La conversione necessaria
- di Mauro Magatti
C'è uno scacco culturale che blocca la capacità di affrontare
con successo le tante questioni del nostro tempo: nel mondo interconnesso in
cui viviamo, continuiamo a ragionare e ad agire nella logica della
indipendenza, quando tutto è diventato interdipendente.
Nelle scienze contemporanee le teorie dei sistemi complessi – in
particolare quelli viventi – dicono che il tutto è superiore alla parte. Un
principio richiamato anche da Papa Francesco nella Evangelii gaudium.
Sostenere questo non implica che la parte scompaia, assorbita da
una logica di sistema.
Più semplicemente, ciò significa che ogni elemento, che pure
gode di autonomia, esiste solo in relazione al tutto e agli altri.
Quest’idea semplice – antica e oggi riconosciuta dalla scienza –
non riesce a diventare cultura comune, cioè a orientare le scelte dei grandi
decisori, politici ed economici, e a trasformare il modo di vivere e di
organizzare le nostre società.
Prendiamo la questione della sostenibilità.
La consapevolezza che il nostro modello di crescita crea effetti
distruttivi sull’ecosistema ha fatto finalmente molti passi in avanti.
Ma si fatica a trovare le soluzioni. Ognuno (Paese, impresa,
cittadino) guarda la questione dal proprio punto di vista, facendo bene
attenzione a non pagare più degli altri.
Ma così diventa difficile, se non impossibile, riuscire a
compiere le scelte che pure sappiamo di dover prendere.
Gli scienziati ci dicono che, con una ragionevole certezza,
intere regioni del globo sono destinate a subire un drastico peggioramento
delle proprie condizioni di vita.
I migranti
Già nel 2022 i migranti forzati sono stati più di 100 milioni,
di cui un terzo per ragioni climatiche (questi ultimi destinati a diventare,
secondo la Banca Mondiale, più di 200 milioni nel giro di due decenni). Se
questo è lo scenario, possiamo ragionevolmente pensare che esistano soluzioni
(muri e “ricollocamenti”) che non affrontino le ragioni della mobilità umana?
La verità è che sostenibilità e migrazioni sono questioni da
affrontare insieme attraverso politiche di collaborazione in grado di gestire
una problematica (il cambiamento climatico) che ha effetti diversi sui singoli
territori, pur derivando da una causa comune.
Nessun Paese, nessuna impresa, nessun individuo può immaginare
di gestire questo nodo senza considerare le interconnessioni globali.
La guerra
Un secondo esempio viene dalla guerra, in particolare da quella
in Ucraina.
La sciagurata decisione di Putin di attaccare uno Stato vicino,
con l’obiettivo di spostare di qualche centinaio di chilometri il confine
russo, si è rivelata del tutto sbagliata, anche perché anacronistica.
Una decisione presa con le categorie dell’Otto-Novecento. Come
onde telluriche, le conseguenze della guerra in Ucraina si sono diffuse ovunque
attraverso la crisi delle forniture di energia, di grano e delle altre materie
prime, gli effetti inflazionistici, la ridefinizione dei rapporti geopolitici.
La guerra è sempre sbagliata. Ma lo è ancora di più in un mondo in cui le interdipendenze fanno sì che le questioni locali siano sempre, contemporaneamente, globali.
Ed è chiaro oggi che la via d’uscita dal tragico errore di Putin
va cercata a partire dagli annodamenti che si sono stretti ancora di più negli
ultimi 16 mesi.
Le diverse parti del pianeta sono sempre più legate a un destino
comune.
A valle del grande salto prodotto dalla globalizzazione della
fine del XX secolo, oggi ci troviamo a un punto di non ritorno: in questa nuova
configurazione storica (bisogna insistere sulla sua novità, ancora troppo poco
riconosciuta) è necessaria una conversione dello sguardo.
Una nuova intelligenza
O meglio, una nuova intelligenza che, mettendosi in ascolto
della realtà (per citare di nuovo la Evangelii gaudium, «la realtà è superiore
all’idea»), sia capace di mettere da parte quell’ottusità che deriva dal porsi
nel mondo esclusivamente dal proprio punto di vista: mai come oggi è evidente
che nessuno si salva da solo, che siamo tutti legati, che c’è un bene
dell’intera umanità da cui bisogna partire per risolvere le questioni locali,
che ogni interesse particolare è legittimo solo in rapporto all’interesse
generale. Una prospettiva peraltro necessaria per arrivare a immaginare e
costruire quelle nuove istituzioni di cui abbiamo urgente bisogno per dirimere
i conflitti, delineare tempi e modi della transizione, reindirizzare le ingenti
risorse finanziare disponibili, gestire le emergenze.
C’è troppa gente in giro che continua a guardare il presente con
gli occhiali vecchi del secolo scorso.
E che, proprio per questo, causa grandi disastri e altrettante
sofferenze.
Nessun commento:
Posta un commento