atomi separati.
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di Mauro Magatti*
La
contrapposizione tra interesse privato e bene pubblico costituisce un cronico
punto debole della società italiana che, oltre a minare il progresso del Paese,
complica la felicità individuale.
Con
le parole di Giacomo Leopardi «mancando la società stessa, non può avervi gran
cura del proprio onore, e l’idea dell’onore e delle particolarità che
l’offendono o lo mantengono e vi si conformano, è vaga e niente stringente.
Ciascuno
italiano è presso a poco ugualmente onorato e disonorato».
Il
fenomeno più clamoroso, a cui sembra che il Paese sia rassegnato, rimane il
livello di evasione fiscale che continua a essere tra i più alti dei Paesi
occidentali.
Troppi
italiani continuano a sfruttare i servizi comuni senza pagare le tasse dovute.
Ma
se si va nelle numerose periferie del Paese si rimane colpiti dal contrasto tra
la cura delle abitazioni private - comprensibile espressione del desiderio di
costruirsi una nicchia di sopravvivenza - e l’incuria e il degrado di interi
quartieri.
Più
in generale, è triste constatare la persistenza di quel «familismo amorale» -
di cui parlò l’antropologo americano Edward Banfield - per il quale il valore
della fedeltà a qualche cordata di potere (a base famigliare, politica,
religiosa etc.) fa premio su qualunque altra valutazione.
Basti
guardare a quello che succede ancora oggi dentro ai partiti, nelle università e
persino nell’associazionismo.
Il
problema è che questo deficit di moralità pubblica ci fa pagare un costo sempre
maggiore in un mondo in cui dobbiamo fare i conti con l’interdipendenza, la
complessità, la sostenibilità. Il passaggio dalla globalizzazione «espansiva» a
quella «competitiva» segna un cambiamento di fondo che può essere colto da una
metafora marina: fino a qualche anno fa tutti navigavamo sull’oceano della
globalizzazione spinti al largo da un’unica corrente.
Poi
sono cominciate ad arrivare le crisi che, anche se superate, hanno lasciato un
mare tempestoso, dove le correnti sono forti e spesso contraddittorie, oltre
che di difficile previsione.
Per
tenere il mare in questa nuova situazione occorre disporre di una
«imbarcazione» (impresa, territorio, Stato) ben attrezzata, equipaggiata e
affiatata.
Ancora
più di quanto non fosse vero in passato, l’interesse individuale è strettamente
legato alla qualità dell’organizzazione sociale.
Due
ricerche pubblicate di recente - frutto di gruppi di lavoro e metodologie molto
diverse - arrivano alla medesima conclusione.
Una
prima fonte è il World Happiness Report che studia il livello di felicità in
137 Paesi: il risultato è che un elevato livello di soddisfazione nasce
dall’incrocio tra un atteggiamento soggettivo positivo nei confronti
dell’ambiente e un contesto ben organizzato, dove le regole sono chiare e
valgono per tutti (a partire da un basso tasso di corruzione).
La
felicità non è un affare privato. Ma nasce dal modo in cui si costruisce il
nesso tra il singolo e ciò che gli sta intorno.
Qualcosa
che in Italia facciamo fatica a capire e mettere in pratica (e infatti il
nostro Paese è solo al trentatreesimo posto, e per giunta in peggioramento).
A
risultati simili (e complementari) arriva anche il Rapporto sulla sussidiarietà
2023 che, basandosi sugli indicatori del Bes pubblicati dall’Istat, arriva a
identificare delle correlazioni che smontano diversi luoghi comuni.
Il
rapporto dice infatti che dove è forte, la cultura della sussidiarietà - che
consiste nella capacità di sentirsi parte della comunità portando il proprio
originale contributo al benessere collettivo - riduce la mortalità evitabile,
attenua il rischio di povertà e gli abbandoni scolastici, facilita la
possibilità di trovare lavoro e di ricevere stipendi adeguati. Migliorando
contemporaneamente la qualità della vita di chi si dà da fare e dell’intera
comunità circostante.
La
ragione fondamentale è che la partecipazione attiva sviluppa il capitale
personale, relazionale, culturale, istituzionale di una comunità.
È
cio non solo fa la differenza a livello collettivo - permettendo delle
performances migliori - ma anche a livello individuale - garantendo un senso di
realizzazione di sé altrimenti irraggiungibile.
Eppure,
al di là dei grandi progressi, la malattia di cui parlava Leopardi - la
contrapposizione tra interesse privato e bene pubblico - continua a indebolire
le energie positive di cui pure il Paese è ricco. Pervicacemente, continuiamo a
pensare e a comportarci come se il mondo non fosse radicalmente cambiato, come
se le nostre conoscenze fossero sempre le stesse.
E
tutto ciò nonostante che, ormai da un secolo, le scienze naturali, a partire
dalla fisica quantistica per arrivare alla biologia, ci dicono che non c’è
forma di vita sulla faccia della Terra - ivi compresa la forma umana - che non
sia in relazione con ciò che la circonda. Noi non siamo atomi separati.
Ma
individui che godono di un margine di libertà relativo, strettamente legati
all’ecosistema in cui vivono che, a loro volta, contribuiscono a rigenerare.
Si
arriva così a un’ultima considerazione: lo sviluppo - inteso come un processo
che avanza migliorando la qualità delle singole persone e dei contesti
relazionali e istituzionali - è cosa diversa dalla crescita - vista come la
mera somma dell’aumento delle possibilità individuali.
Il
desiderio è l’energia che muove il mondo. Ma non basta limitarsi a liberare
questa energia. Ugualmente importante è riconoscersi parte di una comunità di
destino, contribuendo al suo sviluppo e alla cura di ciò che ci circonda.
Senza
qualità istituzionale, culturale, sociale alla fine sono le stesse possibilità
individuali a sfiorire.
Per
l’Italia sembra un passaggio culturale ancora ostico: è però venuto il momento
di compierlo.
* Corriere della Sera
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