La morte non è solo l’ultimo istante della vita biologica, ma è una forza costantemente all’opera nella nostra vita quotidiana.
Siamo posti di fronte a
un’esperienza umana universale, quella di tre dominanti che agiscono sulle
sfere umane dell’amare, dell’avere e del volere.
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di Enzo Bianchi
A più riprese ho cercato di richiamare l’attenzione su una serie di comportamenti quotidiani che ritengo di poter definire “piccoli passi verso la barbarie”: atteggiamenti personali e collettivi che mi paiono minare in profondità la qualità della vita personale e della convivenza civile. Vorrei ora avviare un itinerario di riflessione su questo imbarbarimento strisciante utilizzando come chiave di lettura quelli che la letteratura cristiana antica – ma anche la coeva sapienza ellenistica – chiamava i “vizi capitali” e che invitava a combattere attraverso la “lotta spirituale”. E vorrei farlo attingendo a quei dati della rivelazione cristiana che maggiormente si riallacciano a fenomeni antropologici universali.
La
paura della morte
Il punto di partenza lo collocherei nell’unica fondamentale paura che domina e aliena ogni essere umano: la paura della morte. Essa è alla radice di tutte le altre paure, nonostante nel contesto culturale attuale, specie in occidente, si faccia di tutto per rimuovere la realtà della morte, con il risultato che è proprio lei ad abitare le nostre vite come un’angoscia di cui non sappiamo decifrare il volto. La morte non è solo l’ultimo istante della vita biologica, ma è una forza costantemente all’opera nella nostra vita quotidiana: si manifesta come sofferenza, malattia, separazione, rottura, fine di tutto ciò che per noi è vitale, al punto da causare vere e proprie situazioni di non-vita in chi biologicamente è ancora vivo.
La
libido possidendi
La libido possidendi è la seduzione esercitata sull’uomo da quella brama del possesso che fa leva sul fascino perverso dell’avere “tutto e subito”; oggi, in particolare, essa assume il volto di una sfrenata idolatria del denaro. A livello socio-politico, si pensi alla brama che porta a sfruttare le risorse del creato a beneficio esclusivo di un’esigua minoranza di persone, incuranti delle enormi sofferenze che ne derivano per tutte le altre. Questa forma di idolatria si manifesta nel considerare il possesso dei beni un fine in sé e nel giustificare ogni mezzo che consenta di accumularne la maggior quantità possibile, contraddicendo la loro destinazione universale. Qui la lotta spirituale esige la capacità di porre una distanza tra sé e le ricchezze, per non cadere nel terribile abbaglio di chi si lascia definire da ciò che possiede; occorre cioè uscire dalla logica angusta e angosciata del “mio” e del “tuo” per entrare nella libertà della condivisione e della comunione dei beni.
La
libido dominandi consiste nella ricerca della propria gloria e
dell’affermazione di sé a spese degli altri; è quell’inebriante miraggio del
potere che induce il singolo a trasformare la propria persona in assoluto. In
chi è preda di tale brama svanisce ogni coscienza interpersonale, perché gli
altri si trasformano in meri oggetti da dominare e ridurre in proprio potere; e
l’esito politico di questa vera e propria malattia sono le forme totalitarie di
cui abbiamo fatto tragica esperienza nel XX secolo… La pseudo-cultura che nutre
tale brama è quella della concorrenzialità, dell’individualismo esasperato che
vede nell’altro solo un ostacolo e un rivale, invece di considerarlo come un
dono, una ricchezza, una possibilità di salvezza: salvezza dall’isolamento
mortifero e dalla tentazione di farsi “come Dio”, salvezza come pienezza di
vita nella fraternità e nella comunione.
Immagine: Chi ha paura della morte?
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