Capire
san Paolo per capire l'Occidente
Pubblichiamo
una anticipazione del nuovo libro del cardinale Tolentino Mendonça. Prefetto
del Dicastero per la Cultura e l’Educazione
-
José Tolentino de Mendonça
Può
sembrare strano che Paolo di Tarso venga ricordato come uno degli uomini che
più hanno portato nel mondo innovazioni e idee. Una pigra percezione culturale
oggi prevalente non immagina che sia possibile associare al campo del religioso
la responsabilità di idee che hanno oggettivamente fatto progredire il mondo,
né che un autore come Paolo possa essere considerato rilevante al di là della
cerchia confessionale. E credo che un ritratto di tale genere sorprenda non
solo coloro che si pongono al di fuori del cristianesimo, ma anche molti tra
gli stessi cristiani. Il misconoscimento dell’impatto di civiltà che una
visione religiosa della vita può esercitare è una questione che tocca tutti
(l’analfabetismo rappresenta oggi un problema trasversale), ben più di quanto
non si ritenga comunemente. Invece la qualità del nostro comune futuro passa
per la mutua valorizzazione delle nostre fonti di ispirazione, per la curiosità
di conoscere il mondo al quale apparteniamo e per l’audacia di tessere
intersezioni con il mondo degli altri.
Un
pensatore come Paolo di Tarso interessa tutti, non foss’altro perché
risulterebbe impossibile capire la storia dell’Occidente [...] prescindendo
dall’impatto della sua parola. Per questo, conoscere san Paolo equivale anche a
meglio conoscere noi stessi. Dove comincia il cristianesimo? Quand’è che il suo
sviluppo arriva al punto di maturazione storica che permette di designarlo come
movimento religioso autonomo, con una sicura coscienza di sé e del proprio
significato? Quali sono i confini temporali di quello che convenzionalmente
chiamiamo cristianesimo “primitivo” o "delle origini"?
Entrando
senza indugio nel dibattito, possiamo dire che la risposta è semplice e
complessa al tempo stesso. È semplice, perché all’origine del cristianesimo
sta, con ogni evidenza, quel Gesù di Nazaret riconosciuto dai suoi come «il
Cristo» [...]. Tutti i tentativi di separare Gesù dal successivo movimento
cristiano hanno finito per rivelarsi artificiali. Ma è parimenti vero che la
risposta è anche complessa.
Al
di là, naturalmente, del radicamento in Cristo, che l’evento della Pentecoste
accentua, c’è un insieme di avvenimenti decisivi per le comunità dei primi
decenni da tenere in considerazione, poiché in essi venne chiarendosi la
concreta direzione da seguire. È il caso di quello che viene genericamente
chiamato Concilio di Gerusalemme, negli anni 48-49 d.C., che gioca un ruolo
chiave nella configurazione assunta in seguito dal cristianesimo. Riconoscendo
una sorta di duplice matrice nella futura costruzione delle comunità, che
prevedeva tanto la componente giudaica quanto la componente gentile, o pagana,
quella prima assemblea deliberativa degli apostoli rafforzò una visione
universalista e integrativa della proposta cristiana. Lo stesso dicasi della
crisi politica che ebbe il suo culmine nella tragica distruzione del Tempio,
nel contesto della cosiddetta Guerra Giudaica (66-70 d.C.). Il giudaismo che
riemerse da quel momento storico puntava a una chiarificazione nei riguardi dei
cristiani, mostrandosi meno esitante verso una rottura che portasse allo
scoperto le differenze tra le due parti. Questi due eventi accelerarono il
processo di autocomprensione del cristianesimo, come peraltro è possibile
constatare in diversi passi evangelici.
Altrettanto
determinante fu la scomparsa quasi simultanea, ancor prima della dichiarazione
della Guerra Giudaica, di tre figure di riferimento del movimento cristiano
delle origini: Giacomo, fratello del Signore, martirizzato a Gerusalemme; Paolo
e Pietro, martirizzati a Roma. La loro morte rappresentò per il cristianesimo
un’autentica cesura simbolica. Ma permise, al tempo stesso, l’emergere di un
fattore nuovo che si rivelerà decisivo: invece di dipendere dalla personale
attività degli apostoli, l’espansione del cristianesimo troverà il suo fermento
nell’intensa produzione letteraria direttamente riferita a loro, o indirettamente
legata alla loro testimonianza. In questo senso, la composizione degli scritti
teologici di Paolo e la redazione dei Vangeli in forma di resoconti narrativi
danno corpo a una presa di coscienza teologica e storica, e inaugurano la forma
di cristianesimo pervenuta fino ai giorni nostri.
Scrivendo,
il cristianesimo si scrive. L’edificazione del movimento cristiano si trova
riflessa nella genesi degli scritti neotestamentari che la raccontano, la
mappano e la promuovono. E giungiamo così a quel pensatore imprescindibile che
è Paolo di Tarso [...]. Il Vangelo è, secondo Paolo, il mezzo grazie al quale i
credenti vengono generati; ed è di una vera gestazione che si tratta. Noi siamo
inscritti tra l’essere e il divenire, siamo cioè questa «tensione tra il già e
il non ancora che si riflette nelle immagini della famiglia: è vero che
possiamo essere chiamati “famiglia di Dio” in senso stretto, ma è anche vero
che non abbiamo ancora ricevuto la pienezza della filiazione» (Daniel von
Allmen, La famille de Dieu). Per questo abbiamo bisogno di essere generati.
Mi
sembra pertinente, muovendo da questa premessa tipicamente paolina, citare
quello che dice André Fossion a proposi- to del presente storico della Chiesa:
«La fede cristiana si trova oggi in un generalizzato stato di inizio o di
ripartenza. Chi dice “ripartenza” dice allo stesso tempo processo di morte e di
rinascita. Oggi infatti assistiamo tanto alla fine di un mondo come alla fine
di un certo cristianesimo. Eppure non è la fine del mondo né la fine del cristianesimo.
È anzi un tempo di germinazione, con tutta la nostalgia – e anche il sollievo –
che ciò può comportare per quello che muore, come pure le incertezze e la
speranza per quello che nasce. Si tratta pertanto di una perdita, ma anche di
reincontri in altri luoghi e in altri modi» (André Fossion, Que anúncio do
Evangelho para o nosso tempo?).
Se
è questo il quadro storico del nostro cristianesimo, come favorire in esso gli
inizi della fede? È una domanda che Fossion si pone e alla quale egli stesso risponde:
disimparando, e ricostruendo un insieme di rappresentazioni. A cominciare dalla
sfida a reimparare il significato della creazione, nucleo vitale della teologia
paolina. La creazione non è il Big Bang iniziale, qualcosa che abbiamo lasciato
al passato. La creazione non sta solo dietro di noi: è anche nel presente e,
soprattutto, davanti a noi, nel futuro. Dio, infatti, non ha creato l’uomo. Lo
crea e continuerà a crearlo. In questo senso, noi ci troviamo sempre nella
situazione di essere creati e di creare: «Tutta insieme la creazione geme e
soffre le doglie del parto fino a oggi» (Rm 8,22). Non siamo semplicemente
testimoni di un passato. Ogni persona è chiamata a essere – e già lo è – un
documento del futuro.
Tolentino Mendonça. Metamorfosi necessaria (Vita e Pensiero,
pagine 144, euro 16,00).
www.avvenire.it
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