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mercoledì 10 maggio 2023

LA FELICITA' NON E' PRIVATA

Noi non siamo 

atomi separati.  


- di Mauro Magatti*


La contrapposizione tra interesse privato e bene pubblico costituisce un cronico punto debole della società italiana che, oltre a minare il progresso del Paese, complica la felicità individuale.

Con le parole di Giacomo Leopardi «mancando la società stessa, non può avervi gran cura del proprio onore, e l’idea dell’onore e delle particolarità che l’offendono o lo mantengono e vi si conformano, è vaga e niente stringente.

Ciascuno italiano è presso a poco ugualmente onorato e disonorato».

Il fenomeno più clamoroso, a cui sembra che il Paese sia rassegnato, rimane il livello di evasione fiscale che continua a essere tra i più alti dei Paesi occidentali.

Troppi italiani continuano a sfruttare i servizi comuni senza pagare le tasse dovute.

Ma se si va nelle numerose periferie del Paese si rimane colpiti dal contrasto tra la cura delle abitazioni private - comprensibile espressione del desiderio di costruirsi una nicchia di sopravvivenza - e l’incuria e il degrado di interi quartieri.

Più in generale, è triste constatare la persistenza di quel «familismo amorale» - di cui parlò l’antropologo americano Edward Banfield - per il quale il valore della fedeltà a qualche cordata di potere (a base famigliare, politica, religiosa etc.) fa premio su qualunque altra valutazione.

Basti guardare a quello che succede ancora oggi dentro ai partiti, nelle università e persino nell’associazionismo.

Il problema è che questo deficit di moralità pubblica ci fa pagare un costo sempre maggiore in un mondo in cui dobbiamo fare i conti con l’interdipendenza, la complessità, la sostenibilità. Il passaggio dalla globalizzazione «espansiva» a quella «competitiva» segna un cambiamento di fondo che può essere colto da una metafora marina: fino a qualche anno fa tutti navigavamo sull’oceano della globalizzazione spinti al largo da un’unica corrente.

Poi sono cominciate ad arrivare le crisi che, anche se superate, hanno lasciato un mare tempestoso, dove le correnti sono forti e spesso contraddittorie, oltre che di difficile previsione.

Per tenere il mare in questa nuova situazione occorre disporre di una «imbarcazione» (impresa, territorio, Stato) ben attrezzata, equipaggiata e affiatata.

Ancora più di quanto non fosse vero in passato, l’interesse individuale è strettamente legato alla qualità dell’organizzazione sociale.

Due ricerche pubblicate di recente - frutto di gruppi di lavoro e metodologie molto diverse - arrivano alla medesima conclusione.

Una prima fonte è il World Happiness Report che studia il livello di felicità in 137 Paesi: il risultato è che un elevato livello di soddisfazione nasce dall’incrocio tra un atteggiamento soggettivo positivo nei confronti dell’ambiente e un contesto ben organizzato, dove le regole sono chiare e valgono per tutti (a partire da un basso tasso di corruzione).

La felicità non è un affare privato. Ma nasce dal modo in cui si costruisce il nesso tra il singolo e ciò che gli sta intorno.

Qualcosa che in Italia facciamo fatica a capire e mettere in pratica (e infatti il nostro Paese è solo al trentatreesimo posto, e per giunta in peggioramento).

A risultati simili (e complementari) arriva anche il Rapporto sulla sussidiarietà 2023 che, basandosi sugli indicatori del Bes pubblicati dall’Istat, arriva a identificare delle correlazioni che smontano diversi luoghi comuni.

Il rapporto dice infatti che dove è forte, la cultura della sussidiarietà - che consiste nella capacità di sentirsi parte della comunità portando il proprio originale contributo al benessere collettivo - riduce la mortalità evitabile, attenua il rischio di povertà e gli abbandoni scolastici, facilita la possibilità di trovare lavoro e di ricevere stipendi adeguati. Migliorando contemporaneamente la qualità della vita di chi si dà da fare e dell’intera comunità circostante.

La ragione fondamentale è che la partecipazione attiva sviluppa il capitale personale, relazionale, culturale, istituzionale di una comunità.

È cio non solo fa la differenza a livello collettivo - permettendo delle performances migliori - ma anche a livello individuale - garantendo un senso di realizzazione di sé altrimenti irraggiungibile.

Eppure, al di là dei grandi progressi, la malattia di cui parlava Leopardi - la contrapposizione tra interesse privato e bene pubblico - continua a indebolire le energie positive di cui pure il Paese è ricco. Pervicacemente, continuiamo a pensare e a comportarci come se il mondo non fosse radicalmente cambiato, come se le nostre conoscenze fossero sempre le stesse.

E tutto ciò nonostante che, ormai da un secolo, le scienze naturali, a partire dalla fisica quantistica per arrivare alla biologia, ci dicono che non c’è forma di vita sulla faccia della Terra - ivi compresa la forma umana - che non sia in relazione con ciò che la circonda. Noi non siamo atomi separati.

Ma individui che godono di un margine di libertà relativo, strettamente legati all’ecosistema in cui vivono che, a loro volta, contribuiscono a rigenerare.

Si arriva così a un’ultima considerazione: lo sviluppo - inteso come un processo che avanza migliorando la qualità delle singole persone e dei contesti relazionali e istituzionali - è cosa diversa dalla crescita - vista come la mera somma dell’aumento delle possibilità individuali.

Il desiderio è l’energia che muove il mondo. Ma non basta limitarsi a liberare questa energia. Ugualmente importante è riconoscersi parte di una comunità di destino, contribuendo al suo sviluppo e alla cura di ciò che ci circonda.

Senza qualità istituzionale, culturale, sociale alla fine sono le stesse possibilità individuali a sfiorire.

Per l’Italia sembra un passaggio culturale ancora ostico: è però venuto il momento di compierlo.

* Corriere della Sera

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