È
attuale l’umiltà
nell’era del selfie?
Il
vero pericolo è credere
di essere umili senza esserlo
Anche
quando domina il narcisismo è sempre possibile una crisi che ci obbliga a
guardare con lucidità alla nostra natura di esseri imperfetti e vulnerabili.
-
di GIOVANNI SCARAFILE
Viviamo
in un’epoca dominata da una cultura dell’ego in cui la vera essenza della
persona si distorce in un’ostentazione di autosufficienza quasi cinica. Un tale
fenomeno riecheggia come un ritmo persistente attraverso vari strati della
nostra realtà. Nel mondo digitalmente connesso, la personalità autentica viene
spesso ridotta all’immagine luccicante di un profilo social. Lo scenario
professionale non fa eccezione, con la figura del leader che avanza solo,
trascurando le voci di coloro che potrebbero offrire preziosi spunti di
crescita.
In parallelo, osserviamo come la frenetica corsa verso l’indipendenza
venga imposta sui giovani e come l’ossessione per il successo personale e la
perfezione fisica spesso eclissi l’importanza del lavoro di squadra e
dell’accettazione di sé. All’interno di tale scenario, l’umiltà è più che altro
uno stratagemma, un modo per manipolare gli altri, non farli sentire
minacciati, carpendo in tal modo la loro fiducia. Si tratta di un espediente,
nemmeno tanto originale, opportunamente segnalato in molta letteratura. Si
pensi, ad esempio, al personaggio di Tartufo nella omonima commedia di Molière.
Questo astuto ipocrita si maschera di falsa pietà e umiltà per infiltrarsi nel
cuore e nella casa di Orgon, l’ingenuo protagonista, con l’unico obiettivo di
ottenere ricchezze e potere. Un altro esempio si trova in Uriah Heep, uno dei
protagonisti del romanzo David Copperfield di Dickens, che usa la sua apparente
sottomissione come strumento di controllo degli altri. In entrambi i casi,
l’umiltà viene distorta e sfruttata, diventando un mezzo per l’inganno
piuttosto che un valore da coltivare e condividere.
E
allora, come possiamo ricatturare l’essenza autentica dell’umiltà in un mondo
che appare distorto dalle sue stesse alterazioni? Una risposta può venire dal
filosofo e teologo Francesc Torralba Roselló che nel suo recente libro, Umiltà
(Qiqajon, pagine 172, 20,00), introduce il concetto di «frontiera ontica».
Anche in situazioni dominate da un eccessivo narcisismo, il sempre possibile
insorgere di una crisi o di una malattia ci obbliga a guardare con lucidità
alla nostra vera natura di esseri finiti, imperfetti e vulnerabili. In queste
momenti cruciali, siamo portati indietro all’humus, alla terra, alla nostra
intima connessione con il suolo, una potente metafora del nostro legame con le
nostre radici più profonde. Questo ritorno, tuttavia, non è privo di avvertimenti
critici. La terra, infatti, può radicarci alla nostra autenticità, ma può anche
diventare un ostacolo quando ci impedisce di andare oltre noi stessi e di
apprezzare ciò che trascende il materiale. È questo il motivo per cui umiltà e
consapevolezza di sé devono essere congiunti, dal momento che senza una vera
conoscenza di noi stessi e dei nostri limiti qualsiasi tentativo di
miglioramento cadrebbe nel vuoto.
In
questo contesto, l’umiltà assume un ruolo purificatore, messo bene in evidenza
nel dipinto Gesù lava i piedi a Pietro di Ford Madox Brown, realizzato intorno
alla metà dell’Ottocento. Nell’atto di rappresentare il soggetto religioso
generalmente considerato icona per eccellenza dell’umiltà, l’artista inglese
decise di far coincidere il fulcro visivo dell’opera, cioè il punto verso cui
l’osservatore è naturalmente portato a guardare, con il catino dell’acqua. Non
Gesù, né Pietro, ma l’acqua. Lavare i piedi diviene così il simbolo di
purificazione perché ci libera dagli eccessi di protagonismo del soggetto,
dando corpo al decentramento dell’io, al cambiamento di prospettiva che apre
alla vita invece di ridurla entro i confini ristretti della identità.
Questo
era esattamente il percorso delineato dalle massime della tradizione cristiana
antica. Nelle opere dei Padri della Chiesa, l’umiltà trovava realizzazione in
quattro pratiche principali: la sottomissione, la resilienza nel dolore fisico,
la paziente tolleranza delle ingiustizie, e l’auto-negazione. Come Kent
Dunnington ha sottolineato nel suo libro Humi-lity, Pride, and Christian Virtue
Theory, nelle prime comunità cristiane, «la giusta opposizione a se stessi è al
servizio di un sé più integrato», raggiungibile attraverso risorse che
provengono da una dimensione trascendente. Detto in altro modo, si può arrivare
all’umiltà attraverso due percorsi, uno laico e l’altro religioso nel senso più
ampio del termine.
Nel
suo volume, Torralba Roselló, coglie bene questi due aspetti, ma ci lascia
nell’incertezza quando si tratta di specificare i criteri che permettono il
passaggio dall’uno all’altro. Inoltre, nonostante il testo del filosofo
spagnolo sia accessibile anche quando sviluppa argomenti complessi, ci sono
momenti in cui egli sembra troppo generoso con le citazioni. Ci si può
ritrovare a navigare tra i pensieri di diversi autori in rapida successione,
prima ancora di aver avuto la possibilità di assimilare appieno i concetti
espressi da ciascuno di essi. Questa abbondanza di voci ed idee, se da un lato
amplia la prospettiva di interpretazione del tema, dall’altro può rischiare di
generare un’eccessiva complessità. « L’umiltà – assicura Torralba Roselló – non
consiste nel pensare meno se stessi, ma nel pensare meno a se stessi». Si
tratta di una definizione efficace, in grado di mettere d’accordo le
generazioni. Non a caso, con identica formulazione, essa è originariamente
rinvenibile in The Purpose-Driven Life, scritto nel 1954 da Rick Warren, uno
dei libri più venduti di tutti i tempi, elogiato per il suo approccio
accessibile e pratico alla spiritualità.
L’umiltà è più che mai attuale. È
senz’altro vero che la tendenza moderna di mettere l’individuo al centro,
valorizzando la sua autosufficienza e il suo protagonismo, ha messo in ombra
questa virtù così fondamentale. Tuttavia, l’umiltà non è un segno di debolezza
o di inferiorità, ma piuttosto una manifestazione di forza interiore e di
saggezza. Come ci ricorda C.S. Lewis ne Il cristianesimo così com’è, il
pericolo risiede nel credere di essere umili senza esserlo veramente, poiché
«se pensi di non essere presuntuoso, vuol dire che lo sei moltissimo».
www.avvenire.it
Nessun commento:
Posta un commento