le università usino l’Intelligenza Artificiale con creatività e responsabilità
- di Antonella
Palermo - Città del Vaticano
“Dalle
università cattoliche ci si aspetta non solo che custodiscano attivamente la
nobile memoria dei giorni passati, ma che siano anche sonde, e culle, del
domani”. È uno dei passaggi chiave dell’intervento del prefetto de Mendonça
che, alla luce del magistero di Papa Francesco, mette a fuoco il compito degli
atenei cattolici. Spiega che essi debbono “dialogare con il nuovo, lavorare
senza risparmiarsi sulle domande e le problematiche attuali, e costituirsi come
grandi laboratori del futuro”. Lo sottolinea, il cardinale, facendo anche
riferimento alla Costituzione Apostolica Ex Corde Ecclesiae - la quale a sua
volta non fa che confermare quanto affermato dal Concilio Vaticano II nella
Gravissimum Educationis – che esortava le università a un rinnovamento costante
basato, nondimeno, sul concetto fondamentale della ‘consapevolezza’.
A
marzo scorso, nel discorso ai partecipanti dei “Minerva Dialogues”, il
Pontefice ricordava che “solo forme di dialogo veramente inclusive possono
permettere di discernere con saggezza come mettere l’intelligenza artificiale e
le tecnologie digitali al servizio della famiglia umana”. Nell’incontro di
quest’oggi, il prefetto torna a fare proprie e a condividere queste parole,
convinto che “il futuro richiede una visione interattiva, una maturazione
poliedrica della realtà e l'audacia di rischiare”. Del resto, lo stesso Papa
Francesco ha spesso affermato che è nel dna dell’educatore la capacità di
rischio. Certamente il rischio a cui allude sempre il Papa è un rischio
ragionevole, frutto, appunto, di tutte le valutazioni opportune nel qui ed ora.
Si tratta infatti, osserva il cardinale, di “mantenere le priorità debitamente
salvaguardate”. Citando il discorso del Papa al Congresso Mondiale Promosso
dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica (2015), de Mendonça ricorda che
bisogna sempre tener conto della priorità dell'etico sul tecnico, del primato
della persona sulle cose, della superiorità dello spirito sulla materia, poiché
“la causa dell'uomo sarà servita solo se la conoscenza è unita alla coscienza”.
Ciò
su cui il prefetto insiste è dunque la necessità di “rafforzare un'antropologia
integrale che inscriva la persona umana al cuore dei principali processi di
civilizzazione”. L’invito è a un grande investimento nella formazione di
ciascuno per “sviluppare potenzialità cognitive, creative, spirituali ed
etiche, e così contribuire, in un modo qualificato, al bene comune”. Ciò che
sottolinea ancora il cardinale è che le università, e in particolare quelle
cattoliche, “non vivono per sé stesse, come se fossero impermeabili bolle di
realtà”. Non siamo dunque di fronte a mondi separati dalla società, dice, per
cui bisogna attivarsi per mettere in campo pratiche collaborative per un
generativo incontro di persone e culture. “Ciò richiede un'intelligenza
creativa – precisa - ma anche un discernimento che non può essere parziale, né
improvvisato, ma solidamente basato sui propri valori”. E qui chiama ancora a
supporto quanto Papa Francesco, già nella sua visita a Cagliari nel 2013,
esortava a leggere la realtà evitando di imprigionarsi nelle ideologie e a
viverla senza paure, senza fughe e senza catastrofismi.
A
questo punto, il prefetto cita Platone il quale, nel Fedro, approfondiva le
ragioni contrapposte di chi era a favore del passaggio dall’oralità alla
scrittura e chi era a sfavore. Da un lato, il timore dell’oblio delle anime e,
dall’altro, la fiducia in un miglioramento della memoria collettiva. Venendo
all'oggi, il cardinale portoghese ribadisce che l'ingresso delle università
cattoliche, in un’epoca segnata dall'impatto, in larga misura ancora da
scoprire e regolare, dell'intelligenza artificiale, ci obbliga a un delicato
esercizio di responsabilità. Conclude – ripetendo quanto il Papa disse alla
Plenaria della Pontificia Accademia per la Vita nel 2020 - che esiste “una
dimensione politica nella produzione e nell’uso della cosiddetta Intelligenza
Artificiale, che non riguarda solo la distribuzione dei suoi vantaggi
individuali e astrattamente funzionali. In altri termini: non basta
semplicemente affidarci alla sensibilità morale di chi fa ricerca e progetta
dispositivi e algoritmi; occorre invece creare corpi sociali intermedi che
assicurino rappresentanza alla sensibilità etica degli utilizzatori e degli
educatori... A questo proposito, parla di una nuova frontiera che si potrebbe
definire “algor-etica”... Facendo sempre tesoro dell'insegnamento del Papa,
l’invito finale è a globalizzare non la paura ma la speranza che, viene
ricordato, ha una radice ontologica, non essendo né un accessorio né una
eventualità.
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