Amare
l’altro senza ridurlo
a se stessi»,
l’abbraccio che serve
al mondo
Monsignor
Baturi, segretario Cei, è interventuo con una lettura teologica dell'amicizia,
citando San Bernardo e San Giovanni Crisostomo, Giussani e Florenskij, San
Tommaso e Sant’Agostino.
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di Paolo Viana
Il
Meeting di Rimini «ha un grande futuro» in questo mondo di guerre, perché è «un
luogo in cui sperimentare una amicizia che non altera le diversità ma le abbraccia
è una pratica di pace di cui il mondo ha bisogno». Parole che gratificano il
popolo di Comunione e Liberazione e infatti il presidente della fondazione
Meeting, Bernhard Scholz, ieri non ha nascosto la soddisfazione di fronte al
lungo applauso che l’auditorium della Fiera ha tributato a monsignor Giuseppe
Baturi. Il segretario generale della Cei, all’indomani dell’intervento del
presidente Zuppi incentrato sul legame tra amicizia e pace, si è concentrato su
una lettura teologica dell'amicizia, citando San Bernardo e San Giovanni
Crisostomo, Giussani e Florenskij, San Tommaso e Sant’Agostino. Alla base del
ragionamento, ha posto l’idea che l’uomo non possa non amare in quanto immagine
di Dio e che le amicizie umane altro non sono che il riflesso dell’amicizia
suprema del Signore.
L’amicizia,
ha detto all’inizio, non è figlia della ragione ma dell’esperienza e questo ci
libera dal moralismo, cioè dalla tentazione di dettare regole a prescindere
dall’esperienza. Per filosofi e teologi, l’amicizia è una forma d’amore, che si
qualifica per essere una «comunione di affetti e di intenti, ma è una comunione
che non si confonde con l’uniformità e non vuole ridurre l’altro alla idea che
ho di lui. Ne riconosce l’alterità». Amore e mutua benevolenza: volere il destino
dell’altro e accettare che l’altro voglia il mio destino, superando la
tentazione dell’autosufficienza, è un insegnamento di Giussani che credeva in
una amicizia inesauribile come inesauribile è l’amore. «Se il contenuto
dell’amore ha un limite non è amore, è interesse» ha commentato l’arcivescovo
di Cagliari.
Ripercorrendo
il pensiero di Florenskij, Baturi ha sottolineato che l’amicizia è generata
dalla carità e per riuscire a trattare gli altri come se stessi, cioè
riconoscervi dei fratelli, bisogna avvertire se stessi almeno in uno di loro,
cioè avere un amico con il quale la vittoria sulla solitudine si è già compiuta
e che ci permette di creare una corrispondenza d’amore con tutti i fratelli.
Non si ama il prossimo se non ci si lascia amare da un amico. E non si
concepisce l’amicizia se non si accetta se stessi e la vita come un dono del
mistero di Dio: «Solo se accettiamo noi stessi e la vita come data da Dio, che
è misericordia, possiamo perdonarci e accogliere tutti. Diversamente si è soli
e rabbiosi, rancorosi e violenti».
Purtroppo,
oggigiorno, «nutriamo una terribile difficoltà a lasciarci amare e a lasciarci
perdonare: è la tentazione di salvarsi da sé, mentre una buona dipendenza rende
più dolce la vita. La verità dell’amicizia è accettare di farsi amare e vivere
l’amicizia come una mendicanza». Al contrario, l’alternativa più ricorrente è
non riconoscere che la vita è un bene ma cercare la realizzazione di sé nel
consenso altrui o nelle cose, ma «questo è alienazione», ha tagliato corto Baturi.
Ripercorrendo
il pensiero di San Tommaso, ha parlato delle quattro possibilità di esser amici
rispetto a ciò che può dividerci. Ve ne è anche una politica. «Ma la prima
forma – ha insistito – è la famiglia: il rapporto tra uomo e donna è culmine di
gratuità e San Tommaso d’Aquino la chiamava non a caso l’amicizia coniugale e
parlava del rapporto tra marito e moglie come di un utero spirituale in cui i
figli crescono». Ma anche l’amicizia coniugale non è autosufficiente e
dev’essere salvata dalla percezione del mistero di Dio.
Passando
alla dimensione politica, il segretario della Cei ha affrontato il tema
dell’amicizia sociale «per realizzare un bene comune, per esser capaci di
includere i più poveri, per riconoscere la dignità dell’altro come soggetto di
una costruzione sociale». Bisogna «sviluppare l’amicizia come una forza capace
di generare un popolo e questa è la vera sfida. Serve il desiderio gratuito di
essere popolo, come dice papa Francesco».
Agostinianamente,
ha aggiunto, «un popolo può essere solidale verso gli ultimi solo se conosce
l’amicizia e solo come dilatazione dell’amicizia: essa è sempre capace di
generare un popolo, diceva Giussani. Il tema, oggi, è rinnovare l’identità del
nostro popolo e non è possibile senza una dilatazione dell’amicizia che ci
consenta di amare i nostri fratelli bisognosi, anche quando vengono dall’altra
parte del mare. Ciò che auspica il Papa è che la realtà sociale oggi esprima un
popolo: le nostre amicizie hanno una responsabilità che è generare un popolo prendendosi
cura del bene di tutti e politicamente bisogna fare ogni sforzo perché il
popolo nasca attraverso l’azione concorde di questa amicizia».
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