martedì 19 luglio 2022

GENERAZIONE X : DISTRICARSI NELLE SCELTE


 Il difficile cammino 

dei ragazzi 

verso una 

cultura di pace


- di Diego Miscioscia *

 

Nel tentativo di indagare cosa significhi scegliere per i nostri ragazzi, abbiamo chiesto aiuto al professore Diego Miscioscia, psicoterapeuta e membro del centro studi milanese Il Minotauro, che da oltre trent’anni si occupa di ricerca-formazione e intervento sull’adolescente. Con lui abbiamo provato a leggere due aspetti fondamentali: da una parte chi sono i giovani del 2022, che esigenze hanno, che scenari si portano alle spalle e che vissuti sperimentano, anche a seguito della pandemia. In parallelo, il professore ci ha invitato a comprendere in quale ambiente essi crescono, con quali adulti e quali modelli di riferimento, in quale contesto sociale sono accolti e accompagnati. “La generazione Z arriva all’appuntamento con l’età adulta con un patrimonio emotivo e affettivo che la predispone a sviluppare valori universalistici e pacifisti. È l’incapacità degli adulti ad accompagnarli nella nascita sociale che impedisce loro di sviluppare pienamente questi valori”.

Questi assunti sono fondamentali per aprire una riflessione personale e condivisa, in quanto adulti, rispetto al come accompagnare i ragazzi nelle scelte, senza che si perdano in facili “derive identitarie”. Il focus di questo accompagnamento, come spiega l’articolo, è il farsi quotidianamente testimoni di un mondo adulto positivo e innamorato (non onnipotente, ma potente), aiutandoli così a sviluppare una fiducia nel futuro, come spazio-tempo per la realizzazione del sé, dei propri progetti e dei propri sogni, nella costruzione di un “vero Sé”, imperfetto ma reale, creativo e generativo, ricco di esperienze, competenze e valori. L’amore per la vita propria e altrui non si costruisce in astratto, ma solo crescendo accanto ad adulti coraggiosi, ricchi di sogni ed esperienze e innamorati della realtà.

Il disagio psicologico prodotto in questi due anni dal Covid-19 sembra aver risvegliato l’attenzione degli adulti e della politica sui giovani. Chiusi in casa a causa del lockdown, costretti a dover rinunciare agli amici e al proprio gruppo classe, risorse indispensabili per la loro crescita emotiva, molti ragazzi hanno visto peggiorare una condizione psicologica personale che, già negli anni precedenti, gli esperti valutavano come molto precaria. L’aumento degli stati di ansia e di panico tra i ragazzi, le numerosissime richieste giunte agli psicologi per l’aumento dei casi di anoressia, ritiro sociale e autolesionismo hanno mobilitato, oltre alle famiglie e ai professionisti della salute mentale, anche i politici. Finalmente si è cominciato a parlare dello “Psicologo delle cure primarie”, figura già esistente in altre nazioni.

Da almeno un paio di decenni il malessere giovanile è percepibile nei casi sempre più numerosi di patologie che li riguardano (anoressie e bulimie, attacchi di panico, tendenze tossicofiliche, ritiro sociale, suicidi), nel progressivo distacco dalla realtà di una parte di loro e nell’apatia della maggioranza.

Questo distacco dalla realtà è anche il riflesso di un mondo adulto che, pian piano, si è sempre più staccato da loro: da tempo, le grandi istituzioni che presidiavano la nascita sociale dei giovani (la famiglia, la scuola, lo Stato e la Chiesa) hanno cessato di essere dei garanti metasociali e dei riferimenti identitari per adolescenti e giovani.

Nella cultura del narcisismo e con la crisi di queste istituzioni, si è rotto il patto intergenerazionale che garantiva i giovani e che forniva loro dei punti di riferimento etico. Una società sempre più performante come la nostra, inoltre, favorisce nei ragazzi altissime aspettative di successo personale e, di conseguenza, produce numerosi esiti depressivi in coloro che non ce la fanno.

Anche per questa sofferenza psicologica precedente al lockdown, dunque, i giovani hanno patito più di altre generazioni le nuove e gravi privazioni imposte dalla pandemia in alcune aree fondamentali per la loro crescita.

In quest’articolo voglio provare a mettere in evidenza le buone qualità dei giovani della generazione Z, i loro punti di forza e le strategie che gli adulti devono mettere in campo per favorire la loro nascita sociale e per aiutarli a superare le numerose fragilità che rischiano di vanificare proprio questi loro punti di forza.

I ragazzi nati nel terzo millennio possiedono identità fluide e flessibili, sono iperconnessi, eco-responsabili e globalizzati; sono tendenzialmente più pacifici delle generazioni precedenti ed hanno buone relazioni con gli adulti e tra di loro. La relazione tra maschi e femmine oggi è molto più paritetica che in passato: non esistono più identità polarizzate sul maschile o sul femminile ed è anche stata superata la doppia morale che prevedeva la sperimentazione sessuale fuori dalla coppia solo per i maschi.

I giovani, tuttavia, oggi sono spesso apatici, confusi, privi di desideri, incapaci di sognare e di pensare il futuro, hanno personalità fragili, caratterizzate da un rigido assetto narcisistico. Al loro fianco essi hanno adulti altrettanto confusi e incapaci di sostenerli adeguatamente, con cui ancora vivono, senza avere però alcuna speranza di andarsene a breve. I genitori, infatti, per lo più continuano a proteggerli e spesso tollerano la loro completa inerzia. Il sociale, i mass media e il mercato clandestino della droga, inoltre, forniscono ai più giovani strumenti regressivi e illusori, grazie ai quali essi possono dimenticare per un po’ il futuro che li terrorizza e possono rifugiarsi in un mondo alternativo a quello reale, un mondo più vicino alla notte che al giorno, più vicino al sogno che alla realtà.

La loro identità è pilotata dall’accumulo di desideri creati da algoritmi ricorsivi, che incontrano on line, e il loro criterio di valore e autostima è deciso dalla quantità di like che i loro post o selfie ricevono sui social network. Senza rendersene conto, sono sospinti dal consumismo e dalla sollecitazione del desiderio verso la regressione infantile e l’onnipotenza.

Agenti sociali patogeni come il consumismo e l’edonismo, quindi, colludono con bisogni narcisistici ed ostacolano il processo di individuazione e soggettivazione. Si assiste, quindi, a un indebolirsi del loro rapporto con la realtà: gli oggetti concreti, fagocitati velocemente nell’esperienza soggettiva, diventano protesi narcisistiche al servizio d’identità troppo fragili. Esistono ormai tanti piani del reale che si è fatto virtuale. Proprio per questo, molti ragazzi soffrono di momenti di derealizzazione e depersonalizzazione. Anche la realtà, peraltro, si è sempre più allontanata da loro: gli adulti hanno lasciato alle nuove generazioni solo lavori precari, un enorme debito pubblico e grandi problemi di difficile soluzione (il cambiamento climatico, la crisi energetica, l’inquinamento e, ultima arrivata, una ripresa delle tensioni internazionali che può riportarci nella triste epoca della guerra fredda, se non peggio). La possibilità concreta di farsi una propria famiglia da parte dei giovani, dunque, viene procrastinata sempre più in là nel tempo. Le basi dei valori etici sono le emozioni e gli affetti che sono coltivati nei bambini fin dai primi anni di vita: la generazione Z arriva all’appuntamento con l’età adulta con un patrimonio emotivo e affettivo che la predispone a sviluppare valori universalistici e pacifisti. È l’incapacità degli adulti ad accompagnarli nella nascita sociale, dunque, che impedisce loro di sviluppare pienamente questi valori.

Uno studioso delle culture sociali come Amin Maloof, a proposito delle numerose comunità di stranieri presenti nella maggioranza degli Stati occidentali, osserva come da piccoli essi crescano con gli altri ragazzi, condividendo gli stessi interessi e un’ottima socialità. Arrivati alle soglie dell’identità adulta, tuttavia, facilmente questi giovani si perdono in quella che lui definisce “deriva identitaria”: confusi dalla mancanza di valori proposti ai ragazzi dal mondo adulto, essi rispolverano la vecchia identità religiosa della propria comunità di appartenenza, spesso radicalizzandola e perdendo così quell’orientamento verso valori i universalistici proprio del mondo giovanile in cui sono cresciuti.

Gli adulti non sono capaci di significare ai ragazzi il mondo in cui vivono. Non è reso loro decifrabile il senso della vita e il significato della morte, le pulsioni, il loro posto nelle generazioni e nel mondo, ma, soprattutto, la maggioranza degli adulti sono privi di quel “pensiero innovativo, pacifista” che caratterizza i vissuti della maggioranza dei giovani delle nuove generazioni. Come ricordavo prima, infatti, questa è una generazione eco-responsabile, globalizzata e pacifista, portatrice, senza neppure rendersene conto, dell’idea di un mondo nuovo, finalmente libero dalle guerre e da qualsiasi pregiudizio. Questa nuova cultura giovanile si vede nella partecipazione di numerosi giovani alle manifestazioni contro i pregiudizi sessuali e razziali, ai gay pride o, lo scorso anno, ai cortei black lives matter e alle iniziative in difesa dell’ambiente e per fermare il cambiamento climatico, come durante i friday for future.

La famiglia, tuttavia, oggi più orientata al dialogo e all’affettività che alla promozione etica dei propri figli, non riesce ancora a capire come sostenere queste buone qualità dei ragazzi, come è possibile alimentarle con un dialogo intelligente e con una “riflessione maieutica” che possano trasformarle in veri valori etici. La famiglia ha bisogno di riscoprire i valori dell’area paterna. La “seconda nascita” o nascita sociale, infatti, non può, come la prima nascita, avvenire all’ombra dei valori materni, proteggendo troppo i ragazzi e tenendoli fermi su un presente eternizzato. La crescita richiede coraggio, avventura e accettazione del rischio. Pochi genitori si rendono conto che devono stare più tempo accanto ai loro figli, ma non per proteggerli attraverso un’ammirazione di una qualità un po’ troppo infantilizzante, bensì per dare loro speranza, per restituire loro l’idea del futuro. I ragazzi oggi sono bloccati perché una cattiva politica familiare e sociale fanno loro pensare che la bellezza non stia nell’identità adulta, ma in quella infantile e che il futuro sia solo il luogo della mortificazione. Gli stessi adulti danno spesso ai giovani l’impressione che crescere significhi solo accettare frustrazioni, disillusioni, lutti, senza essere ripagati da nulla di piacevole. I genitori dunque devono essere capaci di sognare i propri figli perché, come ricordava un grande pedagogista come Riccardo Massa, l’adulto deve essere “…ricco di sogni ed esperienze e innamorato della realtà”. Tutti gli educatori devono mostrare come il futuro sia il luogo in cui si può realizzare la bellezza e la progettualità, il luogo in cui i sogni acquistano una consistenza più reale, trasformandosi in progetti concreti. In questo modo, il futuro può diventare il luogo dove è possibile elaborare il lutto per la fine della propria infanzia, per il ridimensionamento di parti sé infantili e narcisistiche, perché il lutto dell’onnipotenza è sostituito dall’acquisizione di una potenza reale. Tutto questo è possibile solo se i genitori diventano capaci di sognare un futuro per i propri figli. Il padre e la madre devono imparare a stare loro vicino con un atteggiamento incoraggiante, stimolante e valorizzante, ma anche empaticamente consapevole della fatica connessa alla crescita, senza tuttavia cedere ad atteggiamenti consolatori o eccessivamente protettivi.

Eraclito sosteneva che gli occhi e le orecchie sono cattivi testimoni se non c’è una testa: un pensiero capace di dare senso e significato a ciò che essi percepiscono; analogamente, i genitori devono esercitare questa capacità di dare senso alla realtà, avvicinando le esperienze e le risorse del mondo e presentandole al figlio, diventando così testimoni di una continuità storica. Ai ragazzi vanno trasmesse competenze, soprattutto in quegli ambiti dove oggi è più frequente interagire. Il pedagogista Daniele Novara, ad esempio, da anni si batte per una rivisitazione intelligente della “educazione al conflitto”, vista come occasione di crescita e confronto. Anche la scuola incontra le stesse difficoltà della famiglia con le nuove generazioni. In questi due anni di DAD la maggioranza dei docenti ha perso un’occasione storica: utilizzare questa novità per cambiare la scuola ed attivare  i ragazzi sul lavoro di gruppo e sulla ricerca a distanza. Si è invece preferito, in un momento in cui gli studenti vivevano già in una condizione di isolamento e passività, proporre a distanza la stessa lezione tradizionale che si faceva a scuola, facendoli così sentire ancora più statici e impotenti (e controllati contemporaneamente dagli insegnanti e dai genitori).

Vi sono nuovi paradigmi della conoscenza che da anni sottolineano sempre di più la necessità di una sintonia con i processi di sviluppo. Tali modelli mostrano chiaramente i limiti del vecchio modello di fare scuola, incardinato sull’apprendimento per concetti e conoscenze. È certo ormai che il cambiamento avviene solo quando ci si sintonizza con i bisogni evolutivi: il riferimento della scuola, quindi, in una società in continuo cambiamento come la nostra, non può che essere l’attenzione alla persona e ai suoi processi evolutivi.

La scuola deve far diventare protagonisti i ragazzi stessi, aiutandoli a modificare il loro pseudo-ideale dell’Io illusorio e perfezionistico e sostenendoli, quindi, nella ricerca del proprio vero Sé e di un’identità reale, fatta di competenze e valori. In questo senso, anche l’istituzione di un servizio civile obbligatorio aiuterebbe i ragazzi a confrontarsi con valori veri e creativi e, indirettamente, restituendo un senso davvero creativo alla loro vita, allontanerebbe le loro fantasie di morte.

*Diego Miscioscia, psicologo, psicoterapeuta, socio fondatore dell'Istituto Minotauro, svolge attività clinica con adolescenti e adulti.

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