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di Giuseppe Savagnone*
Ha
lasciato una scia di polemiche e di tensioni irrisolte la vicenda del Salone
del Libro di Torino, dove, il 20 maggio scorso, la presentazione di un libro
del ministro Roccella è stata interrotta e poi sospesa per la contestazione di
esponenti del movimento femminista «Non una di meno» e di quello ecologista
«Extinction rebellion».
In
verità, l’episodio non ha, di per sé, nulla di eccezionale, anche se merita
sicuramente una riflessione; ma a renderlo estremamente significativo sono
state le reazioni a cui esso ha dato luogo da parte di personalità della
politica e della cultura.
Cominciamo
dalla cronaca dei fatti. Sono le tredici e nell’Arena Piemonte, al Salone del
Libro di Torino, comincia la presentazione del libro «Una famiglia radicale»
(Rubbettino), in cui la Roccella parla della sua storia familiare.
Subito
scatta la contestazione. Urla, fischi, cori, manifestanti che si sdraiano per
terra. Vengono scanditi a gran voce slogan come «Nessuno Stato, nessun Dio, sul
mio corpo decido io». L’obiettivo principale della protesta sembra l’obiezione
di coscienza sull’aborto.
La
reazione della ministra, in questo bailamme, viene descritta con grande
obiettività da un articolo di www.micromega.net
che è assolutamente credibile perché, nel suo insieme, molto critico nei
confronti della ministra stessa e del governo: «“Non voglio che sia portato via
nessuno con la forza”. Le parole della ministra per la Famiglia, la natalità e
le pari opportunità Eugenia Roccella contestata al Salone del Libro di Torino
risuonano nette mentre i poliziotti stavano già iniziando a trascinare via di
peso le attiviste e gli attivisti (…). “Ho iniziato così la mia militanza
politica, ricordo bene quando venivo trascinata via di peso durante
manifestazioni non violente, non voglio che accada qui adesso”. La ministra ha
invitato i manifestanti al dialogo, una delle attiviste ha dunque preso il
microfono e letto un documento».
In
esso si contesta alla Roccella di avere «più volte dichiarato che purtroppo
l’aborto è un diritto delle donne». Si accusa, inoltre, «un sistema politico
cieco di fronte alla gravità della crisi climatica».
La
ministra nota che avrebbe preferito il dialogo, non un comunicato. Comunque,
risponde che in Italia nessuno vuole toccare il diritto all’aborto, che però anche
l’obiezione di coscienza è un diritto e che non è vero che essa rappresenti un
ostacolo all’interruzione di gravidanza. Poi rilancia riprendendo un tema che a
lei preme molto e che trova d’accordo anche frange consistenti del movimento
femminista: «Lottate contro l’utero in affitto insieme a noi, contro la
mercificazione del corpo delle donne».
L’intervento
del direttore del Salone
Il
risultato è l’esasperarsi della protesta. Viene chiamato il direttore del
Salone, Nicola Lagioia, che tenta di parlare ai manifestanti: «La democrazia
contiene anche la contestazione, ma non perdiamo questa occasione di dialogo.
Mandate un vostro delegato qui sul palco a discutere con la ministra. Anche in
politica si fa così. State manifestando pacificamente, adesso cercate un
dialogo».
Accusato di essere stato incapace di impedire la contestazione, Lagioia ha poi spiegato ad Agorà su Rai3: «Io non sono il servizio d’ordine del Salone e non sono la polizia. Ho detto ai ragazzi: eleggete un vostro delegato e trasformiamo questa contestazione in un dialogo. Loro mi hanno detto di no. Hanno rifiutato questa mediazione. È un peccato, ma è legittimo da parte loro. Il mio metodo è quello del dialogo, non del manganello».
La
sua mediazione viene considerata inadeguata dalla deputata di Fratelli d’Italia
Montaruli che lo investe a gran voce: «Vergognoso! Sei stato vergognoso! La
contestazione legittima! Con tutti i soldi che prendi! Vergognati!». E allude
alla prossima scadenza della sua carica dicendo che la sua uscita di scena sarà
salutata da «un rullo di tamburi».
La
Roccella, dopo due ore di vani tentativi di ristabilire la calma ha deciso di
abbandonare il Salone, salutata dai cori ironici e dagli applausi dei
contestatori trionfanti che le dicevano «Ciao, Roccella, ciao».
I
commenti
È
appena il caso di dire che giornali e personalità politiche della destra hanno
dato piena solidarietà alla ministra. Non è stato così invece, da parte di
altri. Con qualche eccezione. Ha scritto su Twitter Matteo Renzi: «Il Salone
del Libro di Torino è una bellissima palestra di libertà e democrazia. Impedire
alla ministra Roccella di parlare significa negare i valori della cultura, del
dialogo e del rispetto. Pasolini, che era un gigante, non parlava a caso di
‘fascismo degli antifascisti».
Molto
diversa la reazione della segretaria del PD Elly Schlein: «In una democrazia si
deve mettere in conto che ci sia il dissenso, sta nelle cose, non riguarda mica
solo chi sta al potere. Noi siamo per il confronto duro, acceso, ma è surreale
il problema che ha questo governo con ogni forma di dissenso».
L’unica
voce del PD che si leva in solidarietà di Roccella è quella del sindaco di
Torino, Stefano Lo Russo. La contestazione alla ministra è «legittima», dice,
ma «quando travalica e rende impossibile esprimere il proprio pensiero si
sconfina in una dimensione che è antitetica al concetto stesso di libertà».
È
peraltro una eccezione nel panorama della sinistra. Non solo a livello
politico, ma anche a quello culturale. Selvaggia Lucarelli, in un tweet, ha
scritto: «Chi pensa che il dissenso non si esprima in quel modo, non ha ben
chiaro un concetto base: il dissenso, laddove esprima un malessere per la
propria condizione determinata da una scelta politica, non si esprime dalla
propria cameretta (…). Se un ministro ha idee retrograde e pericolose, in cui
una parte della società non si riconosce, è sacrosanto che attivisti e semplici
cittadini portino le proprie istanze all’attenzione pubblica (…). Io ringrazio
chi ha protestato ieri: lo ha fatto anche per me».
La
scrittrice Michela Murgia, all’intervistatore che le faceva notare che il
ministro aveva offerto la possibilità di fare un dibattito, ha risposto così:
«La ministra Roccella non è una scrittrice come un’altra. È una persona che ha
il potere di “fare le leggi” (…) E queste persone stanno pagando
quotidianamente per le scelte di queste leggi. Quindi è normale che siano
arrabbiate ed è normale anche che vadano a mostrarlo. Se volevi il dibattito,
l’avresti fatto nel percorso di costruzione di quelle leggi (…) perché in
democrazia la mediazione si fa PRIMA delle leggi.
Se
PRIMA fai le leggi e POI vuoi il dibattito, io mi sento un po’ presa in giro.
Quindi capisco che le persone abbiano detto: “E’ troppo tardi per il dibattito”
(…). Si può fare conflitto, contestazione di idee anche dicendo all’altro:
quello che tu hai fatto e che hai scritto e teorizzato in questo libro ha reso
la mia vita peggiore e quindi io non ti lascio parlare».
Ci
sono diverse forme di violenza
Prima
di dare un giudizio personale, ho voluto vedere il video che circola online e
invito i miei lettori a fare lo stesso. Da esso risulta con evidenza che quello
che si è creato è stato – e non per colpa della ministra – un clima di
violenza.
Perché
la violenza non è solo muscolare. Ce n’è una che si esercita attraverso la
burocrazia, di cui abbiamo avuto un esempio nella censura (poi rientrata) nei
confronti di Carlo Rovelli, contro cui si è giustamente levata la protesta del
mondo della cultura. E ce n’è una vocale, che consiste nell’urlare, rendendo
impossibile all’altro di farsi ascoltare.
E
del resto, a leggere bene le prese di posizione della Lucarelli e della Murgia,
non si nega che ciò sia accaduto, ma lo si giustifica con la posizione politica
della Roccella. Nel caso della Murgia, accusandola di aver rifiutato il dialogo
“prima” di fare le leggi.
Ora,
a parte il fatto che le leggi le fa il parlamento e non un ministro, a parte il
fatto che non si capisce a quale legge la Murgia si riferisca – visto che la
Roccella, ultimamente, si è solo battuta (in linea con la posizione di molte
associazioni femministe) contro l’utero in affitto, che in Italia è già
vietato, e che anche per quanto riguarda l’aborto non c’è stata nessuna legge
promossa dl governo – , i dibattiti “prima” delle leggi si fanno nelle aule
parlamentare e l’invito della ministra non voleva certo sostituirli, ma dare
un’occasione ai suoi contestatori di un confronto culturale. È questo che essi
hanno rifiutato.
Hanno
preferito continuare a gridare slogan, dimostrando purtroppo la loro
inferiorità culturale rispetto a una persona come la Roccella che, figlia di
uno dei fondatori del partito radicale, è entrata a 18 anni nel Movimento di
liberazione della donna, diventandone leader e si è fatta portavoce di molte
battaglie femministe – per l’aborto, contro la violenza sulle donne, per le
pari opportunità – e conosce questi problemi molto meglio dei suoi
contestatori.
Chi
segue, anche solo saltuariamente, questi “Chiaroscuri”, sa quale sia la mia
opinione su questo governo. E, ovviamente, essa coinvolge tutti coloro che ne
fanno parte. Ma in questo episodio la difficoltà al confronto non può essere
addebitata alla ministra, bensì ai suoi contestatori.
Non
riconoscerlo, e anzi lasciar intendere che essi hanno fatto bene a tacitarla, è
un grave autogol per una sinistra che voglia seriamente rivendicare la propria
superiorità culturale. E che proprio in questo modo invece, rischia di
appiattirsi sul peggiore stile della destra.
*Scrittore
ed editorialista. Pastorale della Cultura, Diocesi Palermo
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