si identifica con le persone
- di Giuseppe
Savagnone*
La campagna
elettorale procede, in questi giorni, sull’onda di piccoli e grandi scontri tra
fronti opposti e, all’interno di essi, tra partiti alleati. L’ultimo è quello
relativo alla presunta influenza della Russia sulla caduta del governo Draghi,
che vede la Lega sotto attacco da parte del PD e sostenuta da Fratelli d’Italia
e Forza Italia.
Ma anche nei
confini del centro-destra si sono appena risolti i dissidi sui rapporti di
potere, legati alla scelta del futuro premier, e nel centro-sinistra non sono
stati ancora definiti i confini dell’ex “campo largo”, ribattezzato “campo
aperto”. Per non parlare dei 5Stelle, attaccati da tutti e divisi al loro
interno.
In questa
ridda di voci dissonanti, la sola cosa che manca, da tutte le parti, è un
progetto politico da proporre agli elettori e su cui gli italiani siano
chiamati a scegliere il proprio futuro. I programmi sembrano essere l’ultimo
problema dei partiti.
In primo
piano sono le persone dei rispettivi leader. Non è una novità. Tutta la storia
della Seconda Repubblica è stata dominata dalla figura di Berlusconi.
Impossibile parlare della sua politica a prescindere dalla sua vicenda
personale di imprenditore, più precisamente di fondatore in Italia di quella
televisione commerciale che ha rivoluzionato la vita degli italiani
sostituendosi alla TV “pedagogica” di Bernabei e dei tempi della Democrazia
cristiana.
Prima ancora
di essere un importante uomo politico – suo il governo più duraturo della
Seconda Repubblica – Berlusconi è stato, in un certo senso, un educatore (non è
questa la sede per giudicare se in senso positivo o negativo), il cui influsso
culturale per il nostro Paese è stato decisivo nel passaggio dalla fine del
Novecento al nuovo millennio.
Da una
programmazione che in prima serata trasmetteva i drammi di Pirandello o di
Claudel e gli sceneggiati tratti dai grandi romanzi della letteratura mondiale,
con le sue televisioni si è passati a una fondata sulla pubblicità e quindi
necessariamente legata alla domanda della maggior parte degli spettatori,
tendenzialmente propensa ad altri generi.
E il movimento è stato così inarrestabile che la stessa televisione pubblica
alla fine ha dovuto adeguarsi. Lo stesso Berlusconi è stato in qualche modo la
proiezione dei sogni di tanti che, frustrati spesso da una vita mediocre, hanno
visto in lui l’immagine ideale dell’uomo di successo. Tutto questo è rifluito
sulla sua folgorante carriera di politico che, dal nulla, ha dato vita a un
partito – Forza Italia – capace nel giro di pochissimo tempo di andare al
governo.
Più che di
programmi scritti a tavolino, le sue scelte politiche sono sempre state
espressione immediata della sua inventiva e del suo fiuto nel cogliere le
situazioni. E i suoi nemici più che combattere le sue idee, hanno attaccato la
sua persona. Perfino la sua vita privata più intima è diventata oggetto di
discussione pubblica.
Come
rilevanza pubblica hanno avuto i numerosi processi che gli sono stati intentati
– dando origine alla sua convinzione di essere perseguitato dalla magistratura
– , e uno dei quali gli è costata una condanna definitiva, senza per questo
bloccare la sua carriera politica, proseguita fino ad oggi.
Il declino
delle idee e il primato dell’economia
Ma
Berlusconi è stato solo l’emblema di una stagione politica in cui il declino
delle ideologie ha corrisposto anche a quello delle idee. Il grande scontro che
aveva dominato il Novecento e che aveva visto contrapposte la visione liberale,
quella della destra totalitaria e quella comunista, si è progressivamente
svuotato di senso, nella seconda metà del secolo scorso, con la sconfitta
militare del nazi-fascismo e il crollo economico dell’Unione Sovietica.
Il solo
protagonista rimasto in campo, il neocapitalismo, ha potuto farsi scambiare per
l’unica soluzione possibile, malgrado le isolate e inascoltate proteste di
qualche papa, come Giovanni Paolo II («Centesimus annus») e Francesco («Laudato
si’»).
Questo nuovo
quadro internazionale ha prodotto i suoi effetti anche in Italia. Non ci sono
stati più progetti di grande respiro, in grado di far intravedere una società
diversa. Lo scontro tra i partiti è avvenuto nel clima rissoso dei talk show
televisivi o nei linciaggi mediatici su Facebook. E le scelte si sono fatte
prevalentemente in base a stati d’animo polarizzati da individui – Renzi,
Grillo, Salvini, oggi la Meloni – le cui immagini sono state enfatizzate dai
giornali, dalle televisioni e da Internet, dando pochissimo spazio ai contenuti
delle loro proposte politiche.
Il terreno
ideale per un populismo che disprezzava gli intellettuali e che, come anche i
fatti hanno ampiamente dimostrato, non aveva molto chiare neppure le idee. A
riempire il vuoto politico, in questi ultimi anni, è stata l’economia. Sono
stati i parametri stabiliti a Maastricht, e più in generale le linee stabilite
dall’Unione Europea, a fornire ai nostri governi le piste obbligate su cui
procedere. Non è un caso che il nostro più solido e apprezzato esempio di governante
sia stato Draghi, un banchiere. Anche se ci si dovrebbe ricordare che
l’economia riguarda i mezzi e non i fini, e che questi ultimi dovrebbero essere
stabiliti dalla politica. Salvo a essere di fatto perseguiti occultamente,
senza passare al vaglio del giudizio popolare, come vorrebbe una democrazia
degna di questo nome.
Il risultato
di questo meccanismo economico sganciato da una reale progettualità politica e
affidato alla logica degli interessi privati è sotto i nostri occhi. L’ultimo
rapporto Istat denuncia la presenza, in Italia, di più 5milioni e mezzo di
persone in condizioni di povertà assoluta. E già in precedenza era segnalato un
progressivo approfondirsi del divario tra ricchi e poveri. I 4o italiani più
ricchi possiedono oggi l’equivalente della ricchezza netta del 30% degli
italiani più poveri.
I partiti di
fronte alla scadenza elettorale
Questa
carenza di progettualità propriamente politica si risente pesantemente alla
vigilia delle imminenti elezioni. Che cosa propongono in realtà i partiti per
convincere gli elettori a preferirli? Da tempo la sinistra, orfana del
marxismo, è tutta presa dalle sue battaglia per i diritti individuali e sembra
aver rinunziato a proporre un’alternativa, radicale o anche moderata, alla
prospettiva liberale e al sistema capitalistico.
Il fatto
stesso che il PD si rifaccia in modo esclusivo all’“Agenda Draghi”, pur essendo
comprensibile, data la gravità della congiuntura economica, è un segno evidente
di questa rinunzia. Non meno vaghe sembrano le proposte dei 5Stelle, partiti
con una grande carica innovatrice, ma attualmente incapaci, sembrerebbe, di
proporre serie riforme del sistema.
A meno che
non si voglia considerare tale il reddito di cittadinanza, che, secondo
l’ultimo rapporto Istat, è senz’altro servito a limitare l’impoverimento della
popolazione, ma non è certo un correttivo strutturale ai meccanismi che lo
producono. Quanto alla destra, anch’essa appare, alla vigilia di queste
elezioni, ossessionata da un problema settoriale – quello delle migrazioni –
che, per quanto importante, non può sostituire un orizzonte progettuale
globale. Da parte sua, la Meloni sembra per ora soprattutto preoccupata di
dimostrare, ripetendolo a ogni pie’ sospinto, di non voler rompere con la
tradizionale fedeltà all’atlantismo dell’Italia. In mancanza di una proposta
d’insieme chiara, la politica estera diventa l’unico punto di riferimento. Ma
non basta certo a dire qual è il suo progetto politico complessivo.
La probabile
ascesa al governo della leader di Fratelli d’Italia rischia così di
assomigliare a un uovo di Pasqua, in cui solo alla fine salta fuori la
sorpresa. Ma siamo sicuri che sia questo il corretto funzionamento di una
democrazia? Nessuna meraviglia che un numero crescente di italiani si sia
stancato di una politica ridotta a questo show senza contenuto.
Dopo gli
anni della Prima Repubblica, in cui l’astensionismo era rimasto entro limiti
molto contenuti, passando dal 7,1% nel 1968 al
7,4% nel 1996 (0,3 in più in quasi trentanni), esso ha avuto
un’impennata nella Seconda, arrivando al 27% nel 2018 (20 punti in più nel giro
di poco più di vent’anni!).
No, non è
questa la democrazia. Vogliamo sapere che cosa il nostro voto produrrà. Che uso
verrà fatto, a lunga scadenza, dei soldi dell’UE, non solo per rattoppare i
buchi, ma per dare un orientamento al nostro Paese (e questo l’agenda Draghi
non può dirlo). Che cosa intende fare la Meloni se davvero si realizza il suo
sogno di prendere il potere.
È ora che
gli interessati diano queste risposte. Non ci bastano le loro facce sorridenti
sui manifesti elettorali. Il Paese ha diritto di conoscere i loro programmi e
di sapere che essi si impegnano a rispettarli. Perché queste elezioni non siano
come un uovo di Pasqua.
* Pastorale
della Cultura, Diocesi di Palermo
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