sabato 2 luglio 2022

PACE A QUESTA CASA !

 

Dal Vangelo secondo Luca - Lc 10,1-12.17-20

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.

Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi quelli che vi lavorano! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi chi lavori nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.

In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.

Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”».

 Commento di p. Paolo Curtaz

Paura

Dalla paura del Covid alla paura del vaccino alla paura della guerra alla paura della crisi economica (basta fare il pieno o comprare la frutta per accorgersene). Da anni, ormai, ci nutriamo di paure.

La crisi economica, culturale e di civiltà che stiamo vivendo mettono a fuoco alcune cose che forse non erano ancora così chiare.

Il momento è piuttosto delicato, i nodi vengono al pettine. Anche per la Chiesa. La nostra Chiesa.

Che diamine, viviamo in Italia, la terra dei santi, dei navigatori e dei poeti!

Respiriamo cristianesimo da quando veniamo al mondo, siamo immersi in testimonianze d’arte che rimandano continuamente al Vangelo, teniamo così tanto alle nostre feste cristiane!

Tutto vero. Più o meno.

Ma vivere in una società in cui i riferimenti storico culturali ancora si rifanno al Vangelo non significa essere discepoli di chi quel Nazareno professa essere Maestro e Signore. E, alla fine, la cosa è diventata evidente.

Certo, ci sono ampie zone del paese in cui le parrocchie radunano molte persone e si respira una religiosità popolare forte e radicata. Ma, appena si toccano le questione vere del Vangelo, ecco il fuggi-fuggi generale.

Ci scopriamo egoisti, vittimisti, razzisti, rabbiosi.

Come scriveva tempo fa il cardinal Ravasi: è il pensiero cristiano ad essere in minoranza, non il cristianesimo. Non è il cristianesimo ad essere in crisi, ma la forma storica che ha assunto in occidente e che fatica a dire di Dio.

Ecco allora la domanda peperina: esiste ancora la Chiesa? Chi è la Chiesa? Cosa identifica l’essere discepoli?

Il grande Luca ci aiuta, in questo percorso, mettendo a fuoco le necessità del discepolo.

Dal punto di vista di Gesù, non dal nostro.

Un’altra storia

Israele credeva che il mondo fosse composto da settantadue nazioni: ogni anno al tempio di Gerusalemme si immolavano settanta buoi per la conversione delle nazioni pagane.

Gesù invia a tutto il mondo, alle settantadue nazioni, i discepoli.

Non si ferma a pregare per la loro conversione. Non si lamenta della deriva che sta prendendo la Storia, della brutta piega degli eventi. Agisce: invia discepoli credibili per proporre a tutti il cambiamento di vita.

Decisamente un’altra storia.

Ed è interessante notare una sfumatura nella nuova traduzione liturgica del testo: non si parla di pochi operai ma di pochi che lavorano.

Gli operai sono tanti, fin troppo, preti, suore, religiosi, catechisti, laici impegnati. Ma quanti fra noi, davvero, hanno il fuoco che brucia dentro dal desiderio di raccontare Cristo? Di viverlo? Di renderlo presente e accessibile? Quanti fra noi (scrivente in primis, principe dei somari) hanno fatto delle parole del Vangelo il proprio stile di vita sì da essere credibili e creduti?

Quand’anche fossimo stracolmi di preti e laici impegnati ma non avessimo chi lavora, non cambierebbe molto… Se, alla fine, non riusciamo a comunicare l’amore che abbiamo scoperto (che stiamo cercando, che ci abita, che ci affascina), diventiamo solo dei funzionari del sacro.

Annunciare, quindi. Ed è difficile.

Parlare di Gesù ai cristiani, terribile! Sanno già tutto.

Ma si può fare.

Stile

I discepoli sono mandati a due a due, precedendo il Signore. Non dobbiamo convertire nessuno: è Dio che converte, è lui che abita i cuori. A noi, solo, il compito di preparargli la strada.

In coppia veniamo mandati: l’annuncio non è atteggiamento carismatico di qualche guru, ma dimensione di comunità che si costruisce, fatica nello stare insieme.

E ci chiede di pregare: non per convincere Dio a mandare operai (è esattamente ciò che egli vuole!) ma per convincere noi discepoli a diventare finalmente evangelizzatori!

L’annuncio è fecondato dalla preghiera: perché non diventare silenziosi terroristi di bene, seminando benedizioni e preghiere segrete là dove lavoriamo?

Affidando al Signore, invece di giudicare?

Il Signore ci chiede di andare senza troppi mezzi, usando gli strumenti sempre e solo come strumenti, andando all’essenziale. Lo so, amiche catechiste: il corso di nuoto o la settimana bianca sono mille volte più attraenti della vostra stentata ora di catechismo. Ma voi avete una cosa che a nessun allenatore è chiesta: l’amore verso i vostri ragazzi.

E ci avvisa, Siamo pecore in mezzo a lupi, e quanto profetica sta diventando questa parola nel nostro mondo intriso di rabbia! A patto di non diventare anche noi lupacchiotti in attesa che i lupi si convertano.

Il Signore ci chiede di portare la pace, di essere persone tolleranti, pacificate. Nessuno può portare Dio con la supponenza e la forza, l’arroganza dell’annuncio ci allontana da Dio in maniera definitiva.

Infine, il Signore ci chiede di restare, di dimorare, di condividere con autenticità.

Noi non siamo diversi, non siamo a parte: la fatica, l’ansia, i dubbi, le gioie e le speranze dei nostri fratelli uomini sono proprio le nostre, esattamente le nostre.

Gioite!

È faticoso e crocifiggente, lo so.

Lo sa anche Paolo che, pur convertendo il bacino del Mediterraneo, sente tutto il limite del suo carattere. Lo sa anche Paolo che chiarisce anche a noi che il problema non sono le regole (nel suo caso la circoncisione) ma l’essere nuova creatura. E noi, prutroppo, veniamo percepiti come i garanti delle regole.

 Come Isaia, siamo chiamati a incoraggiare gli esiliati di ritorno da Babilonia, a volare alto, a sognare in grande, a costruire il sogno di Dio che è la Chiesa. E pazienza per i risultati che mancano: è un’epoca di profezia, la nostra. È tempo di semina, non di raccolto.

 Allora potremo davvero sperimentare la gioia dell’annuncio, la gioia di vedere che Dio, sul serio! passa attraverso le nostre piccole e balbettanti parole, vedere che la Parola si veste delle nostre piccole riflessioni.

Quale gioia proviamo nel vedere altri condividere la nostra stessa fede!

Riflettevo, stamani: questa mia riflessione è letta o vista, all’incirca, da cinquantamila persone.

Se dodici pescatori di Galilea hanno incendiato d’amore il mondo, cosa potremmo fare noi?

Smettiamola di restare impantanati nella routine, superiamo le paure del mondo, non valutiamo i risultati come un’azienda del sacro: gioiamo amici, i nostri nomi sono scritti nei cieli, Dio già colma i nostri cuori e ci affida il Regno.

 Paolo Curtaz

 

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