L’ammontare dell’evasione nel nostro paese
si aggira sui cento miliardi di euro l’anno,
che, accumulandosi, è arrivato alla cifra
astronomica di circa 1.153 miliardi di euro,
costando 1.700 euro a testa ad ogni italiano.
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di Giuseppe Savagnone*
In
Italia c’è una nuova categoria di persone discriminate, perseguitate, bisognose
di riscatto e di rispetto. Non sono i cinque milioni e mezzo di nostri
connazionali che si trovano al di sotto del livello minimo di povertà, o
quell’80% di italiani sempre più poveri che, secondo l’ultimo rapporto Oxfam,
possiede solo il 31% della ricchezza, a fronte del 41% nelle mani del 5% di
ricchi sempre più ricchi, e neppure i circa cinquecentomila migranti irregolari
che vivono nel nostro paese ai margini della vita economica e civile.
Sono,
invece, i quindici milioni di italiani che non hanno pagato le tasse e che
perciò «hanno un conto aperto con l’Agenzia delle Entrate».
Lo
va ripetendo da giorni il vicepremier e ministro delle infrastrutture e dei
trasporti Matteo Salvini, con un accorato appello al governo e al parlamento
perché cessi la guerra nei confronti di queste persone e si instauri finalmente
la pace. «Una grande e definitiva pace fiscale tra fisco, agenzia delle entrate
e contribuenti italiani è fondamentale per liberare milioni di italiani
ostaggio da troppi anni dell’Agenzia delle Entrate, ha ribadito il ministro.
Non
ci eravamo mai accorti che ben quindici milioni di nostri connazionali fossero
«ostaggio» – un termine usato di solito per le vittime di azioni terroristiche
– dell’Agenzia delle Entrate. Mentre sapevamo – questo sì – che l’ammontare
dell’evasione nel nostro paese si aggira sui cento miliardi di euro l’anno e
che, accumulandosi, è arrivato alla cifra astronomica di circa 1.153 miliardi
di euro, costando 1.700 euro a testa ad ogni italiano.
Ma,
al di là dell’entità delle cifre sottratte alla comunità da chi non ha pagato
in questi anni le tasse – e continua a non farlo – , sono stati i toni usati
dal vice presidente del Consiglio a impressionare, per il pathos da cui
appaiono pervasi. «Dovrebbero essere aiutati non condannati, altrimenti avremo
sempre cittadini di serie B.», ha detto Salvini. Ritorna l’idea delle vittime,
da liberare. Da chi? Dallo Stato e dal suo ufficio, l’Agenzia delle Entrate,
che, secondo questa narrazione, le tiene «in ostaggio».
Ma
davvero le tasse sono una prevaricazione?
Tanto
forte è stata questa percezione, da esigere un chiarimento da parte del
direttore dell’Agenzia, Ernesto Maria Ruffini: «Il contrasto all’evasione non è
volontà di perseguitare qualcuno», ha detto Ruffini. «È un fatto di giustizia
nei confronti di tutti coloro che, e sono la stragrande maggioranza, le tasse
anno dopo anno le pagano».
In
realtà Salvini si appella a un sentimento fortemente diffuso di ostilità nei
confronti delle imposte, che è stato costantemente alimentato dalla destra nel
corso di questa Seconda Repubblica. A cominciare dalla vera e propria crociata
indetta da Silvio Berlusconi, che per molti anni è stato il leader
incontrastato del “Popolo delle libertà” e a cui si deve la celebre espressione
che definiva le tasse un «metter le mani nelle tasche degli italiani». Insomma,
un furto.
Ad
avvalorare la sua versione è stato certamente l’altissimo livello raggiunto in
questi anni dal sistema impositivo. Su di esso ha fatto leva il cavaliere: «Se
lo Stato ti chiede un quarto di ciò che con tanti sacrifici hai guadagnato,
senti che questo è giusto. Se ti chiede il 50%, senti che è un furto. Se ti
chiede addirittura il 60%, senti che è una rapina. E questo succede a tanti
lavoratori autonomi, ai professionisti, alle piccole imprese».
Da
qui una sostanziale solidarietà per gli evasori: «Se si chiede una pressione
del 50%, ognuno si sentirà moralmente autorizzato ad evadere».
All’immagine
delle tasse come rapina ha fatto eco, recentemente, quella utilizzata dalla
premier Giorgia Meloni, che, in un discorso a Catania, le ha paragonate –
almeno quelle che colpiscono i piccoli commercianti – a un «pizzo di Stato».
Ora, il “pizzo” è l’estorsione che l’organizzazione criminale mafiosa compie ai
danni dei cittadini, minacciando, in caso di rifiuto, rappresaglie violente di
ogni tipo.
Siamo
sulla linea del lessico usato da Salvini – e, prima di lui, dal fondatore della
Lega, Umberto Bossi, che parlava di «Roma ladrona» – quando definiva chi non
paga le tasse «ostaggi» che «dovrebbero essere aiutati e non condannati».
Non
ci facciamo da soli
In
realtà, questo modo di impostare la questione risente di un equivoco di fondo.
Si parte dalla premessa – falsa – che la società sia costituita da individui
che “si fanno da sé”, e che tutto ciò che guadagnano sia frutto del loro sudato
lavoro, da cui lo Stato preleva arbitrariamente, per garantire il proprio
funzionamento, una quota. Un «male», insomma, sopportabile solo se non supera
una certa soglia.
Certo,
è verissimo che le tasse in Italia in generale sono troppo alte. Ma è molto
strano che chi lo denunzia non dica anche che ciò dipende proprio dal fatto che
molti non le pagano e che perciò il loro peso ricade su una parte limitata – la
più indifesa – della popolazione.
Senza dire che ci sono casi in cui – sempre per impulso della “destra” e con l’acquiescenza della “sinistra” – l’Italia è invece un paradiso fiscale. Uno di questi è diventato di attualità, in questi giorni, nel diluvio di notizie relative all’eredità di Berlusconi.
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