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di Antonio Tarallo
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Chiara,
chiarore, chiarezza: tutte parole che riconducono la mente a un solo concetto,
la luce.
E
se c’è luce, c’è verità.
Quante
volte utilizziamo, nel nostro parlare abituale, frasi del genere: “questo è
chiaro!”, oppure “grazie per la chiarezza della tua esposizione”, o anche
“tutto si è palesato ai nostri occhi chiaramente”.
Che
bella la chiarezza!
Forse,
non ci pensiamo poi così tanto a quanto sia importante una dote del genere.
Eppure,
se non c’è “chiarezza” il messaggio - qualsiasi messaggio che si voglia dare,
ad esempio, ad un interlocutore - non arriva, non “passa” diremmo.
E,
invece, grazie solo alla “chiarezza” è possibile il dialogo: semplice strumento
della comunicazione.
E
di comunicazione, se ne intendeva parecchio la nostra Chiara di Assisi, donna
moderna, donna oltre il proprio tempo, per diversi aspetti.
E
soprattutto una donna “chiara” con tutti, a cominciare da sé stessa.
Che
non è, poi, cosa semplice, lo sappiamo bene.
È
stata “chiara” con la sua famiglia, senza nessun compromesso.
Sentita
la chiamata, si oppone alla famiglia che vede per lei la vita di ogni ragazza
“di buona famiglia” dell’epoca.
Chiara
cerca di far capire ai genitori il suo disegno di vita o, meglio, il disegno
che aveva Dio per lei.
La
sera della Domenica delle Palme del 1211 (o 1212) la bella ragazza appena
diciottenne fugge dalla sua casa in Assisi e corre alla Porziuncola, dove
l’attendono Francesco e il gruppo dei suoi frati minori.
Le
fanno indossare un saio da penitente, le tagliano i capelli e poi la ricoverano
in due successivi monasteri benedettini, a Bastia e a Sant’Angelo.
Chiara
è stata “chiara” fin da subito: la chiamata al servizio di Dio non poteva,
certo, attendere.
È
stata “chiara” con Francesco.
Chiara
non fugge di casa “per andare dalle monache”, ossia per entrare in una comunità
già prestabilita: vuole dare vita a una famiglia di claustrali radicalmente
povere, come singole e come monastero, viventi del loro lavoro e di qualche
aiuto dei frati minori, immerse nella preghiera per sé e per gli altri, al
servizio di tutti.
E
con San Francesco è “chiara”: da lui, ottiene una prima regola per il nuovo
ordine religioso, fondato sulla povertà.
Francesco
- è vero - consiglia, Francesco ispira, Francesco l’aiuta ma è lei a decidere,
bisogna pur sempre specificarlo.
Grazie
a quella sua decisione - in un certo modo - preannuncia la forte iniziativa
femminile che il suo secolo e il successivo vedranno svilupparsi nella Chiesa.
E’
“chiara” con il suo tempo.
È
“chiara” anche quando scrive ad Agnese, la beata Agnese di Praga: “Sorella
carissima, o meglio signora degna di ogni venerazione, poiché siete sposa,
madre e sorella del Signor mio Gesù Cristo, insignita dello smagliante
stendardo della inviolabile verginità e della santissima povertà, riempitevi di
coraggio nel santo servizio che avete iniziato per l’ardente desiderio del
Crocifisso povero”.
“Riempitevi
di coraggio”: non usa “mezze misure” in questa lettera, arrivando subito al
“punto”.
A
ciò che più gli preme: infondere coraggio ad Agnese.
Oppure,
come scrive nella sua seconda lettera: “Memore del tuo proposito, come un’altra
Rachele, tieni sempre davanti agli occhi il punto di partenza.
I
risultati raggiunti, conservali; ciò che fai, fallo bene; non arrestarti; ma
anzi, con corso veloce e passo leggero, con piede sicuro, che neppure alla
polvere permette di ritardarne l’andare, avanza confidente e lieta nella via
della beatitudine che ti sei assicurata”.
Un
periodare così “chiaro”, un’espressione così lineare, è davvero sorprendente.
In queste parole c’è tutta la “chiarezza” della determinazione di Santa Chiara:
raccomanda sì queste parole ad Agnese, ma è come se le scrivesse per sè stessa,
in fondo.
E
lo fa, con proverbiale “chiarezza”.
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