- di
don Lorenzo Bacchetta
Quando cerchiamo di mettere le righe in ordine con Dio, i conti non tornano.
Ci piacerebbe poter fare dei calcoli precisi, avere le parole esatte per dirlo, riuscire a definire correttamente e precisamente chi è Dio. Ci mettiamo a studiare, facciamo esegesi sempre più raffinate dei testi biblici, proviamo diversi metodi di preghiera, ma non riusciamo a produrre l’incontro con il Signore, non comprendiamo esattamente la sua parola, non possiamo dire con certezza una parola che lo definisca. Davvero Dio è inconoscibile?
Dobbiamo
arrenderci ad una trascendenza così assoluta da non lasciarsi dire? Eppure, Dio
si è fatto uomo e ha incontrato su questa terra uomini e donne per le strade
della Palestina.
Possiamo ritenere lo studio della Bibbia o la teologia uno sforzo inutile? Certamente no, semplicemente dobbiamo intenderle nel loro essere concretamente ancorate all’esperienza umana.
Dio lo conosciamo per approssimazione, interpolando gli incontri che noi abbiamo avuto e quelli dei nostri fratelli e sorelle, avvicinandoci a lui nell’avvicinarci gli uni agli altri. Dio forse non si può dire, ma si può raccontare a partire dai luoghi e dai tempi dove ci ha incontrati.
Il Vangelo non è forse un formidabile incrocio di racconti di incontri?
Continuiamo a raccontarci questi appuntamenti non programmati, continuiamo a chiedere ai nostri fratelli e sorelle di narrarci il loro incontro. Da soli non possiamo dire Dio, ma la comunità di coloro che sono stati da lui incontrati può dire molto.
Il volto di Dio si compone nella narrazione della comunità, ma perché lo vediamo più da vicino è necessario che ci avviciniamo gli uni agli altri.
È questione di approssimazione, di farci prossimi, di ascoltare nel battito del cuore di chi ci sta vicino, la vita che pulsa e lo Spirito che geme esprimendo la voce del Signore e tratteggiando il suo volto.
Una conoscenza
approssimativa.
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