panico tra i ragazzi,
le numerosissime richieste giunte agli psicologi per l’aumento dei casi di
anoressia, ritiro sociale e autolesionismo hanno mobilitato, oltre alle
famiglie e ai professionisti della salute mentale, anche i politici. Finalmente
si è cominciato a parlare dello “Psicologo delle cure primarie”, figura già
esistente in altre nazioni.
Da almeno un paio di decenni il
malessere giovanile è percepibile nei casi sempre più numerosi di patologie che
li riguardano (anoressie e bulimie, attacchi di panico, tendenze
tossicofiliche, ritiro sociale, suicidi), nel progressivo distacco dalla realtà
di una parte di loro e nell’apatia della maggioranza.
Questo distacco dalla realtà è anche
il riflesso di un mondo adulto che, pian piano, si è sempre più staccato da
loro: da tempo, le grandi istituzioni che presidiavano la nascita sociale dei
giovani (la famiglia, la scuola, lo Stato e la Chiesa) hanno cessato di essere
dei garanti metasociali e dei riferimenti identitari per adolescenti e giovani.
Nella cultura del narcisismo e con
la crisi di queste istituzioni, si è rotto il patto intergenerazionale che
garantiva i giovani e che forniva loro dei punti di riferimento etico. Una
società sempre più performante come la nostra, inoltre, favorisce nei ragazzi
altissime aspettative di successo personale e, di conseguenza, produce numerosi
esiti depressivi in coloro che non ce la fanno.
Anche per questa sofferenza
psicologica precedente al lockdown, dunque, i giovani hanno patito più di altre
generazioni le nuove e gravi privazioni imposte dalla pandemia in alcune aree fondamentali
per la loro crescita.
In quest’articolo voglio provare a
mettere in evidenza le buone qualità dei giovani della generazione Z, i loro punti
di forza e le strategie che gli adulti devono mettere in campo per favorire la
loro nascita sociale e per aiutarli a superare le numerose fragilità che
rischiano di vanificare proprio questi loro punti di forza.
I ragazzi nati nel terzo millennio
possiedono identità fluide e flessibili, sono iperconnessi, eco-responsabili e
globalizzati; sono tendenzialmente più pacifici delle generazioni precedenti ed
hanno buone relazioni con gli adulti e tra di loro. La relazione tra maschi e
femmine oggi è molto più paritetica che in passato: non esistono più identità
polarizzate sul maschile o sul femminile ed è anche stata superata la doppia
morale che prevedeva la sperimentazione sessuale fuori dalla coppia solo per i
maschi.
I giovani, tuttavia, oggi sono
spesso apatici, confusi, privi di desideri, incapaci di sognare e di pensare il
futuro, hanno personalità fragili, caratterizzate da un rigido assetto
narcisistico. Al loro fianco essi hanno adulti altrettanto confusi e incapaci
di sostenerli adeguatamente, con cui ancora vivono, senza avere però alcuna
speranza di andarsene a breve. I genitori, infatti, per lo più continuano a
proteggerli e spesso tollerano la loro completa inerzia. Il sociale, i mass
media e il mercato clandestino della droga, inoltre, forniscono ai più giovani
strumenti regressivi e illusori, grazie ai quali essi possono dimenticare per
un po’ il futuro che li terrorizza e possono rifugiarsi in un mondo alternativo
a quello reale, un mondo più vicino alla notte che al giorno, più vicino al
sogno che alla realtà.
La loro identità è pilotata
dall’accumulo di desideri creati da algoritmi ricorsivi, che incontrano on line,
e il loro criterio di valore e autostima è deciso dalla quantità di like che i
loro post o selfie ricevono sui social network. Senza rendersene conto, sono
sospinti dal consumismo e dalla sollecitazione del desiderio verso la regressione
infantile e l’onnipotenza.
Agenti sociali patogeni come il
consumismo e l’edonismo, quindi, colludono con bisogni narcisistici ed
ostacolano il processo di individuazione e soggettivazione. Si assiste, quindi,
a un indebolirsi del loro rapporto con la realtà: gli oggetti concreti,
fagocitati velocemente nell’esperienza soggettiva, diventano protesi
narcisistiche al servizio d’identità troppo fragili. Esistono ormai tanti piani
del reale che si è fatto virtuale. Proprio per questo, molti ragazzi soffrono
di momenti di derealizzazione e depersonalizzazione. Anche la realtà, peraltro,
si è sempre più allontanata da loro: gli adulti hanno lasciato alle nuove
generazioni solo lavori precari, un enorme debito pubblico e grandi problemi di
difficile soluzione (il cambiamento climatico, la crisi energetica,
l’inquinamento e, ultima arrivata, una ripresa delle tensioni internazionali
che può riportarci nella triste epoca della guerra fredda, se non peggio). La
possibilità concreta di farsi una propria famiglia da parte dei giovani,
dunque, viene procrastinata sempre più in là nel tempo. Le basi dei valori
etici sono le emozioni e gli affetti che sono coltivati nei bambini fin dai
primi anni di vita: la generazione Z arriva all’appuntamento con l’età adulta
con un patrimonio emotivo e affettivo che la predispone a sviluppare valori
universalistici e pacifisti. È l’incapacità degli adulti ad accompagnarli nella
nascita sociale, dunque, che impedisce loro di sviluppare pienamente questi
valori.
Uno studioso delle culture sociali
come Amin Maloof, a proposito delle numerose comunità di stranieri presenti
nella maggioranza degli Stati occidentali, osserva come da piccoli essi
crescano con gli altri ragazzi, condividendo gli stessi interessi e un’ottima
socialità. Arrivati alle soglie dell’identità adulta, tuttavia, facilmente
questi giovani si perdono in quella che lui definisce “deriva identitaria”:
confusi dalla mancanza di valori proposti ai ragazzi dal mondo adulto, essi
rispolverano la vecchia identità religiosa della propria comunità di
appartenenza, spesso radicalizzandola e perdendo così quell’orientamento verso
valori i universalistici proprio del mondo giovanile in cui sono cresciuti.
Gli adulti non sono capaci di
significare ai ragazzi il mondo in cui vivono. Non è reso loro decifrabile il
senso della vita e il significato della morte, le pulsioni, il loro posto nelle
generazioni e nel mondo, ma, soprattutto, la maggioranza degli adulti sono
privi di quel “pensiero innovativo, pacifista” che caratterizza i vissuti della
maggioranza dei giovani delle nuove generazioni. Come ricordavo prima, infatti,
questa è una generazione eco-responsabile, globalizzata e pacifista,
portatrice, senza neppure rendersene conto, dell’idea di un mondo nuovo,
finalmente libero dalle guerre e da qualsiasi pregiudizio. Questa nuova cultura
giovanile si vede nella partecipazione di numerosi giovani alle manifestazioni
contro i pregiudizi sessuali e razziali, ai gay pride o, lo scorso anno, ai
cortei black lives matter e alle iniziative in difesa dell’ambiente e per
fermare il cambiamento climatico, come durante i friday for future.
La famiglia, tuttavia, oggi più
orientata al dialogo e all’affettività che alla promozione etica dei propri
figli, non riesce ancora a capire come sostenere queste buone qualità dei
ragazzi, come è possibile alimentarle con un dialogo intelligente e con una
“riflessione maieutica” che possano trasformarle in veri valori etici. La
famiglia ha bisogno di riscoprire i valori dell’area paterna. La “seconda nascita”
o nascita sociale, infatti, non può, come la prima nascita, avvenire all’ombra
dei valori materni, proteggendo troppo i ragazzi e tenendoli fermi su un
presente eternizzato. La crescita richiede coraggio, avventura e accettazione
del rischio. Pochi genitori si rendono conto che devono stare più tempo accanto
ai loro figli, ma non per proteggerli attraverso un’ammirazione di una qualità
un po’ troppo infantilizzante, bensì per dare loro speranza, per restituire
loro l’idea del futuro. I ragazzi oggi sono bloccati perché una cattiva
politica familiare e sociale fanno loro pensare che la bellezza non stia
nell’identità adulta, ma in quella infantile e che il futuro sia solo il luogo
della mortificazione. Gli stessi adulti danno spesso ai giovani l’impressione
che crescere significhi solo accettare frustrazioni, disillusioni, lutti, senza
essere ripagati da nulla di piacevole. I genitori dunque devono essere capaci
di sognare i propri figli perché, come ricordava un grande pedagogista come
Riccardo Massa, l’adulto deve essere “…ricco di sogni ed esperienze e
innamorato della realtà”. Tutti gli educatori devono mostrare come il futuro
sia il luogo in cui si può realizzare la bellezza e la progettualità, il luogo
in cui i sogni acquistano una consistenza più reale, trasformandosi in progetti
concreti. In questo modo, il futuro può diventare il luogo dove è possibile
elaborare il lutto per la fine della propria infanzia, per il ridimensionamento
di parti sé infantili e narcisistiche, perché il lutto dell’onnipotenza è
sostituito dall’acquisizione di una potenza reale. Tutto questo è possibile
solo se i genitori diventano capaci di sognare un futuro per i propri figli. Il
padre e la madre devono imparare a stare loro vicino con un atteggiamento
incoraggiante, stimolante e valorizzante, ma anche empaticamente consapevole
della fatica connessa alla crescita, senza tuttavia cedere ad atteggiamenti
consolatori o eccessivamente protettivi.
Eraclito sosteneva che gli occhi e
le orecchie sono cattivi testimoni se non c’è una testa: un pensiero capace di
dare senso e significato a ciò che essi percepiscono; analogamente, i genitori
devono esercitare questa capacità di dare senso alla realtà, avvicinando le esperienze
e le risorse del mondo e presentandole al figlio, diventando così testimoni di
una continuità storica. Ai ragazzi vanno trasmesse competenze, soprattutto in
quegli ambiti dove oggi è più frequente interagire. Il pedagogista Daniele
Novara, ad esempio, da anni si batte per una rivisitazione intelligente della
“educazione al conflitto”, vista come occasione di crescita e confronto. Anche
la scuola incontra le stesse difficoltà della famiglia con le nuove
generazioni. In questi due anni di DAD la maggioranza dei docenti ha perso un’occasione
storica: utilizzare questa novità per cambiare la scuola ed attivare i ragazzi sul lavoro di gruppo e sulla ricerca
a distanza. Si è invece preferito, in un momento in cui gli studenti vivevano
già in una condizione di isolamento e passività, proporre a distanza la stessa
lezione tradizionale che si faceva a scuola, facendoli così sentire ancora più
statici e impotenti (e controllati contemporaneamente dagli insegnanti e dai
genitori).
Vi sono nuovi paradigmi della
conoscenza che da anni sottolineano sempre di più la necessità di una sintonia con
i processi di sviluppo. Tali modelli mostrano chiaramente i limiti del vecchio
modello di fare scuola, incardinato sull’apprendimento per concetti e
conoscenze. È certo ormai che il cambiamento avviene solo quando ci si
sintonizza con i bisogni evolutivi: il riferimento della scuola, quindi, in una
società in continuo cambiamento come la nostra, non può che essere l’attenzione
alla persona e ai suoi processi evolutivi.
La scuola deve far diventare
protagonisti i ragazzi stessi, aiutandoli a modificare il loro pseudo-ideale
dell’Io illusorio e perfezionistico e sostenendoli, quindi, nella ricerca del
proprio vero Sé e di un’identità reale, fatta di competenze e valori. In questo
senso, anche l’istituzione di un servizio civile obbligatorio aiuterebbe i
ragazzi a confrontarsi con valori veri e creativi e, indirettamente, restituendo
un senso davvero creativo alla loro vita, allontanerebbe le loro fantasie di
morte.
*Diego Miscioscia, psicologo, psicoterapeuta, socio fondatore dell'Istituto
Minotauro, svolge attività clinica con adolescenti e adulti.
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