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sabato 5 aprile 2025

SUSSIDIARIETA' e LIBERTA'


 Mattarella: la sussidiarietà 
è garanzia di libertà

Una delegazione della Fondazione per la Sussidarietà, guidata dal presidente Giorgio Vittadini ha consegnato al Capo dello Stato il primo "Premio Sussidarietà".

 

 

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricevuto questa mattina al Quirinale una delegazione della Fondazione per la Sussidarietà, guidata dal presidente Giorgio Vittadini.
Al termine dell’incontro è stato consegnato al Capo dello Stato il Primo “Premio Sussidarietà” per il contributo alla diffusione e alla crescita della cultura della sussidarietà, realizzato dallo scultore Carlo Steiner. Di seguito un ampio stralcio del discorso tenuto dal Capo dello Stato.

La sussidiarietà è un principio che lega e rafforza il rapporto tra istituzioni e società. Lega tra loro anche gli stessi ordinamenti delle istituzioni pubbliche, ciascuna nella sua autonomia e complementarietà. È nel vivo della società che la sussidiarietà trova la sua radice più profonda, e la sua ragione più esigente, perché essa è strettamente connessa con due valori di fondamentale rilievo: la libertà della persona e la solidarietà che essa esprime nell’ambito delle comunità in cui vive e realizza la propria esistenza.

La sussidiarietà è, cioè, in primo luogo, espressione e garanzia di libertà per le persone e i corpi sociali che concorrono all’interesse generale e che, nella pluralità degli apporti, si adoperano per rigenerare continuamente quei valori di umanità e di corresponsabilità che rappresentano uno dei portati più preziosi del nostro modello sociale, del modello sociale europeo.

Un modello che assicura spazi di autonomia, di partecipazione, di concorso delle persone, che trovano nelle formazioni espressive di valori e interessi delle comunità lo strumento per la loro affermazione, sconfiggendo sia le pretese di massificazione delle ideologie autoritarie del ‘900 – che hanno portato all’oppressione dell’uomo sull’uomo – sia quelle nuove, con la verticalizzazione del potere e la prevalenza di quello finanziario.

È importante irrobustire il principio di sussidiarietà: l’alternativa sarebbe introdurre arbitrari criteri gerarchici, addirittura favorendo, di fatto, poteri separati dalla società o concentrazioni che indeboliscono l’impianto democratico. La rete delle comunità e dei corpi intermedi tiene alta la stessa qualità della democrazia, rinvigorisce – ripeto – la libertà di ciascuno, perché la libertà si realizza insieme a quella degli altri, si realizza in quella degli altri.

La sussidiarietà è uno dei vettori del percorso che abbiamo davanti e, ben prima che la parola entrasse nella Costituzione nel 2001, il principio della sussidiarietà è maturato lungo tutta la storia della Repubblica. La nostra, come altre Costituzioni nate dalla Liberazione del continente dal nazifascismo, viene definita Costituzione “personalista” (…) perché colloca la dignità della persona, e non la ragione di Stato, al centro dell’azione della Repubblica. E sono proprio il principio personalistico e quello comunitario a farci dire che la sussidiarietà – sussidiarietà verticale ma, a maggior ragione, sussidiarietà orizzontale – è, dalle origini, pienamente dentro il disegno costituzionale, anzi ne è una sua esplicazione.

Le autonomie, territoriali e sociali, sono con evidenza incompatibili con i regimi autoritari, e proprio la loro inibizione è spesso la cartina di tornasole di restringimento delle libertà.

Ecco allora il contributo che esse recano vivificando libertà e democrazia di un popolo con la loro semplice esistenza. Contributo che trascende le finalità specifiche che le ha mosse, per divenire collante di una identità comune.

Le identità plurali delle nostre comunità, locali, sociali, sono frutto del convergere delle persone verso mete comuni e, a loro volta, partecipano della costruzione del percorso verso il bene comune della nostra società. In questa maniera si invera la democrazia che è fatta di sostanza e non di mera forma; di eguaglianza dei cittadini, che si realizza rendendo effettivi i diritti sociali, attraverso l’intervento del servizio pubblico e di ogni altro soggetto che può concorrere allo sviluppo del Paese e al benessere delle sue comunità.

Le comunità che si organizzano, la solidarietà che prende forma associativa, la mutualità, il volontariato, il Terzo Settore costituiscono risorsa insostituibile

Le comunità che si organizzano, la solidarietà che prende forma associativa, la mutualità, il volontariato, il Terzo Settore costituiscono risorsa insostituibile. Lo spazio pubblico non vive di polarizzazione tra il potere delle istituzioni da un lato e il singolo individuo dall’altro. Senza comunità intermedie anche il riconoscimento dei diritti viene messo a rischio.

Per affrontare le sfide locali come quelle nazionali, come quelle globali, è indispensabile rilanciare la cultura che viene espressa dal “noi”.  “Noi” come responsabilità comune, “noi” come volontà di partecipazione, “noi” come costruzione di comunità larghe e aperte.

L’albero della sussidiarietà ha molti rami. Coltivarlo è un grande servizio al nostro Paese.

 

Il discorso di Sergio Mattarella

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sabato 4 gennaio 2025

L'INTEGRAZIONE NECESSARIA

 


DEMOCRAZIA 


Politica, corpi sociali,

 sussidiarietà:


 l’integrazione

 necessaria


 

-         di Giorgio Vittadini*

-          Un compito pesante che il nuovo anno riceve in eredità riguarda il bisogno di una spinta verso una costruzione sociale e civile che, insieme a quella istituzionale, dovrà dare una prospettiva al Paese, oltre che permettergli di affrontare le difficoltà.

La globalizzazione

La sensazione largamente diffusa, non solo in Italia, è che la globalizzazione, la rivoluzione tecnologica, le migrazioni di massa e l’affermarsi di poteri sovranazionali (la finanza globale, l’Unione Europea, le Agenzie di Rating che operano sul mercato) ci abbiano sottratto il controllo sulle scelte dalle quali dipende il nostro futuro.

La rappresentanza politica è in crisi, non riesce a leggere la realtà contemporanea nei suoi radicali cambiamenti, a interpretare i differenti bisogni dei cittadini, e non ha la capacità di proporre previsioni credibili e realistiche. I partiti sono diventati “leggeri”, liquidi, crescono e si sgonfiano senza assumere una consistenza culturale duratura.

I social media

I social media hanno promosso l’illusione di una relazione diretta tra cittadini e leader politici, eludendo le strutture partitiche tradizionali e alimentando la percezione che esprimere un’opinione equivalga a “contare”. Questo fenomeno, ben descritto da Giuliano Amato come “populismo digitale”, trasforma la partecipazione politica in una mera somma di voci isolate: «A essere essenziale non è la voce di ciascuno, ma il prodotto dell’insieme delle voci. I partiti erano strutturati per fare questo, con tutti i loro difetti. Ciò che li ha sostituiti è una partecipazione privata: i social sono una sommatoria di opinioni individuali, vissute in solitudine e prive di un autentico confronto collettivo».

La democrazia

Da tempo la democrazia viene messa in discussione di fronte alle crescenti difficoltà di governare società complesse e plurali. Ma la rifondazione della politica non potrà avvenire dagli attuali partiti-fantasma. Potrà realizzarsi con una grande ripresa di attività dei corpi sociali e dalla loro volontà di dare energia, idee e iniziative ai partiti e alla politica, come documenta il volume “Comunità intermedie, occasione per la politica” (Il Mulino), di recente pubblicazione.

Il lavoro

Il lavoro lancia un appello a tutti gli attori sociali: dal Terzo Settore al volontariato, dalle cooperative ai movimenti civici. Queste realtà, che aggregano milioni di cittadini attivi, possono e devono assumersi il compito di aiutare i partiti a riempire questo vuoto, offrendo nuova linfa vitale a un sistema di rappresentanza che sembra oggi incapace di rinnovarsi. La democrazia, infatti, non può sopravvivere senza i partiti, ma questi devono tornare a essere espressione autentica delle realtà di base, incarnando valori come responsabilità, competenza e impegno sociale.

Il futuro della politica richiede una profonda riscoperta del ruolo delle comunità intermedie, chiamate a fungere da ponte tra cittadini e istituzioni. La loro missione va però ben oltre la semplice mediazione: esse devono promuovere una nuova visione del vivere politico, radicata in una concezione dell’umano come essere relazionale.

La ripartenza antropologica

La vera rigenerazione politica passa attraverso una “ripartenza antropologica,” un ritorno a concepire le relazioni sociali non come ostacoli, ma come beni essenziali per la propria realizzazione e per il bene comune.

Questa prospettiva implica un cambiamento culturale profondo, che rimetta al centro il desiderio umano nella sua pienezza: non un desiderio ridotto alle logiche individualistiche, ma un’apertura autentica verso l’altro e verso il bene collettivo, a partire dalla natura relazionale del nostro io. I corpi intermedi sono i custodi di questa visione e hanno il compito di suscitare una “passione per la persona” che restituisca senso all’impegno politico e partitico. Solo così si potrà dar vita a un pluralismo ideale capace di conciliare interessi individuali e benessere collettivo.

La sussidiarietà

È questo il vero senso della sussidiarietà: la messa a sistema del contributo di tutti, realtà sociali, istituzionali ed economiche, che coordinano le loro azioni in funzione del bene comune, creando un ecosistema in cui ogni soggetto trova il proprio ruolo. Per le forze politiche, questo significa riannodare i legami con le comunità intermedie, evitando il progressivo distacco dalla realtà delle persone. Solo un’integrazione tra politica e corpi sociali potrà evitare la deriva della rappresentanza e restituire solidità al sistema democratico.

 ​*Presidente Fondazione per la Sussidiarietà

 www.avvenire.it

mercoledì 10 maggio 2023

LA FELICITA' NON E' PRIVATA

Noi non siamo 

atomi separati.  


- di Mauro Magatti*


La contrapposizione tra interesse privato e bene pubblico costituisce un cronico punto debole della società italiana che, oltre a minare il progresso del Paese, complica la felicità individuale.

Con le parole di Giacomo Leopardi «mancando la società stessa, non può avervi gran cura del proprio onore, e l’idea dell’onore e delle particolarità che l’offendono o lo mantengono e vi si conformano, è vaga e niente stringente.

Ciascuno italiano è presso a poco ugualmente onorato e disonorato».

Il fenomeno più clamoroso, a cui sembra che il Paese sia rassegnato, rimane il livello di evasione fiscale che continua a essere tra i più alti dei Paesi occidentali.

Troppi italiani continuano a sfruttare i servizi comuni senza pagare le tasse dovute.

Ma se si va nelle numerose periferie del Paese si rimane colpiti dal contrasto tra la cura delle abitazioni private - comprensibile espressione del desiderio di costruirsi una nicchia di sopravvivenza - e l’incuria e il degrado di interi quartieri.

Più in generale, è triste constatare la persistenza di quel «familismo amorale» - di cui parlò l’antropologo americano Edward Banfield - per il quale il valore della fedeltà a qualche cordata di potere (a base famigliare, politica, religiosa etc.) fa premio su qualunque altra valutazione.

Basti guardare a quello che succede ancora oggi dentro ai partiti, nelle università e persino nell’associazionismo.

Il problema è che questo deficit di moralità pubblica ci fa pagare un costo sempre maggiore in un mondo in cui dobbiamo fare i conti con l’interdipendenza, la complessità, la sostenibilità. Il passaggio dalla globalizzazione «espansiva» a quella «competitiva» segna un cambiamento di fondo che può essere colto da una metafora marina: fino a qualche anno fa tutti navigavamo sull’oceano della globalizzazione spinti al largo da un’unica corrente.

Poi sono cominciate ad arrivare le crisi che, anche se superate, hanno lasciato un mare tempestoso, dove le correnti sono forti e spesso contraddittorie, oltre che di difficile previsione.

Per tenere il mare in questa nuova situazione occorre disporre di una «imbarcazione» (impresa, territorio, Stato) ben attrezzata, equipaggiata e affiatata.

Ancora più di quanto non fosse vero in passato, l’interesse individuale è strettamente legato alla qualità dell’organizzazione sociale.

Due ricerche pubblicate di recente - frutto di gruppi di lavoro e metodologie molto diverse - arrivano alla medesima conclusione.

Una prima fonte è il World Happiness Report che studia il livello di felicità in 137 Paesi: il risultato è che un elevato livello di soddisfazione nasce dall’incrocio tra un atteggiamento soggettivo positivo nei confronti dell’ambiente e un contesto ben organizzato, dove le regole sono chiare e valgono per tutti (a partire da un basso tasso di corruzione).

La felicità non è un affare privato. Ma nasce dal modo in cui si costruisce il nesso tra il singolo e ciò che gli sta intorno.

Qualcosa che in Italia facciamo fatica a capire e mettere in pratica (e infatti il nostro Paese è solo al trentatreesimo posto, e per giunta in peggioramento).

A risultati simili (e complementari) arriva anche il Rapporto sulla sussidiarietà 2023 che, basandosi sugli indicatori del Bes pubblicati dall’Istat, arriva a identificare delle correlazioni che smontano diversi luoghi comuni.

Il rapporto dice infatti che dove è forte, la cultura della sussidiarietà - che consiste nella capacità di sentirsi parte della comunità portando il proprio originale contributo al benessere collettivo - riduce la mortalità evitabile, attenua il rischio di povertà e gli abbandoni scolastici, facilita la possibilità di trovare lavoro e di ricevere stipendi adeguati. Migliorando contemporaneamente la qualità della vita di chi si dà da fare e dell’intera comunità circostante.

La ragione fondamentale è che la partecipazione attiva sviluppa il capitale personale, relazionale, culturale, istituzionale di una comunità.

È cio non solo fa la differenza a livello collettivo - permettendo delle performances migliori - ma anche a livello individuale - garantendo un senso di realizzazione di sé altrimenti irraggiungibile.

Eppure, al di là dei grandi progressi, la malattia di cui parlava Leopardi - la contrapposizione tra interesse privato e bene pubblico - continua a indebolire le energie positive di cui pure il Paese è ricco. Pervicacemente, continuiamo a pensare e a comportarci come se il mondo non fosse radicalmente cambiato, come se le nostre conoscenze fossero sempre le stesse.

E tutto ciò nonostante che, ormai da un secolo, le scienze naturali, a partire dalla fisica quantistica per arrivare alla biologia, ci dicono che non c’è forma di vita sulla faccia della Terra - ivi compresa la forma umana - che non sia in relazione con ciò che la circonda. Noi non siamo atomi separati.

Ma individui che godono di un margine di libertà relativo, strettamente legati all’ecosistema in cui vivono che, a loro volta, contribuiscono a rigenerare.

Si arriva così a un’ultima considerazione: lo sviluppo - inteso come un processo che avanza migliorando la qualità delle singole persone e dei contesti relazionali e istituzionali - è cosa diversa dalla crescita - vista come la mera somma dell’aumento delle possibilità individuali.

Il desiderio è l’energia che muove il mondo. Ma non basta limitarsi a liberare questa energia. Ugualmente importante è riconoscersi parte di una comunità di destino, contribuendo al suo sviluppo e alla cura di ciò che ci circonda.

Senza qualità istituzionale, culturale, sociale alla fine sono le stesse possibilità individuali a sfiorire.

Per l’Italia sembra un passaggio culturale ancora ostico: è però venuto il momento di compierlo.

* Corriere della Sera