IN CAMMINO VERSO LA PENTECOSTE
«Il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26).
- di Giovanni
Perrone
L’annuale ricorrenza
della Pentecoste interroga il nostro essere cristiani ed educatori. I doni
dello Spirito hanno, infatti, una valenza umana e spirituale. Lo Spirito ce li
offre perché anche noi possiamo farne dono a coloro che incontriamo e ai nostri
alunni. Essi costituiscono forti colonne, e allo stesso tempo bussola, per la
nostra vita e per il nostro servizio.
Il Paraclito, ricordato
sovente nel Vangelo e promesso da Cristo ai suoi discepoli, condivide e
sostiene il nostro cammino. Lo stesso termine lo dice: paraclito è colui che
accompagna, che difende, che aiuta a seguire il giusto cammino; colui che si
prende cura e ci sostiene nel prenderci cura di noi stessi e di coloro che ci
vengono affidati.
Gli stessi doni ch’Egli
elargisce, come sorgente inesauribile, «la sapienza, l'intelletto, il
consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà e il timore di Dio» sono colonne portanti
di un progetto di vita umana e cristiana, indicatori coi quali occorre
confrontarci per valutare il nostro cammino e la nostra azione educativa e danno
valore a ciò che facciamo, insegniamo.
Lo stesso impegno associativo,
personale e comunitario, non ne può farne a meno, se vuole essere efficace,
visibile credibile. Dunque, dobbiamo prendercene cura, con quotidiano impegno
perché i doni che lo Spirito Santo ci elargisce siano accolti e fruttino,
fortificando e rendendo feconda la vita di ciascuno e migliore la società ove
operiamo.
Oggi, in un mondo in
veloce mutamento, di fronte alla sfida dell’intelligenza artificiale e ai mille
apprendimenti “fast food”, sovente disorientati dai fuochi artificiali di mille
eventi e dall’assordante rombo di parole e discorsi, affascinati e intontiti
dall’apparire, ci resta poco tempo per coltivare l’arte del discernimento e del
prendersi cura.
Il prendersi cura sovente
non è appariscente e non ha risultati immediati, ma un cammino costituito anche
da silente, paziente e speranzosa attesa. Nel silenzio, nell’ascolto e nella
lungimiranza il discernimento si raffina e produce vera crescita.
Il prendersi cura è
intelligente e operosa presenza nel quotidiano. È previsione, competenza e
azione. Non interessano medaglie, visibilità ed applausi, ma l’efficacia dei
risultati.
I tragici eventi di
questi giorni evidenziano la grande carenza e incapacità di prenderci cura del
territorio. Al di là degli “eccezionali” eventi metereologici, è stata carente
la manutenzione, cioè la quotidiana cura. Gli esperti ce lo dicono, i politici
lo proclamano. Ma poi? Simili discorsi li abbiamo sentiti e li sentiremo.
Proprio stamani, un anziano contadino mi diceva che nel passato c’era l’abitudine
quasi quotidiana di curare la pulizia dei torrenti per “lasciare all’acqua la
possibilità di scorrere liberamente anche quando sarebbe piovuto a dirotto”.
Gli stessi tragici eventi
delittuosi che ci indignano e che danno luogo a mille dibattiti televisivi
evidenziano la carenza educativa del prendersi cura, della quotidiana
manutenzione di noi stessi e delle persone che ci vengono affidate.
Lo stesso può avvenire
anche nella vita associativa, quando si cade nella tentazione di illudersi perché
ogni tanto si celebrano grandi eventi, talora buoni principalmente per riempire
i social.
Bisogna passare dalla logica del non m'importa a quella del mi importa, "i care", come diceva don Milani; dall'inedia al responsabile impegno.
Il prendersi cura è
l’arte del pellegrino che passo dopo passo va verso una meta, guardando nello stesso tempo il vicino e il lontano, e interagendo
sapientemente con coloro e con ciò che incontra. È l’arte del mosaicista che sceglie
una ad una le varie tessere e le situa in maniera da dare concretezza, bellezza
e armonia al suo progetto. È l’arte del contadino che presta quotidiana
attenzione non solo al suo campo, ma ad ogni singola pianta.
Il prendersi cura non è una somma di eventi, seppure appariscenti e appaganti; non è l’esercizio autoreferente del potere, ma è il prestare attenzione, apprezzare, aiutare, incoraggiare, valorizzare ogni risorsa, sostenersi vicendevolmente, rendere un efficace servizio nella quotidianità, “mettendo insieme competenza e creatività” (Papa Francesco).
Il prendersi cura non è, perciò, un solitario esercizio né un lampo di genio o un ammaliante scoop, né il riempire i social con le proprie immagini; non è una somma di eventi, seppure appariscenti e appaganti, non è il guardarsi allo specchio per compiacersi, ma è un camminare insieme verso una meta comune. È l’arte della condivisione e dell’essere paracliti gli uni gli altri.
Educare, in particolare, vuol dire prenderci cura, con costanza, amore e con competenza, con fiducia, specialmente dei più deboli o delle situazioni più precarie.
Siamo sempre chiamati alla speranza, che è il presente del nostro futuro (San Tommaso d’Aquino).
Cristo avrebbe potuto
dare lo Spirito ai suoi apostoli in pochi istanti, ma scelse (e sceglie) il
pellegrinare per gli impervi sentieri della Palestina, facendosi maestro e
compagno. Passo dopo passo, giorno dopo giorno verso la Pentecoste, inizio di
un nuovo cammino per i suoi discepoli e per il mondo intero. Ancor oggi Gesù ci
dice: “Lo Spirito Santo vi dirà tutto ciò che ha udito e vi annunzierà le cose
che verranno” (Gv. 16).
Ogni istituzione è
chiamata ad essere un cammino condiviso, di solidarietà, di impegno, di
maturazione; in cui ognuno voglia e sappia essere una preziosa risorsa per
tutti: non il primo né il migliore, ma il servitore.
Anche noi siamo chiamati a farci generoso e quotidiano dono per tutti.
Non siamo lasciati soli: lo Spirito ci assiste
e ci orienta perché ciascuno faccia del proprio meglio, divenendo Epifania
dell'amore di Dio, umile e fecondo testimone di impegno attivo nella scuola, nella Chiesa, nell’associazione e nella società.
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