*Scuola*
La cultura classica
e
gli imperativi della tecnica
-
di Luca Peyron
Il
greco non ne parliamo, ma avete visto che fino ha fatto l’economia greca?
Manzoni superato. Beh, lo abbiamo ritirato fuori con il Covid e la peste, ma
insomma mica capita una pandemia tutti i momenti. Chi ha ragione? Resto
dell’idea che ha sempre ragione chi ha delle ragioni. Degli argomenti, un
discorso. E abbia più spesso torto chi si ferma alle narrazioni, all’esempio
dell’ultima ora, alla panzana che, nell’etimo, parla solo alla panza. L’etimo,
appunto.
Nello
spiegare ai miei studenti il capitalismo di sorveglianza o il neofeudalismo di
certi schemi sociali o come funziona l’algocrazia ricorro spesso alle parole,
alla loro radice
latina o greca. Non per fare sfoggio di cultura, ma per
consegnare loro un orizzonte di senso. Tornare alla radice delle lingue, anche
quelle antiche, non uccide quelle vive: le fa nuovamente fiorire. La lingua,
primo artefatto tecnologico che l’essere umano abbia creato, non è infatti solo
funzione di un messaggio, veicolo di informazione, strumento di correlazione. È
prima di tutto custode del senso, accumulato nella sua storia, nelle sue
mutazioni, nelle sue metamorfosi.
Mai
come in un tempo di metamorfosi digitale saper ritornare alla radice ci
permette di distinguere il frutto buono da quello avvelenato, la menzogna dalla
verità. La res dalla fake. Non è solo questione di allenamento neuronale: chi
ha incontrato Tacito o Livio e si è sorbito le parasanghe forse è più capace di
pensiero laterale, di analisi e sintesi. Ma non è detto. Certamente chi è
passato sotto le mura di Troia, chi ha attraversato il Peloponneso e i gironi
danteschi, chi ha viaggiato sulla Luna prima che vi sbarcasse l’Apollo, molto
semplicemente ha il gusto di immaginare e pensare. Che è sinergico, non
sostitutivo, del pensiero che computa e risolve, che va meglio strutturato e
più opportunamente insegnato. La logica cattolica non è mai aut aut,
ma et et.
Nell’epoca
delle macchine pensanti, sento fortemente il bisogno di sapere che ci sono e ci
saranno uomini e donne che continuano a pensare, che si assumono la
responsabilità di pensare perché hanno trovato nelle batracomiomachie o nella
vicenda di Leon Battista Alberti fonte di ispirazione. L’educazione e la
cultura per tutti, non solo per le élite, è stata una conquista meravigliosa. A
cui oggi vogliamo rinunciare nel nome della fatidica frase: a cosa mi serve? In
armi esiste un ruolo particolarmente duro e odioso: il servente al pezzo. Chi
è? Il soldato, semplice, grande e grosso, che mette i proiettili nelle culatte
dei cannoni e toglie i bossoli dopo lo sparo. Un compito terribile. Davvero
desideriamo che i nostri figli siano serventi delle macchine e nulla di più?
Leon Battista Alberti: ci ha fatto vedere in due dimensioni le tre, ha
“inventato” la prospettiva. Ecco, è tutto qui. Prospettive.
Ogni
volta che ci facciamo la domanda, rispetto alla cultura, a che cosa serve la
risposta è sempre una sola. A farti servire. Ed è una cosa cattiva. Dal latino captivus,
schiavo. Cristo ci ha resi liberi, ricordandoci che nella nostra carne, prima
delle sue funzioni, vi è un logos che la abita. Che deve studiare più e
meglio l’informatica, ma sulle ginocchia del Manzoni, andando ogni tanto a
riveder le stelle.
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