- di Giuseppe
Savagnone*
e della natalità»
L’ultimo
rapporto annuale Istat, pubblicato alcuni giorni fa, evidenzia un fenomeno che
peraltro abbiamo tutti sotto gli occhi e che forse merita qualche riflessione.
Mi riferisco alla crisi sempre più evidente della famiglia come è stata
concepita per secoli, crisi che da tempo riguarda tutta l’Europa ma che ha
ormai effetti dirompenti anche nel nostro paese.
Eloquente
già il titolo del paragrafo in cui il rapporto affronta la questione: «Il
crollo della nuzialità, l’aumento dell’instabilità matrimoniale». Gli italiani
si sposano sempre più tardi e quelli che lo fanno sono comunque sempre di meno.
«Nel 2011 l’età media al primo matrimonio era 32,6 anni per gli uomini e 30,1
per le donne mentre nel 2019, ultimo anno non toccato dalla pandemia era pari,
rispettivamente, a 33,9 e 31,7 anni. L’effetto della pandemia ha prodotto
un’ulteriore accentuazione del rinvio delle prime nozze. Nel 2020 per i primi
matrimoni gli uomini hanno in media 34,1 anni e le donne 32,0».
Sia uomini
che donne, dunque, si sposano – quando lo fanno – sempre più tardi. Basta
leggere un romanzo ottocentesco o del primo Novecento per constatare che allora
era normale sposarsi appena ventenni (le ragazze anche prima). Soprattutto,
però, si sposano sempre di meno. Al netto delle inevitabili oscillazioni
prodotte dalla pandemia, nel 2021 i primi matrimoni sono diminuiti quasi del
20% rispetto al 2011. Osserva il rapporto: «La protratta permanenza dei giovani
nella famiglia di origine ha, come è noto, un effetto diretto sul rinvio delle
prime nozze». Gli italiani restano “figli di famiglia” fin dopo i trent'anni.
Certo,
giocano spesso anche motivi economici, legati alla difficoltà di trovare un
lavoro, almeno un lavoro non precario. Ma ci sono anche altre ragioni. Viene da
pensare alla precocità che si riscontra ormai abitualmente nei bambini. Quelli
di una volta andavano a letto presto, non sapevano nulla su come nascono i
figli, non dicevano parolacce, facevano naturalmente i capricci, ma in sostanza
ubbidivano ai genitori.
Oggi molti
di loro hanno tra le mani un cellulare o un tablet fin dai primi anni (o
addirittura mesi) di vita, cosicché è a loro che il nonno deve rivolgersi per
essere aiutato nel suo difficile rapporto con questi strumenti; trascorrono
molte ore posteggiati davanti alla TV, dove vedono e sentono ogni sorta di
notizie; vengono coinvolti dai genitori nelle uscite serali e notturne; dicono
parolacce, e a volte le dicono proprio rivolgendosi al padre e alla madre.
Questa crisi
del matrimonio appare particolarmente acuta se si guarda a quello religioso.
«Sono in particolare i primi matrimoni religiosi ad aver subito la contrazione
più forte dal 2011 al 2019 (-29,9 %), con un’incidenza sui primi matrimoni che
è diminuita dal 70,1 % al 58,4 %». Ormai solo poco più di metà dei giovani che
si sposano lo fanno in chiesa. «Nell’ultimo decennio si è assistito,
all’opposto, a un incremento continuo del ricorso al solo rito civile per la
celebrazione delle prime nozze: dal 29,9 % del totale dei primi matrimoni del
2011 al 43,4 % del 2021».
La
precarietà dei rapporti: convivenze e divorzi
Ma
soprattutto crescono le convivenze: «La diminuzione dei primi matrimoni è
speculare alla progressiva diffusione delle libere unioni (convivenze more
uxorio) che sono più che triplicate dal 2000-2001 al 2020-2021, passando da
circa 440 mila a 1 milione e 450 mila».
Rispetto al
matrimonio la convivenza è decisamente meno impegnativa. Si resta comunque dei
single che stanno insieme finché stanno bene insieme, salvo a riacquistare la
propria “libertà” in qualunque momento la relazione non li soddisfi più.
È vero che
ormai anche il matrimonio, almeno dal punto di vista civile, dopo
l’introduzione del divorzio non è più indissolubile. Ma rimane una scelta assai
più impegnativa che quella di “stare insieme”. In ogni caso, nota il rapporto,
«i divorzi sono stati in costante aumento dall’introduzione di questa
possibilità nell’ordinamento italiano nel 1970 fino alla metà del decennio
scorso.
Dal 2015 il
numero di divorzi ha subito una forte impennata (+57,5 per cento in un solo
anno), a seguito dell’entrata in vigore di due leggi che hanno semplificato e
velocizzato le procedure consensuali senza rivolgersi ai tribunali e ridotto
l’intervallo tra separazione e divorzio (a dodici mesi per le separazioni
giudiziali e sei mesi per quelle consensuali». Rispetto al 2011, le separazioni
sono aumentate del 10,1 % e i divorzi del 54,3 %.
La «famiglia
unipersonale»
Tutto ciò ha
un riflesso immediato sulla composizione della famiglia. Si osserva nel
rapporto che «se all’inizio del nuovo millennio la famiglia nucleare formata da
una coppia con figli era ancora la più frequente, seppure non più
maggioritaria, ai giorni nostri è superata dalla famiglia unipersonale». Per la
prima volta quelle formate da una sola persona (33,2 %) sono più numerose di
quelle costituite da una coppia con figli (31,2 %).
Di poco
inferiore, ancora, alla media di famiglie composte di single nei paesi europei
(35,9 % nel 2021) ma con una crescita progressiva (dal 24,0 % del 2000) che,
tendenzialmente, sembra portare ai numeri dell’Europa Centrale (Germania e
Francia 41 %) e del nord Europa (Svezia al 50,1 %). Insomma, il processo è
stato, nel giro di pochi decenni,dalla famiglia patriarcale del secolo scorso a
quella mononucleare dell’inizio del terzo millennio a quella composta di una
sola persona, di cui ancora in Italia abbiamo solo un’avvisaglia (33,2 % è già
una forte percentuale), ma che altrove è ormai pienamente affermata.
Tutto ciò ha
preciso riscontro a livello di diminuzione delle nascite. Leggiamo nel
rapporto: «Il saldo naturale, già pari a -335 mila unità nel 2020, si è sommato
a un ulteriore decremento di 310 mila unità nel 2021, determinando un deficit
di “sostituzione naturale” di 645 mila persone».
Il crollo
delle nascite è particolarmente accentuato tra le donne con meno di 30 anni. A
conferma di quanto si diceva prima sulla incapacità dei giovani di assumersi
responsabilità. Anche qui, come per il matrimonio, giocano sicuramente fattori
economici. Si aggiungano ad esse le ovvie conseguenze, sul piano biologico, di
avere un figlio in un’età in cui la curva della fertilità della donna è in
netto calo. Ma, come per il matrimonio, questi elementi non possono nascondere
una difficoltà più profonda, che rende gli italiani sempre meno capaci di generare.
Questo il
quadro oggettivo dell’andamento della famiglia , secondo il nostro Istituto di
statistica. Quale valutazione darne? Dobbiamo guardare con favore a un futuro
in cui il single sembra destinato a sostituire la comunità familiare?
Personalmente dubito che la maggior parte delle persone, almeno in Italia,
saluti questo come un traguardo auspicabile. Allora però è necessario chiedersi
quali sono le cause che lo stanno rendendo, col passare degli anni, sempre più
vicino. E poiché questa cause non sono solo economiche, ma anche culturali ,
dobbiamo interrogarci su ciò che dobbiamo cambiare nel nostro modo di pensare e
di agire, se vogliamo davvero evitare quell’esito.
Un diverso
concetto di libertà
A dominare
lo scenario della crisi della famiglia, come abbiamo visto, è l’affermarsi
sempre più indiscusso – già in Italia e ancora più in altri paesi europei –
della figura del single, di una persona, cioè, che è senz’altro disposta ad
avere rapporti con un partner, ma tende sempre di più a evitare un legame
stabile e definitivo. Convivenze, divorzi, famiglie unipersonali, hanno come
protagonista il single. Analogamente, si è restii a fare figli, perché ad essi
non si può applicare la logica del “stiamo insieme finché stiamo bene insieme”.
Padri e
madri lo si
è per sempre.
Il punto è
che per il single la libertà si identifica con l’autonomia, con la possibilità
di operare senza essere condizionati da vincoli di sorta. E se noi non
rimettiamo in discussione questa idea, il futuro sarà sempre più dominato dal
declino della famiglia come comunità. Bisogna riscoprire, accanto a questo
concetto di libertà, quello per cui essa non è solo la possibilità di fare e di
avere quello che si desidera senza incontrare ostacoli (non a caso di questa
libertà di dice che «finisce dove comincia quella dell’altro»: l’ostacolo
invalicabile è
l’altro), ma
la capacità di scegliere qualcosa o qualcuno per il valore che vi si trova e di
impegnarsi nei suoi confronti con tutto il proprio essere.
In questa
prospettiva, veramente libero è alla fine solo chi sa scoprire il senso della
propria esistenza in un ideale o in una persona a cui rimane fedele malgrado
tutte le difficoltà. Questo non esclude l’autonomia, ma le dà un orientamento e
una regola. Poter fare o avere senza ostacoli ciò che si desidera non è ancora
avere compreso che cosa davvero desiderare.
L’esperienza
di tante persone – si pensi a molti giovani – che fanno “liberamente”
(nell’accezione dell’autonomia) esperienze balorde e autodistruttive ci mette
in guardia dal ridurre a questo la libertà. Se essa non include anche la
responsabilità verso qualcosa di buono, di importante, gira a vuoto e non porta
da nessuna parte. Ma la responsabilità è inscindibile dalla serietà
dell’impegno: nel caso della famiglia, verso il partner e verso i figli. Se non
vogliamo che la famiglia del futuro sia in maggioranza formata da single.
*Pastorale
della Cultura, Diocesi Palermo
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