- di Giuseppe Savagnone*
Indignazione e polemiche sono state suscitate dalle parole di
Vittorio Sgarbi, durante la serata inaugurale dell’Estate al Maxxi, il museo
delle arti del XXI secolo, svoltasi qualche giorno fa all’aperto. Era in
programma un dialogo tra il sottosegretario alla Cultura e il cantautore
Morgan, in cui i due avrebbero dovuto confrontarsi sui rispettivi gusti,
esperienze culturali e passioni.
A un certo punto, però, Sgarbi ha cominciato a disquisire sul
proprio membro virile, con una terminologia ostentatamente volgare, vantandone
le funzioni – «è un organo di conoscenza, cioè di penetrazione, serve a capire»
– e sbandierando le conquiste femminili – 9 donne al mese – che esso gli aveva
consentito, prima del sopravvenuto cancro alla prostata.
Al termine della serata una quarantina di dipendenti del Maxxi,
che ha un personale in prevalenza femminile, ha scritto al direttore del museo
Giuli per protestare contro una esternazione caratterizzata, come lo stesso
Giuli ha riconosciuto, da «turpiloquio» e «sessismo». A prendere una chiara posizione
è stato anche il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, che ha definito
le espressioni del suo sottosegretario «in ogni contesto inammissibili e ancor
più in un luogo di cultura e da parte di chi rappresenta le istituzioni».
Sgarbi si è difeso invocando la libertà di parola e soprattutto
facendo presente che il colloquio si svolgeva in un ambiente, il museo
dell’arte contemporanea, che è «il centro della dissacrazione, perché l’arte
contemporanea è dissacrazione». Anche se alla fine, davanti all’incalzare delle
critiche, si è scusato con chi poteva essersi sentito offeso dalle sue parole.
Da parte sua il ministro ha ribadito verbalmente la propria
presa di distanze. «Non capisco cosa potrei fare di più energico» ha detto;
«essendo un non violento, orgogliosamente non violento, non posso ricorrere ad
atti violenti nei confronti del sottosegretario Sgarbi». A dire il vero
qualcosa poteva fare, di più energico e di non violento, per esprimere la sua
riprovazione, ma non l’ha fatto, perché gli ha lasciato tutte le deleghe,
respingendo così non solo le richieste di coloro che volevano le dimissioni del
sottosegretario, ma anche ogni traduzione nei fatti del proprio dissenso.
Il problema culturale della destra
L’episodio, in sé abbastanza banale, solleva in realtà dei
problemi che non lo sono affatto e su cui si riflette forse troppo poco. Il
primo è quello della cultura della destra al governo. E’ noto il suo cronico
complesso di inferiorità di fronte alla pretesa della sinistra di essere la
sola depositaria dell’intelligenza. Proprio Sangiuliano, nel gennaio scorso,
ansioso di reagire a questo complesso, aveva cercato di individuare in Dante
Alighieri «il fondatore del pensiero di destra in Italia». «La destra», aveva
affermato orgogliosamente, «ha cultura, deve solo affermarla».
Una ricostruzione storica molto ardita, che era stata accolta
dai competenti con aperta ironia. Ma che, alla luce dell’ultimo episodio,
risulta ancora più problematica. È molto difficile trovare un qualunque nesso
tra Sgarbi e il poeta che ha celebrato l’amore nelle sue forme più spirituali,
individuando in Beatrice la guida al proprio viaggio verso il paradiso.
Al di là dell’interpretazione di questo sentimento e della
figura femminile, il paragone tra Dante e Vittorio Sgarbi risulta non solo
anacronistico, ma spietatamente infondato. Due mondi spirituali incompatibili. Si
dirà che la cultura della destra non è solo Sgarbi, ma sta di fatto che è
proprio lui l’unico intellettuale che è stato chiamato a far parte di questo
governo.
E non come un semplice fiore all’occhiello, ma in forza di una
militanza di destra che lo ha visto protagonista delle battaglie politiche da
cui esso ha tratto la sua legittimazione elettorale. A buon diritto lo si può
dunque considerare un rappresentante significativo. Tanto da escludere che si
rimettesse in discussione il suo ruolo pubblico anche dopo quanto è accaduto al
Maxxi.
Ma non è solo con Dante che Sgarbi è incompatibile. Ancora più
stridente è il contrasto tra il modello culturale incarnato dal famoso critico
d’arte e gli stessi contenuti del progetto culturale sostenuto con forza da FdI
e dalla Lega, tutto incentrato sulla famiglia e la genitorialità. In realtà lo
si sapeva.
Ad evidenziarlo ulteriormente è stata la curiosa scelta di Mara
Venier e della redazione di «Domenica In» di invitare proprio lui, Sgarbi, per
la puntata celebrativa della festa del papà, andata in onda domenica 19 marzo
2023.
Il sottosegretario è arrivato con le due figlie, Alba ed
Evelina, che sono state riconosciute dopo la nascita e non hanno mai vissuto
col padre. E, alle domande di rito rivoltegli a proposito dei gusti e degli
interessi delle ragazze, è risultato che lui delle figlie non sapeva
praticamente nulla, dalla data del compleanno al nome dell’artista prediletto.
«Allora delle due sicuro una è più vecchia». «E che ne so quando compie gli
anni; quando fa il compleanno mi chiama e mi dice: “Mi compri una borsa?”».
Ma il peggio è stato quando Sgarbi è andato oltre, augurando
alle sue figlie di chiudersi in convento piuttosto che sposarsi e definendo «le
ragazze nate dopo il 2000 tutte tr***». «Tanto tu sei del 1999, no?», ha
aggiunto, rivolto ad Evelina. «No, papà, sono del 2000».
È questa la cultura della famiglia e della genitorialità che la
destra vuole opporre al dilagare delle unioni omosessuali e della maternità
surrogata? O quella così efficacemente rappresentata dal defunto Silvio
Berlusconi, col suo harem di escort profumatamente pagate per soddisfare i suoi
inesauribili capricci? (In definitiva, con qualche parolaccia in più, Sgarbi
nel suo criticatissimo intervento, non ha fatto che riproporre il modello
berlusconiano, appena beatificato a reti unificate con tanto di lutto
nazionale: perché allora tanto scandalo?).
Oppure l’alternativa alla crisi della famiglia fondata sul
matrimonio tra uomo e donna è rappresentata dalle avventurose vicissitudini
sentimentali del divorziato Salvini? Per non dire che la stessa Meloni ha una
figlia, ma non si è mai sposata…
No, se vuole essere credibile, l’egemonia culturale che la
destra pensa di proporre – e che, ha proprio nella famiglia e nella
genitorialità il suo centro – deve avere ben altri testimonial. Il messaggio
che viene dall’intellettuale-principe del governo e dai leader dei partiti che
lo formano è perfettamente conforme alle idee che essi dicono di voler
combattere con tutte le loro forze, ma di cui sono, vistosamente, i primi
succubi.
Dai “maestri” agli “influencer”
Ma c’è un secondo problema, ancora più grave, forse, che si
evidenzia nella figura del nostro sottosegretario alla cultura, ed è l’eclisse
della stessa figura dell’intellettuale così come era stato concepito in
passato. Una figura che non implicava solo un bagaglio di raffinate conoscenze
e un acuto senso critico – di entrambi Sgarbi ne ha in abbondanza – , ma anche
una dimensione etica che la rendeva punto di riferimento per la società.
L’intellettuale, quale che fosse la sua visione della vita,
quali che fossero le sue peripezie esistenziali, quali che fossero i suoi
disordini morali, era in qualche modo il testimone di una ricerca della verità,
della giustizia, della bellezza – di qualcosa insomma che superava la sua
persona.
Quella che trova espressione perfetta, ma certo non esclusiva,
nella persona di Sgarbi, è invece l’immagine narcisista e autoreferenziale di
una persona che cerca innanzi tutto di esibire e far valere davanti agli altri
il proprio ego. Il narcisista non si limita a piegarsi a quello che gli altri
vogliono da lui, ma, nel farlo, si innamora dell’immagine di sé che la loro
ammirazione e il suo successo gli offrono, finendo per identificarsi con questa
immagine. Egli perciò non guarda la realtà, ma se stesso.
Non è una tentazione che riguardi solo l’uno o l’altro
personaggio del nostro scenario culturale, sia di destra o di sinistra, ma un
clima creato dalla società mediatica e a cui è molto difficile riuscire a
sfuggire. Nel tempo della post-verità tutto rischia di diventare spettacolo,
rappresentazione virtuale.
Tramonta così l’idea che l’intellettuale abbia una missione a
cui essere fedele, ad ogni costo, anche pagando il prezzo della solitudine e
dell’insuccesso. Emblematico il fatto che ad orientare lo sguardo dell’opinione
pubblica non siano più i “maestri” – pronti a morire, come Socrate, per restare
fedeli a questa missione – ma gli “influencer”, la cui ambizione è di
accrescere il numero dei loro follower e dei like.
Questo non minaccia solo una parte politica, ma la società.
Molto al di là della persona di Sgarbi e dell’episodio che lo ha visto
tristemente protagonista, vale la pena di chiedersi a quali condizioni sia
ancora possibile, oggi, sfuggire alla presa totalitaria delle mode e del
consenso. Ne va del senso della politica, ma non solo. Ne va soprattutto della
capacità dell’essere umano di andare oltre se stesso.
* Scrittore ed editorialista. Pastorale della Cultura, Diocesi
di Palermo
www.tuttavia.eu
Immagine: facciabuco.com
Nessun commento:
Posta un commento