IN CERCA DI NUOVE EPIFANIE
Mutazioni ambientali, antropologiche e sociali
trovano classi dirigenti inadeguate,
disorientate e incapaci di concepire il
futuro.
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di Luigi Sanlorenzo*
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Il
segno della transizione sta accompagnando la nostra epoca ormai da molti anni. La
velocità che contraddistingue i processi sociali, economici e della conoscenza –
con il più recente dibattito sull’ intelligenza artificiale – sta richiedendo nuove capacità di analisi e
di decisione che presentano caratteristiche inedite nella storia dell’Umanità.
Tali
capacità si declinano al futuro e consistono nell’individuazione con largo
anticipo della direzione in cui si evolveranno i fenomeni e non più in quella –
tutta emergenziale – di trovare soluzioni a problemi che si manifestano
improvvisamente e direttamente nella propria complessità.
Quanto
sta accadendo, anticipato da anni da pensatori quali Bauman, Beck, Gallino,
Giddens ed altri, ha già configurato una società smarrita in cui classi
sociali, regioni del mondo, singoli
individui vagano in quell’Odissea del post-moderno che, a differenza dell’ eroe
omerico, non possiede la speranza di rivedere Itaca e si trascina invece in un
presente infinito e dilatato, molto più
simile al vagabondaggio senza costrutto di Leopold Bloom protagonista dell’
altro Ulisse raccontato con sconcertante lucidità da James Joyce oltre un secolo fa.
Il
mondo procede disordinatamente e privo di guida verso scenari in cui non solo
la storia dei singoli popoli è diventata quella dell’intera Umanità ma dove
anche la Natura pone a tutte le latitudini gli stessi allarmi ambientali,
globalizzando catastrofi naturali, le cui cause quasi sempre possono essere
fatte risalire ad antiche e recenti responsabilità umane.
I
grandi ideali che dall’Illuminismo in poi hanno puntato a costruire, almeno in
Occidente, i valori della solidarietà
quale risultato dell’affermazione dei principi di uguaglianza tra tutti gli
individui, hanno trovato nell’ egemonia economica un argine insormontabile ed a
quella sono ormai subordinati e subalterni.
L’Europa
ha perso da decenni il ruolo di guida nella costruzione di un mondo migliore e
negli Stati Uniti d’America la successione di Biden presenta altalenanti e
forti rischi di arretramento sociale.
Cina
e India, ormai in competizione per incremento demografico, sono ancora avvinte
nelle contraddizioni secolari che contrappongono il massimo dell’era post-industriale
al mantenimento di condizioni di vita medievali nelle sterminate aree interne e
che riguardano ancora miliardi di persone.
Il
continente africano è sempre più lontano dalla definizione del proprio destino
e continua ad essere il luogo del massimo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e
dell’immane tragedia della fame, dell’AIDS e di antiche epidemie ancora
endemiche su cui si preferisce tacere.
Migrazioni
dalle proporzioni planetarie sono in corso e quelle poche decine di migliaia di
esseri umani diretti verso quel mito dell’Occidente che non esiste più e che i
media raccontano ogni giorno, sono soltanto la parte emersa di un iceberg dalle
proporzioni gigantesche e in rapida rotta di collisione con la realtà che
abbiamo conosciuto.
In
tale scenario i percorsi formativi delle nuove generazioni rimangono
sostanzialmente quelli del secolo scorso. Nelle scuole e nelle università si
continuano ad insegnare, con modalità didattiche arcaiche, discipline
dell’ormai sepolta era industriale e saperi obsoleti che, alla prova decisiva
del tentativo di entrare o di restare dopo una certa età nel mondo del lavoro,
rivelano limiti invalicabili.
Ciò
è all’origine di disoccupazione che non ha precedenti e che tocca tutte le
generazioni e le zone geografiche, livellando sempre più verso il basso bisogni
e desideri, sogni ed aspirazioni, consumi e stili di vita.
Pur
conoscendo la verità, larga parte della politica continua ad alimentare
speranze attingendo a teorie economiche socialiste o liberali, oggi entrambe
improponibili perché profondamente trasformato è il contesto in cui applicarle.
Mutazioni
sociali, antropologiche e perfino genetiche trovano impreparate classi
dirigenti sempre meno adeguate e sempre più provvisorie e, anch’esse, smarrite
e disorientate.
Termini
come decadenza, degrado, delegittimazione e conflitto connotano istituzioni,
società, ambienti naturali e si riflettono ormai su più generazioni che ne
stanno sperimentando gli effetti sul proprio destino.
Dalla
sponda ormai franata di una società delle certezze e delle garanzie collettive
si staccano zattere di profughi che dovranno imparare a navigare a vista in
cerca di nuovi approdi e alla ricerca di un nuovo senso dell’esistenza: uomini
e donne che già oggi sperimentano la necessità di guidare da soli la propria
vita senza più potere fare affidamento su sempre più rari ed esigui sistemi
sociali di protezione.
Pochissime
tra queste persone sono oggi attrezzate per farlo. La maggior parte di esse
sperimenta la propria fragilità e si lascia andare alla deriva o converge
intorno a falsi profeti che ne sfruttano le residue speranze e ne eccitano i
peggiori istinti.
Nella
disattenzione totale sorgono prepotentemente nuovi bisogni educativi, tutti
dentro il nuovo paradigma dell’incertezza ed a cui, soprattutto i giovani
adulti non sono stati preparati da coloro che pure sapevano bene quale mondo si
stesse costruendo e che avevano il dovere di attrezzarli perché sapessero
affrontarli.
Gli
insegnamenti di Morin, i moniti di Rifkin, le previsioni di Bion, il paziente
invito a prepararsi a fare i conti con le tecnologie per non esserne
disumanizzati proposto da Heidegger, Severino, Galimberti e molti altri, sono
rimasti nel chiuso dell’Accademia e non hanno contaminato come avrebbero potuto
e dovuto la società italiana.
Provvisorietà
ed erranza saranno nei prossimi decenni i compagni di vita di molte generazioni
che avranno il compito di aprire nuove strade per se stesse e per quelle che le
seguiranno.
Generazioni
che dovranno avere al proprio interno individualità capaci di guidarle lontano
da un passato ormai in fiamme, in salvo verso nuove mete che esse avranno
dovuto e saputo immaginare prima di proporle come nuovi traguardi da raggiungere,
pur con fatica e sacrificio.
Singole
individualità dotate di inedite capacità quali il coraggio – fisico e non solo
intellettuale – il discernimento, il rigore morale, la responsabilità di
sentire il servizio agli altri come lo scopo della propria esistenza,
l’ottimismo della volontà contro il pessimismo della ragione, la fantasia e
l’immaginazione per distinguere prima di altri la direzione da prendere davanti
ai tanti bivi che il futuro presenterà.
Esse
dovranno apprendere presto la capacità di scegliere e di decidere, quando altri
si attardano nell’autocommiserazione o, all’opposto, nello sterile narcisismo,
sapranno sopportare la sofferenza che ne deriverà e al raggiungimento di ogni
nuova tappa, dovranno essere capaci di verificare di aver compiuto la propria
opera e, soprattutto, di aver preparato
altri per continuarla e migliorarla.
Orientare
la formazione di una nuova classe dirigente in tale direzione è l’unica possibilità
che rimane alla nostra generazione per riscattare colpe, errori, omissioni.
Farlo presto sarà il nostro ultimo dovere.
*Giornalista
e saggista
Nuovi
Approdi
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