Trasfigurazione del Signore
Dn
7,9-10 / 2Pt 1,16-19 / Mc 9,2-10 -
Commento di Paolo Curtaz al Vangelo di Domenica 6 Agosto
Il
cuore dell’estate, le città arroventate, l’estate che raggiunge lo zenit. Oggi
celebriamo la Trasfigurazione del Signore, brano che leggiamo ogni anno in
Quaresima e, più in sordina, all’inizio di Agosto. Quest’anno (ci voleva, con
tutto l’immenso dolore che scuote il mondo) sostituisce la domenica e
interrompe la serie delle parabole.
Ironia
della sorte: un sei agosto esplose la bomba atomica su Hiroshima, un sei agosto
il Signore chiamò a sé l’animo inquieto di san Paolo VI, papa, fragile e
possente cercatore di Dio.
Ci
voleva questa domenica in cui si parla di bellezza. Della bellezza di Dio.
Un
Dio felice che mi vuole felice.
Perché
viviamo mondi orribili. E vite vuote e arroventate, rabbiose e scoraggiate. Viviamo
in un occidente che sta perdendo il senso della misura, che perde la memoria
del suo divenire, che si lascia invadere da qualunque moda, che vive un’idea di
bellezza che decidono altri imponendo una griffe, uno stile, un trend.
E
tutti a correre, a elemosinare attenzione, un complimento, un giudizio che
certifichi la nostra esistenza nello spazio ingombro di un pianeta che esplode,
uno di ottomiliardierotti. Disposti a farci tagliare a pezzi e ricucire pur di
piacere, a imporci sforzi sovrumani in palestra, diete draconiane per avere un
like sui nostri profili social.
Abbiamo
confuso il lusso con la bellezza. Il plauso con la grazia. L’eccesso con
l’armonia. Aneliamo a ciò che è bello e grande e buono. Ci accontentiamo di ciò
che piace, che pensano tutti, che serve a me.
Urge
bellezza.
Colline.
Salgono sul monte, su un alto monte. In realtà è una collina ma l’amore rende
tutto immenso. E lì, annota Matteo, Gesù viene trasfigurato. Svela la sua
profonda natura, la sua vera identità. Non si toglie il vestito dozzinale sotto
cui si nasconde Superman, no.
È
lo sguardo dei discepoli che cambia. Perché la bellezza, come l’innamoramento,
come la fede, sta nel nostro modo di vedere.
Quando
sono innamorato trovo il mio amato il più bello fra tutti. Quando amo una
disciplina sportiva sono disposto a sudare e a faticare per praticarla. Quando
riesco a orientare la mia mente verso le mie emozioni, colgo la bellezza
abbagliante di un paesaggio.
Molte
cose concorrono nella bellezza. Una fra queste, certamente, è lo sguardo
interiore capace di cogliere la verità, l’armonia, la pienezza in un oggetto,
in un paesaggio, in una persona.
Possiamo
stare con Gesù tutta la vita, e frequentarlo, e credere, e seguirlo. Ma fino a
quando il nostro sguardo interiore non si arrende alla sua bellezza, non ne
saremo mai definitivamente segnati.
Accade
come sul Sinai, quando Dio si manifesta a Mosè in tutta la sua gloria: le nubi,
i fulmini, la voce, l’ombra, la paura. Paura che deriva dall’intensità della
bellezza, dall’insopportabilità della visione interiore. Mosè e Elia conversano
con Gesù: la Legge e i Profeti si inchinano al rivelatore del Padre. Pietro
viene travolto: la bellezza gli ha colmato il cuore.
Bellezza
Abbiamo
urgente, assoluto bisogno di recuperare il senso del bello nella nostra vita.
La bellezza risulta essere una straordinaria forza che ci attira verso Dio, che
in sé è armonia, pienezza, verità. Quante volte mi viene da dire, a chi mi
chiede ragione della fede: è bello credere. È bello e svela in me e negli altri
l’intima e nascosta bellezza che lega le persone, gli avvenimenti, le emozioni.
Quanti
uomini e donne, nella storia, si sono avvicinati alla fede perché attratti
dalla bellezza del Cristo, dalla sua ineguagliata umanità, dalla sua profonda
tenerezza, dalla sua stupefacente maturità.
Sì:
è bello essere qui, Signore, è bello essere tuoi discepoli. Così gli apostoli,
scesi dal Tabor, dovranno salire su un’altra collina, il Golgota. Lì la loro
fede sarà macinata, seminata, resa pura. Dopo, avere sperimentato la bellezza.
Solo
l’esperienza della gloria di Dio ci permette di affrontare il dolore. Senza
coinvolgimento emotivo, senza reale bellezza, senza entusiasmo, è difficile
essere credenti, è difficile restare cristiani. Il nostro mondo ha bisogno di
bellezza, di armonia. Nel caos
dell’eccesso (che di bello ha l’apparenza, ma che spesso nasconde il nulla) il
nostro mondo può imparare dal cristianesimo la bellezza della fede, della
preghiera, del silenzio, del gesto d’amore verso il fratello.
La
strada della bellezza
È
noioso credere. È giusto – certo – ma immensamente noioso. Il Vangelo di oggi
ci dice, al contrario, che credere può essere splendido. Varrebbe la pena di
ricuperare il senso dello stupore e della bellezza, l’ascolto dell’interiorità
che ci porta in alto, sul monte, a fissare lo sguardo su Cristo.
E
dare tempo al “dentro”, all’anima, all’ascolto, al silenzio, al fruscio del
vento, al calore del sole sulla pelle, all’odore del muschio o dell’erba, ai
rumori del bosco e del mare. Alla discreta e grandiosa presenza di Dio nella
natura, quella in cui possiamo trovare, come un’impronta, il suo silenzioso
sorriso. E la preghiera. Intensa. Vera. Umile. Prostrata. Stupita. Aperta al
mistero.
Facciamo
delle nostre messe dei luoghi di bellezza: il silenzio, il canto, la fede, il
luogo in cui preghiamo, può riportare un briciolo di bellezza nella nostra
quotidianità. E accorgerci che credere è la cosa più bella che possiamo
sperimentare nella nostra vita.
Nella
seconda metà dell’Ottocento una delle chiese parrocchiali della mia diocesi,
Saint Georges, venne affrescata da un modesto artista del luogo, tale Grange. Il
parroco di allora, don Thèrisod, suggerì al decoratore cosa scrivere, inserendo
delle frasi in ebraico e in greco (!) qua e là nel coro e nella navata. Sopra
le canne dell’altare, in un luogo che solo dall’altare maggiore si riesce a
vedere, il parroco fece scrivere, in greco, la dedica del lavoro (e della sua
vita):
Tzeu
kallisto kai meggisto, Al Dio grandissimo e bellissimo.
Paolo
Curtaz
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