Lo spirito di iniziativa
e l’imprenditorialità.
La formazione di una competenza interculturale nei preadolescenti.
- di Barbara
Baschiera e Fiorino Tessaro
La competenza “spirito di
iniziativa e di imprenditorialità”, tra le otto competenze-chiave europee, è la
meno perseguita nella scuola secondaria di primo grado, poco sviluppata nei
ragazzi italiani, senz’altro meno rispetto ai coetanei immigrati. La ricerca si
rivolge a due classi di preadolescenti, con una consistente presenza di
immigrati, organizzati in gruppi di lavoro eterogenei, con metodologie
cooperative, chiamati ad affrontare situazioni-problema di realtà, compiti
autentici e prove esperte. L’ipotesi chiave è che il lavoro in gruppo di
apprendimento cooperativo interculturale, per compiti di realtà, migliora e
incrementa i processi nei sei indicatori di tale competenza (traduzione
idea-azione, creatività, innovazione, assunzione di rischio, pianificazione,
gestione di progetti), sia negli studenti italiani che in quelli non italofoni.
Una competenza dimenticata dalla scuola
Negli ultimi anni si è
affacciato nell’ambito della discussione pedagogica italiana ed europea il tema
dell’apprendimento per competenze, distinto, anche se non contrapposto,
dall’apprendimento per conoscenze e contenuti che ancora sembra caratterizzare,
il contesto scolastico tradizionale.
Impostare il processo di
insegnamento/apprendimento per competenze, significa progettare una didattica
tesa ad offrire occasioni di apprendimento in situazione, in contesti
cooperativi, a richiedere compiti autentici, problem solving, assunzione di
autonomia e responsabilità di gestione di relazioni, situazioni, risultati; ma
vuol dire anche esplicitare all’alunno il significato dell’istruzione,
permettergli di comprendere il valore pratico delle conoscenze e delle abilità
procedurali, di saldare le acquisizioni teoriche alla pratica.
L’Unione europea, con la
Raccomandazione del Parlamento e del Consiglio del 18 dicembre 2006, relativa
alle competenze chiave per l’apprendimento permanente, ha invitato gli Stati
membri a sostenere, nell’ambito delle loro politiche educative, strategie atte
ad offrire a tutti i giovani gli strumenti per sviluppare le competenze che
costituiscono la base per ulteriori occasioni di apprendimento, così come per
la vita lavorativa. Tra le otto competenze chiave, figura lo spirito di
iniziativa e imprenditorialità, cioè la capacità di una persona di tradurre le
idee in azione. In ciò rientrano la creatività, l’innovazione e l’assunzione
dei rischi, come anche la capacità di pianificare e di gestire progetti per
raggiungere obiettivi.
Intraprendenza
Considerata la difficoltà
di introdurre il termine ‘imprenditorialità’ nel contesto scolastico italiano,
in particolare nel primo ciclo, è opportuno interpretarlo con il concetto
trasversale di ‘intraprendenza’. Potenziare la creatività e l’innovazione e
includere l’imprenditorialità a tutti i livelli dell’istruzione e della
formazione rientra anche tra gli obiettivi a lungo termine della strategia
Europa 2020 per l’occupazione e la crescita sostenibile. Da quanto riportato
nella relazione pubblicata nel Marzo del 2012 dalla Commissione europea
Entrepreneurship Education at School in Europe. National Strategies, Curricula
and Learning Outcomes, in base ai dati rilevati in 31 Paesi e 5 regioni
europee, la promozione dell’educazione all’imprenditorialità è in aumento nella
maggior parte dei paesi europei già nei programmi dell’istruzione primaria, ma
non in Italia, dove “there is no specific National strategy for
entrepreneurship education except for technical and vocational pathways”.
Androulla Vassiliou (2012), Commissario europeo responsabile per l’istruzione,
la cultura, il multilinguismo e la gioventù, afferma che “Per continuare a
essere competitiva, l’Europa deve investire sui suoi cittadini, sulle loro
abilità e sulle loro capacità di adattamento e innovazione. Per incoraggiare
l’adozione di una nuova mentalità europea incentrata sull’attitudine
all’imprenditorialità, il primo passo consiste nell’instillare uno spirito
imprenditoriale fin dalle tappe iniziali del sistema scolastico.”
Progettualità
Ma come far acquisire
quei processi che concernono una gestione progettuale proattiva, come la
pianificazione, l’organizzazione, l’analisi, la comunicazione, la valutazione,
l’anticipazione degli eventi, l’indipendenza e l’innovazione nella vita privata
e sociale, in contesti culturali sempre più allargati? In che misura sviluppare
il senso di iniziativa e l’intraprendenza all’interno dell’ambito scolastico,
può contribuire a creare processi di interscambio tra individui, tali da
coinvolgerli in una relazione dinamica realmente inclusiva, indispensabile alla
formazione dell’identità individuale e collettiva, capace di costituire una
epistemologia nuova per l’educazione stessa?
La didattica
interculturale: tra opportunità e criticità.
Nel corso degli ultimi quindici anni il numero
di persone che si è stabilito in maniera regolare nel Paese meta del percorso
migratorio è aumentato a tal punto che, i flussi migratori hanno abbandonato il
loro tradizionale aspetto transitorio, passando dall’essere considerati dei
‘fenomeni’ straordinari, all’assumere le caratteristiche di ‘percorsi’ sempre
più stabilmente ‘ordinari’ (Altin, 2011). Tale cambiamento riguarda anche
l’Italia (Caritas, 2010), dove la generazione di “nuovi Italiani” (Della
Zuanna, Farina e Strozza, 2009) è arrivata a comprendere circa un milione e
mezzo tra adolescenti e ragazzi cresciuti o nati (seicentomila) nel nostro
Paese; questi ultimi (seconde generazioni di migranti) stanno aumentando con
una progressione costante, dal 2001 ad oggi, fino al 20%. Questi dati lasciano
prospettare, in un breve arco temporale, l’esistenza di una società fortemente
multietnica e culturalmente differenziata, nei confronti della quale non bastano
istanze etiche e appelli politici ad una dimensione di incontro, tolleranza,
rispetto e riconoscimento, ma appare necessario un mutamento di paradigma
pedagogico, in grado di fornire reti di senso all’incontro tra sistemi
culturali e valoriali diversi.
L’educazione
interculturale in Europa è considerata un ambito ancora incompiuto, sia per
quanto concerne i sistemi educativi dei Paesi storicamente organizzati attorno
ad un approccio monolingue e monoculturale, sia per quanto riguarda i contesti
scolastici in cui essa non è colta come componente strutturale del processo
formativo, ma come segmento curricolare inserito, a seconda delle esigenze, nei
percorsi educativi. Alla base di tale immobilismo sta la mancanza di modelli
politici e sociali in grado di tenere davvero conto del pluralismo societario,
nonché le resistenze del sistema scolastico, impermeabile alle riforme e
piuttosto refrattario ai cambiamenti culturali. Per quanto concerne l’ambito
italiano, le pratiche didattiche volte alla reciprocità interculturale sembrano
articolarsi in percorsi tesi sì ad agevolare l’accoglienza, a promuovere il
confronto tra culture, a prevenire stereotipi e pregiudizi, a facilitare
percorsi sull’educazione democratica, a sviluppare la consapevolezza
dell’identità, a diffondere la didattica dell’italiano come lingua seconda, ma
ancora privi di un sostrato pedagogico comune e condiviso tra educatori,
insegnanti e responsabili delle politiche scolastiche (Portera, 2003).
La formazione
interculturale deve potersi riferire ad una prospettiva dialogica, di
socializzazione ed interazione, orientata ad ambiti di contatto e scambio
reciproco, che permettano l’incrocio, l’interazione, il confronto, la
negoziazione tra culture, in una scuola che faccia dell’assimilazione e della
promozione sociale i propri ambiti prioritari, attivando “processi formativi
interculturali per tradurre, trasmettere senso e significati tra universi
culturali diversi, attraverso il pensiero, la pratica e il linguaggio della
differenza, nel rispetto di nuove identità culturali e sociali” (Lazzari, 2012,
p. 165). Alla scuola sta il compito di educare alla convivenza tra persone
afferenti a diversi gruppi etnico-culturali, secondo i principi democratici del
rispetto della diversità (Bocchi e Ceruti, 2004; Santerini e Reggio, 2007), del
confronto costruttivo di saperi ed esperienze e della tutela del diritto alla
conoscenza di ogni persona. Per rapportarsi alla complessa realtà sociale, il
sistema scolastico ha il compito di fornire ai ragazzi italiani e a quelli
privi di cittadinanza italiana, relazioni dinamiche indispensabili alla
formazione della identità individuale e collettiva, costruendo una nuova
epistemologia fondata sul concetto di alterità come diritto riconosciuto ad
ogni individuo di essere, nella sua diversità, uguale agli altri.
L’educazione
interculturale nella scuola postula metodologie didattiche
Laboratorio di contrasto alla dispersione e operative
e laboratoriali, esperienziali e situazionali, che promuovano nuovi modi di
costruire e di condividere la conoscenza a partire dalla pluralità dei vissuti
esistenziali e dalla varietà dei modelli culturali degli allievi. La ricchezza
interculturale proattiva, con il riconoscimento del valore delle differenze e
delle diversità, ma anche con la ricerca di ciò che accomuna, emerge quando gli
allievi operano insieme per trovare soluzioni nuove e creative a problemi
reali, progettando e pianificando le attività, dando scopo, senso e significato
a ciò che sanno e che sanno fare.
L’intraprendenza: un potenziale che supera
le barriere culturali
L’intraprendenza è
considerata una delle principali fonti di sviluppo, innovazione e crescita
degli individui e della società (Audretsch, Carree, Van Stel e Thurik, 2002).
Essa attraversa tutte le differenze e le diversità, e in quanto tale si
presenta come valido connettore, come elemento di dialogo, come base
progettuale e curricolare inclusiva. Ciononostante, il sistema educativo tende
ad inibire lo sviluppo del senso di iniziativa, insegna ai giovani a ripetere,
a riprodurre i fatti e ad impegnarsi concretamente solo dopo aver terminato gli
studi. La formazione scolastica è centrata sul pensiero analitico e riflessivo,
con lo scopo di spiegare i fatti, di approfondire ciò che è successo;
l’intraprendenza, invece, è centrata sul pensiero creativo (Kourilsky, 1990),
vive di risorse e potenziali diversi, costruisce opportunità nell’incertezza,
apre a nuove possibilità. Quali sono le qualità e le capacità su cui si fonda
l’intraprendenza? Gibb (1998) riepilogando gli studi in merito, le articola in
sette capacità: di decidere in modo intuitivo, di affrontare creativamente il
problem solving, di trovare interdipendenze e connessioni tra le conoscenze, di
portare a termine i propri obiettivi, di utilizzare il pensiero strategico e la
gestione progettuale di tempi e risorse, di negoziare e di persuadere, di
motivare le persone dando l’esempio.
Queste capacità si basano
su alcune qualità fondamentali: 1. Motivazione al successo: la tendenza
a fissare obiettivi intesi come sfide, da perseguire attraverso lo sforzo
personale. McClelland (1965) sostiene che una forte necessità di realizzazione
spinge le persone a diventare intraprendenti. Secondo Kourilsky (1980, p. 182)
la motivazione al successo si riconosce dalla volontà di realizzare qualcosa di
importante e dalla manifestazione aperta delle proprie performance e
competenze. 2. Necessità di autonomia: il desiderio di indipendenza
nelle scelte e nelle decisioni e l’insofferenza verso il controllo esterno. Per
Kirby (2003) le persone con un’elevata esigenza di autonomia sono refrattarie
alle regole, alle procedure e alle norme sociali. 3. Creatività: la
capacità di percorre nuove strade, di sviluppare nuovi metodi, invece di
utilizzare percorsi e procedure standard (Born e Altink, 1996). Torrance (1967)
ha distinto quattro componenti principali della creatività: a) fluidità,
la capacità di produrre un gran numero di idee (quantità), b) l’originalità, la
capacità di produrre idee nuove e insolite (qualità), c) la flessibilità, la
possibilità di cambiare, d) l’innovazione, la capacità di ridefinire e
percepire in maniera atipica. 4. Senso di iniziativa: la motivazione per
cominciare ad agire in modo indipendente, a fare il primo passo nell’incerto,
ad essere disposti a provare nuove strade e nuovi metodi (Kourilsky, 1980).
Born e Altink (1996) definiscono l’iniziativa come la capacità di esercitare la
propria spontanea volontà. 5. Assunzione del rischio: l’accettazione
delle incognite nella realizzazione di qualcosa, riconoscendo che le
probabilità di successo sono sempre inferiori al cento percento. È intesa anche
come la capacità di esporsi alla perdita. 6. Opportunità: la capacità di
cercare, riconoscere e individuare, le insoddisfazioni, i bisogni e le
esigenze, ma anche le risorse e le potenzialità che possono, con nuovi prodotti
o processi, soddisfare e risolvere. 7. Obiettivi innovativi: la capacità
di definire e regolare gli obiettivi che possono essere realmente raggiunti con
uno sforzo imprenditoriale, in modo creativo e autonomo. 8. Autoconsapevolezza:
il grado di realismo nel riconoscimento delle proprie qualità e nella stima
delle proprie capacità, nell’affrontare il nuovo e nel rispondere adeguatamente
all’ambiente. Un soggetto intraprendente promuove azioni innovative, valuta
accuratamente le proprie capacità, ma nel contempo crede nelle proprie azioni
ed ha fiducia in se stesso. 9. Locus of control interno: chi considera
che i risultati raggiunti dipendano direttamente dalle proprie azioni e
volontà, è caratterizzato da un locus of control interno, mentre chi crede che
i risultati siano frutto di fortuna o dell’intervento di altri è caratterizzato
da un locus of control esterno. Gli intraprendenti presentano uno spiccato
locus of control interno. 10. Persistenza: la propensione ad attenersi
ad un compito fino a quando non è completato (Kourilsky, 1980, p. 182). La
persistenza dipende in gran parte dalla motivazione.
Spirito
di iniziativa e imprenditorialità.
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