La prossimità del Papa, specie negli incontri con le popolazioni indigene, è stato il segno distintivo del viaggio apostolico in Canada. Tanti i gesti che hanno sottolineato la dimensione penitenziale e di riconciliazione che Francesco ha voluto dare alla visita in terra canadese.
- di Alessandro
Gisotti
“Un efficace
processo di risanamento richiede azioni concrete”. Francesco lo aveva
sottolineato concludendo il discorso alle delegazioni dei popoli indigeni del
Canada, ricevute in Vaticano, la scorsa primavera. Il viaggio in terra
canadese, affrontato con gioia dal Papa nonostante le difficoltà di
deambulazione, si è contraddistinto proprio per quelle “azioni concrete” che
sono i gesti. Atti che hanno preceduto o accompagnato le parole pronunciate dal
Pontefice nel grande Stato nord-americano e, in particolare, i suoi richiami
alla giustizia e al perdono come premessa di un autentico cammino di
riconciliazione. In un qualche modo, si può affermare che il viaggio stesso sia
stato un’azione concreta “dall’impatto enorme”, per riprendere l’affermazione
del premier Justin Trudeau. Anche i giornali canadesi hanno pubblicato in
questi giorni sulle loro prime pagine grandi foto che immortalavano tali gesti
così significativi. Del resto, passati solo pochi minuti dall’arrivo a
Edmonton, prima tappa della visita, il Papa aveva già compiuto un gesto tanto
semplice quanto efficace per dare sostanza alla definizione “pellegrinaggio
penitenziale” da lui indicata per questo viaggio apostolico: baciare la mano di
un’anziana signora indigena, durante la cerimonia di accoglienza in aeroporto.
Ogni viaggio
papale si può (anche) raccontare per immagini. Ciò vale forse ancora di più
questa volta, tanto è stato forte il valore simbolico degli eventi e degli
incontri a partire da quello di lunedì scorso a Maskwacis, che ha avuto un suo
ideale raccordo con quello conclusivo a Iqaluit, con i giovani e gli anziani
del popolo Inuit. Il Papa che, sulla carrozzina, prega silenziosamente nel
cimitero della comunità di Ermineskin. Il Papa che bacia lo striscione rosso
con impressi i nomi dei bambini morti nelle scuole residenziali e poi in piedi,
senza l’ausilio del bastone, sta davanti al capo indigeno “Aquila dorata” che
gli pone sulla testa un copricapo segno di rispetto e riconoscimento di
autorevolezza. Ancora, quel gesto di riconsegna dei mocassini rossi, simbolo
del dolore di tanti ragazzi indigeni, che gli erano stati donati in Vaticano
quattro mesi fa. Particolarmente evocativa l’immagine di Francesco assorto in
meditazione sulle rive del Lac Ste. Anne, un luogo che unisce nella devozione
popoli indigeni e fedeli cattolici. Un’istantanea dal sapore evangelico che ci
riporta alle sorgenti della fede e che, come ha poi sottolineato nell’omelia,
ci fa immaginare un altro lago, a migliaia di chilometri di distanza, quello di
Galilea inscindibilmente legato alla vita e alla predicazione di Gesù.
Francesco
non è mai rimasto distante dal dolore delle persone che ha incontrato. Per
ascoltare, ascoltare con il cuore - ci ha testimoniato tante volte - bisogna
stare vicino al prossimo. Un atteggiamento che si è visto molto bene
nell’incontro di ieri con gli ex alunni della scuola residenziale di Iqaluit,
“ai confini del mondo”. Francesco si è seduto in mezzo a loro in una fila di
sedie a forma di cerchio, ponendosi dunque “alla pari”. Arrivato fino a soli
trecento chilometri dal Circolo Polare Artico, ha così ribadito concretamente
con questo gesto che il pastore deve avere l’odore delle pecore, soprattutto di
quelle più lontane e ferite.
Un viaggio
quindi che ha visto intrecciarsi armonicamente - come i fili delle fasce
colorate delle vesti degli indigeni - gesti e parole, discorsi e azioni
concrete. Il gesto, parafrasando il noto mass-mediologo Marshall McLuhan
(canadese e cattolico), si è così fatto messaggio. Un messaggio di amore e di
riconciliazione.
Vatican News
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