per divenire consapevoli
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di don Enrico Palazzoli
La
meteorologia di questi giorni – che ondeggia impazzita tra caldo torrido,
grandinate, ‘bombe d’acqua’, frane, assomiglia al dilagare di parole che
raccontano dieci secondi di palpeggiamenti, il rogo nella casa di riposo a
Milano, la presunta violenza del giovane La Russa su una coetanea, la mamma
accecata dalla depressione che uccide un figlio, le bombe a grappolo che
ritrovano la loro oscena attualità (ma non erano state messe al bando?)
nell’ennesima puntata del reality russo-ucraino.
L’anno
scorso venivano emanati editti per risparmiare acqua. Quest’anno nemmeno
l’ombra.
Pareva
che fossimo tutti desiderosi di pace e un mondo migliore, ma nessuno è disposto
a rinunciare ai propri privilegi in favore dei disagiati.
Tutti
parlano, tutti commentano, tutti accusano, difendono, gridano e si sdegnano.
Non
passa un secondo che non ci sia un evento da riportare in cronaca.
Non
passa un minuto che qualcuno non faccia una dichiarazione che smentisce quella
precedente.
E
che si fa in questi casi?
La
rivoluzione.
Non
quella che ribalta i corpi e le storie altrui, sperando di modificare la storia
e spesso tingendola solo di sangue.
Ma
quella che, ribaltando noi stessi, continuamente converte parole e gesti
guardando all’orizzonte della nostra dignità e responsabilità.
Si
resta allora in silenzio e si attende che passi l’ondata per riuscire a
guardare un po’ più lontano.
Si
allena l’arte di ascoltare, discernere, decidere.
Si
spegne il pc e si resetta la consapevolezza.
Si
fa alleanza con altri uomini e donne desiderosi di rispetto e di condivisione,
pronti alla fatica della custodia di ciò che è buono e vero, seppure fragile e
incerto.
Si
depone lo smartphone e si fa voto di consultarlo solo se arriva una chiamata.
Non
per giocare con le immagini, le parole e i brandelli di vita che, lacerati e
contusi, ci vengono sbattuti addosso come in una macelleria che serve
frattaglie.
Molti
adulti della generazione attuale usano il mondo come un invito ad accomodarsi e
adattarsi, un luogo dove i figli stanno perdendo parecchie occasioni per
crescere, perché costa meno vivere in una melassa di sensazioni che non
conducono a nessun sentimento, nessuna decisione, nessuna libertà a caro
prezzo.
Noi
– cristiani imperfetti che percorriamo questo tratto del vivere umano –
vorremmo dedicare energie, creatività, intelligenza a seminare qualcosa che
porti frutto, disposti anche a rinunciare oggi per poter consentire al futuro
di avere spazio.
Non
per noi, ma per chi abbiamo generato e che deve poter accogliere la vita come
dono non avariato.
Perché
così Dio – con paziente intelligenza e lungimirante sapienza – ha disposto che
accada: ma non tocca a Lui fare il nostro ‘mestiere’ di creature.
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