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Vittorio, Becher e i
giovani dell’associazione “Cappuccini” di Catania minoranza attiva per
rilanciare i loro quartieri. Ecco cosa chiedono.
(foto Associazione Cappuccini, Catania) - di Giuseppe Di Fazio
Vittorio e Becher, 19
anni il primo e 17 il secondo, sono al lavoro sotto un tendone. Con loro ci
sono anche Michael, Antonio, Tommaso e altri loro amici dell’Associazione
“Cappuccini” di Catania e di un’altra associazione che opera al rione
Tondicello Plaia. Sotto la guida di due architetti, di due progettiste di
un’impresa sociale, venute apposta da Milano, e dei loro storici educatori
Johnny e Graziella, che li seguono da dieci anni, i giovani stanno
realizzando manufatti in legno (librerie, panchine, tavoli) per l’inizio della
nuova stagione del doposcuola gratuito. “Con l’aiuto del maestro–architetto
Marco abbiamo imparato – racconta Vittorio – a renderci utili, lavorando il
legno. E le opere che abbiamo realizzato serviranno ad abbellire la
sede di Portofranco e dell’Associazione Cappuccini”. “Questa – aggiunge Becher,
riferendosi alla storica sede del doposcuola gratuito che frequenta da dieci
anni – è la nostra casa, il luogo in cui molti di noi abbiamo imparato a
studiare e siamo stati accolti”.
Siamo nel centro storico
degradato di Catania, in un quartiere dove non esiste alcun luogo di incontro o
di gioco per i giovani. Il cortile in cui si sta tenendo il laboratorio fa
parte di un edificio della Curia adibito a opere sociali. I ragazzi dell’Associazione Cappuccini
quest’anno, grazie al progetto “Di Bellezza si vive” (patrocinato dall’impresa
sociale ON srl di Milano e da Con i Bambini), hanno vissuto tante attività in
comune con i minori della comunità dell’Istituto Suore della Divina Provvidenza
al Tondicello Plaia (un’altra zona della città con problemi sociali gravi).
Dopo essere stati
accompagnati e guidati per mesi a visitare luoghi belli (dal Castello di
Federico II al Monastero dei Benedettini; dal Museo diocesano al rifugio
antiaereo della Seconda guerra mondiale) i ragazzi hanno cominciato a diventare,
nei rispettivi quartieri, una minoranza attiva. E la settimana che, a fine
giugno, hanno dedicato a restituire bellezza ai luoghi in cui vivono
rappresenta la documentazione di un cammino personale di crescita. Alcuni
esempi. Tommaso e Becher, dall’abisso della dispersione scolastica a cui il contesto
ambientale sembrava destinarli, sono stati promossi rispettivamente al quarto e
al quinto anno di un istituto tecnico di istruzione superiore. Vittorio, che a
settembre scorso era ancora impegnato a seguire corsi della Formazione
professionale, non solo ha conseguito il diploma ma sta cominciando a lavorare
nel mondo della ristorazione.
Stop smartphone a scuola/ UNESCO: “Connessioni online non
sostituiscono interazione umana”
Adesso Tommaso, Becher,
Vittorio, Simone e tanti ragazzi dei quartieri a rischio di Catania non sono
più per l’opinione pubblica e le amministrazioni locali i giovani “invisibili”.
Anche i mezzi di comunicazione nazionali si sono accorti di loro. Ma per le
amministrazioni pubbliche rischiano adesso di essere ridotti soltanto a un
“problema”. Ecco allora il pullulare di progetti, di osservatori, di convegni.
Ma questi ragazzi
chiedono di essere guardati come portatori di un valore, non come un problema.
Chiedono di poter avere l’opportunità di mostrare chi sono e cosa possono fare.
E se si sentono trattati come una risorsa riescono a dare risultati
sorprendenti. Spesso nell’essere e nel lavorare insieme in un’opera educativa o
sociale si crea una relazione che produce rapporti di reciproca fiducia, e
alimenta in ciascuno la capacità di rischiare e di guardare al bene comune. E’
questa la richiesta di tanti giovani, al Sud e non solo: vogliono poter
essere trattati da persone per divenire protagonisti nella vita del loro
territorio. Chiedono l’ impossibile?
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