“Scrivere
a mano accende il nostro cervello,
ma non dite ai bambini di scrivere
come
vogliono.
Ecco perché”.
A confronto con la grafologa dell’età evolutiva,
Giorgia Filiossi
-
di Vincenzo Brancatisano
“Una
cosa che riscontro molto e che mi inquieta è che nella scuola primaria molti
insegnanti dicono ai bambini: scrivete come volete. Il fatto è che questo crea
una gran confusione nei bambini, che non sono in grado di valutare ciò che è
importante fare e scelgono quello che sembra più semplice. Se vengono date
delle indicazioni fin dall’inizio possiamo avere invece una scrittura
funzionale”.
La netta presa di posizione della grafologa Giorgia Filossi prende
le mosse dalla nostra intervista al professor Piero Crispiani, professore
onorario all’Università di Macerata e professore straordinario Link Campus
University di Roma, da anni uno dei più convinti assertori
dell’indispensabilità del corsivo per la formazione completa dell’individuo.
Crispiani nell’affermare l’importanza dello scrivere in corsivo aveva aggiunto,
in coda all’intervista, che “basta dare fogli e penne e far scrivere senza
curare – all’inizio – la grafia, ma il senso, la destinazione, ovvero la base
della umanità stessa e della cultura”, dando in parte l’idea che sia
sufficiente far scrivere liberamente in corsivo, abbracciando una posizione
spontaneistica, insomma lasciando ai bambini la libertà di scrivere come
vogliono. “E’ una posizione che io non condivido”, ci spiega Giorgia Filossi:
“Imparare a scrivere – precisa – è un apprendimento complesso che necessita di
precise indicazioni”.
Giorgia
Filiossi vive a Modena. E’ grafologa dell’età evolutiva e giudiziaria,
educatrice del gesto grafico e rieducatrice della scrittura. Lavora come libera
professionista, ha uno studio nella città geminiana, collabora con “Progetto
Crescere” di Reggio Emilia, e in generale con scuole e associazioni culturali
ed educative. Si occupa di bambini e ragazzi con difficoltà grafomotorie o
disgrafie accompagnandoli in percorsi individuali di educazione e rieducazione
del gesto grafico e della scrittura. Organizza e conduce corsi di formazione
per insegnanti delle scuole d’infanzia, primarie e secondarie e laboratori per
gli studenti. E’ docente di Educazione del gesto grafico alla scuola di
grafologia “Arigraf Milano”. E’ consulente peritale di studi legali e promuove
attività di orientamento per studenti e insegnanti delle scuole secondarie. E’
pure referente regionale per l’Emilia Romagna del Cesiog che ha tra i suoi
obiettivi primari la costituzione di un albo per i grafologi e il
riconoscimento del rieducatore della scrittura come professione sanitaria.
“La
scrittura manuale – spiega Giorgia Filossi – è frutto dell’interazione tra
sistema nervoso, sensoriale e motorio. L’uso della mano mantiene in forma il
cervello: l’esercizio quotidiano della scrittura rafforza le aree cerebrali
tanto che l’attività grafica è consigliata anche per rallentare gli effetti
dell’invecchiamento cognitivo”. Una bella scommessa nell’epoca dei computer e
delle tastiere. “Scrivendo a mano impariamo di più e più rapidamente. Ma non ne
farei una battaglia ideologica tra mano e computer”, dice. “Preferisco
soffermarmi sui tanti vantaggi della scrittura. I bambini, per esempio, imparano
a leggere meglio se contestualmente viene insegnato loro a scrivere. Una parola
scritta viene memorizzata e riconosciuta facilmente, cosa che non avviene
digitandola soltanto. Vale anche per gli adulti. Nel prendere appunti, per
esempio, selezioniamo le informazioni e le trascriviamo con parole nostre
elaborandole in maniera personale. Scrivere a mano ci aiuta anche a sviluppare
creatività e capacità di sintesi, a migliorare l’autocontrollo e la gestione
delle emozioni”.
Il
problema, secondo la professionista emiliana, riguarda soprattutto bambini e
ragazzi. Esistono dei criteri ben precisi per stabilire se una scrittura va
rieducata: la scarsa leggibilità, la poca fluenza e rapidità e, in alcuni casi,
anche l’insorgere di dolori e affaticamento: “Credo – aggiunge – sia non più
differibile la formazione specifica del personale educativo, a partire almeno
dalla scuola dell’infanzia, per dare ai bambini quel patrimonio fondamentale di
abilità e competenze che costituiscono i cosiddetti pre-requisiti. Alla scuola
primaria, poi, andrebbe dedicato più tempo all’apprendimento del gesto grafico
ad oggi sottovalutato rispetto ai contenuti linguistici.
Imparare
a scrivere non avviene spontaneamente, ci vuole tempo, pazienza, gradualità e
una didattica corretta, aspetti oggi molto trascurati. A scuola si scrive poco.
Mancano direttive chiare che favoriscano approcci corretti e univoci.
Dispensare un bambino dallo scrivere oltre che penalizzante per la sua crescita
è spesso inutile: noi professionisti del gesto grafico siamo al servizio di
famiglie e scuole per accompagnare e dare le corrette informazioni. Non
possiamo delegare ad un tablet, uno smartphone o un pc tutta la nostra attività
mentale. Cogliamo il senso di un calcolo aritmetico se lo facciamo a mente, cosa
che non avviene utilizzando la calcolatrice.
Usare
il correttore automatico riduce la consapevolezza dell’errore ortografico.
Abusare del copia e incolla ci priva della capacità di ragionare su ciò che
stiamo scrivendo. Questo vale a maggior ragione nei bambini perché influisce
negativamente sul cervello in piena evoluzione, finendo per provocare
difficoltà di attenzione, di memoria, di concentrazione, ansia e generale
declino delle capacità di apprendimento. Scrivere a mano accende il nostro
cervello molto più che digitare sulla tastiera: scrivendo su carta, gli occhi e
i movimenti della mano seguono la creazione della lettera. Il corsivo è un
carattere sviluppato per correre sul foglio con fluidità grazie a collegamenti
che favoriscono il pensiero consequenziale.
E’
l’unico carattere realmente personalizzabile perché si impregna di tutti i
vissuti e gli stati d’animo, rappresentando in maniera unica e irripetibile gli
aspetti intellettivi e caratteriali dello scrivente. Lo stampatello, invece, è
lento e spersonalizzato perché i tratti grafici richiedono continui stacchi
della penna dal foglio. Ci sono tanti modi per mantenere viva e attiva la
nostra abilità scrittoria. L’importante è non privarci del piacere di scrivere:
lettere, appunti, note, scarabocchi, disegni. Non deleghiamo tutto ad un
computer, ma difendiamo la prerogativa di distinguerci anche attraverso il
gesto grafico”.
Dottoressa
Giorgia Filossi, lei non condivide l’idea che il bambino debba essere lasciato
libero di imparare a scrivere in corsivo in maniera spontanea, senza regole. E’
così?
“Non
condivido quando si afferma che sia sufficiente far scrivere in corsivo
abbracciando una posizione spontaneistica, perché imparare a scrivere è un
apprendimento complesso che necessita di precise indicazioni. Il professor
Crispiani, che conosco, avendo seguito vari seminari, ribadisce questo
concetto, ma nella parte finale dell’intervista fa capire che è importante che
i ragazzi scrivano indipendentemente dal fatto che debbano seguire una
metodologia. Io mi trovo in contrasto con questa tesi. Per il percorso duale
che ho fatto, sia di studio, sia di rieducazione della scrittura, io vedo che
la didattica è fondamentale, perché la scrittura si può personalizzare”.
Ci
faccia capire meglio
“La
scrittura attraversa tre fasi fondamentali. La prima è la pre-calligrafica, che
è dedicata all’apprendimento, segue il modello presentato a scuola e dura i
primi due anni. Poi c’è la fase calligrafica in cui il bambino sperimenta il
modello, si rafforza e diventa sempre più abile, tanto che in virtù di questo
passa alla fase post-calligrafica. Se però nelle fasi precedenti ci sono stati
degli intoppi, cioè se il modello non è stato acquisito, se non sono state
superate quelle difficoltà, allora non si riesce a passare alla fase della
personalizzazione, perché le difficoltà non consentono l’automatizzazione della
scrittura perché nel momento in cui la scrittura è automatizzata non pensiamo
più a come eseguiamo i grafemi, in quel momento la nostra scrittura si impregna
degli aspetti emotivi individuali della persona, segue un percorso neurologico
nuovo, diventa una scrittura capace di esprimere la personalità dell’autore”.
Un
po’ come nella lettura?
“No.
Mentre la lettura è un apprendimento che può avvenire spontaneamente, qui
questo non succede: qui ci vuole un insegnamento, che significa dare delle
regole di esecuzione che riguardano il punto di partenza, la direzione, i
collegamenti tra le lettere e dove eseguire gli stacchi. Tutto questo però va
fatto secondo un criterio, altrimenti, se lasciato al caso, succede che la
scrittura viene eseguita come se si trattasse di un disegno. Solo se diamo
delle regole iniziali possiamo ottenere poi una scrittura funzionale. Che non
significa bella. Significa scorrevole, significa avere una scrittura che non
crea fatica, che non crea dolore in chi scrive, che sia leggibile”.
Le
scuole, secondo lei, sono consapevoli di questa necessità?
“Una
cosa che riscontro molto e che mi fa arrabbiare è che nella scuola primaria
molti insegnanti dicono: scrivete come volete. Ma questo crea una gran
confusione nei bambini, che non sono in grado di valutare ciò che è importante
fare ma scelgono quello che sembra più semplice. Se vengono date delle
indicazioni fin dall’inizio possiamo avere una scrittura funzionale”.
Ci
sono però dei bambini che presentano evidenti difficoltà
“E’
vero, ci sono dei bambini che hanno delle oggettive difficoltà. Ma a quel
punto, quando sono stati individuati, abbiamo ripulito il quadro facendo una
netta distinzione tra quelli che hanno una didattica corretta e hanno imparato
e quelli che nonostante la didattica corretta hanno delle difficoltà. In questi
casi è doveroso fare una valutazione di disgrafia, perché significa che il
bambino ha delle caratteristiche a livello neurobiologico che rendono difficile
raggiungere un livello funzionale di scrittura”.
E
a quel punto quanto si può fare per questi bambini?
“Diciamo
che oggi ci sono moltissimi bambini che hanno difficoltà. Ci sono quelli che
non hanno avuto una didattica adeguata – aggiungiamoci anche i problemi causati
dal Covid – e poi ci sono quelli che hanno delle difficoltà che sono
superabili. Con tutti si riesce ad avere risultati, ma alcuni non riusciranno
ad avere una scrittura funzionale nonostante i miglioramenti. Questi avranno
bisogno di un’attenzione diversa e misure dispensative e compensative”.
Quanto
conta avere frequentato la scuola giusta, da questo punto di vista?
“Io
vedo una differenza tra bambini che hanno avuto la fortuna di fare un percorso
scolastico buono – e in questo caso si vede che il bambino ha una buona
gestione dello spazio del foglio, adotta delle direzioni funzionali nello
scrivere – e bambini che sono completamente disorientati del tutto. Che non si
sanno muovere nello spazio del foglio. Ad esempio, non rispettano le righe e i
quadretti, con il risultato di avere un foglio molto confuso. Il sapersi
muovere male nello spazio del foglio ha sempre come corrispettivo una
difficoltà di muoversi nello spazio in cui ci si muove normalmente”.
Che
cosa vuol dire?
“La
partenza dell’apprendimento dovrebbe partire nella scuola dell’infanzia, con il
muoversi nell’ambiente circostante come prerequisito per muoversi sul foglio”.
Lo
si fa?
“Lo
si fa in maniera poco consapevole. Si fanno tante attività casuali e non sempre
consapevoli. Ma il lavoro che si fa all’infanzia è fondamentale per poter
lavorare bene alla primaria. Prendiamo ad esempio il problema dell’impugnatura:
questo è un aspetto che non viene considerato, e invece andrebbe impostato già
dalla scuola dell’infanzia, ma non solo insegnando al bambino come si fa ma
facendo fare attività che gli rendano naturale impugnare in maniera corretta,
si apprende attraverso l’esperienza”.
Lei
ritiene che occorra iniziare a scrivere nell’età della scuola dell’infanzia?
“No,
a quell’età occorre creare i prerequisiti per arrivare alla scuola primaria con
un bagaglio valido, in modo che diventi più semplice. Invece oggi i bambini non
sanno più usare le mani perché nel frattempo non giocano fuori, fanno giochi
tecnologici e tocca poi a chi fa rieducazione farglieli fare. Occorrere
praticare giochi di manipolazione che rendano le mani più abili, fare dei nodi
o anche semplicemente strappare lo scotch con le dita ma non lo sanno fare. Il
bambino inoltre viene spesso imboccato dalle mamme. E invece è importante
imparare a impugnare correttamente una posata. Se non s’insegna a impugnare
bene una posata un bambino non saprà impugnare una matita. Un po’ il genitore
si sostituisce al bambino per motivi di fretta o di timore, i genitori sono
apprensivi e questo fa sì che il bambino sperimenti sempre meno cose”.
Servirebbe
una cultura diffusa su questi temi
“Come
associazione professionale dei grafologi, il Cesiog, stiamo lavorando sul
fronte dell’informazione ai docenti e ai genitori. E anche sul fronte del
lavoro di rieducazione della scrittura. La nostra è una professione spesso
sconosciuta mentre ci sarebbero le possibilità di recupero di tante difficoltà
evitando tante diagnosi di disgrafia, che invece lievitano. Dopo la diagnosi di
disgrafia spesso si dice: scrivete come volete, usate il pc…Tante volte sarebbe
sufficiente invece fare un recupero e un potenziamento della scrittura e ci
sarebbero meno costi sociali perché appena ci sono delle difficoltà vengono
attivate le visite presso la Neuropsichiatria.
Ma
anche in quell’ambito la nostra figura non viene riconosciuta e allora che
succede?
“Il
bambino viene visitato da uno psicologo, viene fatta la diagnosi ma la figura
non solo non viene coinvolta ma nemmeno viene suggerita. La professione viene
riconosciuta, certo, ma non è vista come una professione sanitaria. La nostra
associazione da anni si batte perché venga istituito un albo dei grafologi,
mentre in altri ambiti come quello forense la professione è riconosciuta e
apprezzata”.
Il
tutto si inserisce in un’epoca che vede come protagonisti i pc, le tastiere,
gli schermi, le tecnologie sempre più sofisticate…
È
ovvio che l’utilizzo del pc è per tutti fondamentale, ma questo non significa
che il pc debba sostituire la scrittura. Il fatto è che dobbiamo far usare meno
schede, meno penne cancellabili e dobbiamo invece fare usare strumenti più
idonei. Nella scuola dell’infanzia ci vogliono meno pennarelli perché non
aiutano a imparare la gestione della pressione e l’accuratezza del gesto. I
bambini colorano senza stare attenti al rispetto dei bordi: con degli strumenti
più idonei si sarebbe un aiuto maggiore ai bambini anche perché alla primaria
non ci sono indicazioni sui quaderni da usare, nel senso che ci sono insegnanti
che insegnano lo stampato sulla riga e il corsivo nel quadretto perché non ci
sono delle direttive”.
All’università
queste cose vengono insegnate?
“All’università
non ci sono esami che riguardino la didattica della scrittura e questo ce lo
dicono le insegnanti che sono preparate sul tema”.
Proviamo
a dare un paio di consigli utili ai genitori
“Innanzitutto,
occorrerebbe dare ai bambini l’opportunità di fare le cose da soli in funzione
dell’età. Un bambino deve imparare ad allacciare le scarpe con gradualità,
diamo il tempo di mangiare da soli, di infilare il bottone nell’asola, ci sono
tanti giochi che sviluppano anche l’intelligenza, anche il gioco della palla va
bene, occorre insegnare al bambino a diventare via via più autonomo. Pelare la
frutta sarebbe importante ma non so quanti bambini lo sappiano fare. Certo è
che nel momento in cui un bambino si sa muovere bene a livello spaziale nel
proprio ambiente, acquisisce la capacità di sapersi muovere nei testi che legge
e nello studiare in maniera più efficace”.
Orizzonte
Scuola
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