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di Giuseppe Savagnone*
La
frattura all’interno della destra
Sulla
vicenda del generale Vannacci e del suo ormai famoso libro «Il mondo al
contrario» si sono creati molti equivoci, su cui vale la pena di soffermarsi
perché, al di là della polemica contingente, è in gioco una questione più di
fondo, che riguarda l’esistenza o meno di una cultura “di destra” e la sua
capacità di sfidare quella, finora ampiamente egemone, “di sinistra”.
È
noto che, fin dai suoi esordi, l’attuale governo ha puntato su questa sfida per
legittimare il proprio successo elettorale e trasformarlo in una svolta
epocale. Lo ha fatto, per la verità, in modo maldestro, quando il ministro
della Cultura Sangiuliano, ansioso di rivalutare la tradizione del pensiero di
destra, – «la destra», ha affermato orgogliosamente, «ha cultura, deve solo affermarla» – si è
spinto fino a sostenere arditamente che ne era stato Dante il fondatore,
suscitando le divertite ironie dei competenti.
È
in questo contesto che si colloca la pubblicazione del libro di Vannacci, che
decisamente si pone su una linea alternativa a quella “di sinistra” e ne
contesta puntualmente, una dopo l’altra, tutte le tesi. Un testo ambizioso –
già per la mole: 354 pagine! – , che si propone di denunziare e ribaltare la
visione del mondo oggi dominante e che perciò, più che “conservatore”, va
senz’altro definito, in senso proprio, “reazionario”.
Ma
qui è cominciato il gioco degli equivoci. Forse il generale, in questo attacco
frontale, contava sulla tacita solidarietà del governo. E invece si è trovato
davanti a una reazione durissima del ministro della Difesa Crosetto, che lo ha
destituito dall’incarico di responsabile dell’Istituto Geografico Militare di
Firenze e ha annunciato l’apertura di un’azione disciplinare nei suoi
confronti, e ha parlato di «farneticazioni personali (…) che screditano
l’Esercito, la Difesa e la Costituzione».
A
questo punto si è scatenata, però, una serie di reazioni che hanno spaccato non
solo il fronte dei partiti di destra, ma anche ciascuno di essi al proprio
interno. La rottura di gran lunga più grave è venuta con l’intervento del
vicepremier leghista Matteo Salvini, che, sconfessando pubblicamente la
decisione di un ministro del suo stesso governo, ha espresso la propria
solidarietà al generale, appellandosi alla libertà di espressione del pensiero,
prevista dalla nostra Costituzione.
Ma
non meno traumatica è stata la presa di posizione, nello stesso senso, di due
importanti esponenti dello stesso partito di Crosetto, Giovanni Donzelli,
responsabile dell’Organizzazione di Fdi e vicepresidente del Comitato
parlamentare per la sicurezza della Repubblica, e Galeazzo Bignami,
viceministro alle Infrastrutture. Tutti, anche prescindendo dal merito dei
problemi affrontati nel libro, hanno
evocato il pericolo di una censura imposta in nome del “politicamente corretto”
a favore del pensiero unico dominante.
Le
ragioni del ministro …
Crosetto,
da parte sua, si è difeso, negando che alla base del suo provvedimento vi sia
stato l’intento di limitare la libertà di espressione. «Solo senso delle
istituzioni e dello Stato», ha chiarito. Il ministro ha ricordato che «le Forze
Armate e di polizia, cui è consentito per legge e Costituzione, l’uso della
forza, devono operare prive di pregiudizi di ogni tipo (razziali, religiosi,
sessuali). «Perché tutti devono sentirsi sicuri».
Per
certi versi la risposta è senz’altro corretta. Il richiamo indiscriminato, da
parte dei critici del ministro, alla libertà di pensiero e di espressione
prevista dalla Costituzione nasconde un evidente equivoco. Essa non esclude,
infatti, delle precise limitazioni legate al ruolo e alla funzione che il
singolo è chiamato a svolgere. I rappresentanti delle istituzioni dello Stato,
che sono al servizio di tutti i cittadini, non possono permettersi di assumere
pubblicamente posizioni ideologiche che implicherebbero una discriminazione a
favore di alcuni e a danno di altri.
Questo
è particolarmente vero quando i membri di queste istituzioni godono di
particolari prerogative, non concesse ad altri funzionari pubblici, come nel
caso della magistratura e dell’esercito. Un giudice, a cui la comunità
conferisce lo straordinario potere di decidere della libertà fisica di altre
persone, non può dire, al di fuori delle rigide regole processuali, tutto ciò
che sa e che pensa personalmente di un imputato, perché verrebbe immediatamente
ricusato. E un alto ufficiale, a cui è affidato il monopolio dell’uso delle
armi, non può permettersi di esprimere opinioni che possano gettare una
qualsiasi ombra sulla assoluta imparzialità del suo operato.
Se
uno vuole dire quello che pensa senza limiti, non entra nella magistratura e
non fa la carriera militare. Il generale Vannacci è probabilmente un ottimo
soldato – il suo curriculum lo attesta senza ombra di dubbio – , ma forse non
ha sufficientemente meditato sulle regole della convivenza civile e sugli
obblighi che il suo status gli imponeva. Altrimenti non avrebbe preso
pubblicamente posizioni così nette e discriminanti – a torto o a ragione – nei
confronti di particolari categorie di persone che dovrebbero poter contare
sulla sua assoluta neutralità.
… E quelle dei suoi critici
Eppure,
le proteste dei rappresentanti della destra hanno un fondamento. Perché
Crosetto non si è limitato a condannare la presa di posizione del generale: ha
parlato di «farneticazioni personali (…) che screditano l’Esercito, la Difesa e
la Costituzione». Questo è un giudizio di merito e colpisce il contenuto
specifico del libro di Vannacci.
Ora,
il paradosso è che questo contenuto esprime in larga misura proprio le
posizioni culturali espresse dai partiti di destra nel loro programma
elettorale e nelle loro prese di posizione pubbliche. Non a caso la stragrande
maggioranza della sinistra, coerentemente, è stata subito solidale con il
ministro. Con l’eccezione significativa di Marco Rizzo, presidente onorario dei
Comunisti italiani, che ha avanzato il sospetto che la rimozione di Vannacci
sia piuttosto legata, in realtà (come il suo esilio da comandante della Folgore
a direttore dell’Istituto Geografico Militare) ai due esposti presentati dal
generale in cui denunziava l’uso di uranio impoverito durante le missioni
all’estero a cui ha partecipato.
Quel
che è certo è che gli italiani, che avevano votato in maggioranza per la destra
alle elezioni politiche, hanno sancito il successo editoriale del libro. «Il
mondo al contrario», anche sospinto dal vento delle polemiche, è balzato al
primo posto nella graduatoria delle vendite estive, mentre il suo autore è
stato subissato di interviste e di inviti a trasmissioni televisive.
Niente
di nuovo sul fronte della destra
Ma
che cosa dice il libro? Esso costituisce una denunzia di quello che considera
un vero e proprio assalto alla normalità e al buon senso, compiuto in questi
anni in nome di minoranze che non vi si inquadrano e che vogliono la prevalenza
del marginale sulla norma generale. Emblematico, secondo l’autore, il caso
della cultura che oggi equipara i legami tra omosessuali e transgender a quelli
“naturali” tra uomo e donna.
Vannacci
non contesta la liceità delle pratiche omosessuali, non contesta il rispetto
dovuto anche agli omosessuali e i diritti recentemente acquisiti – ivi incluse,
lo dice esplicitamente, le unioni civili. Ciò che rifiuta è la pretesa di
essere riconosciuti come “normalità”, ossia in tutto e per tutto alla pari e
intercambiabili con l’unione eterosessuale. «Cari omosessuali, normali non lo
siete, fatevene una ragione!».
A
dispetto delle tre lauree conseguite, il linguaggio del generale risente a
volte pesantemente del clima della caserma. Come quando, proprio a proposito
degli omosessuali, si lamenta di non poter più usare tanti bei vocaboli che
andavano invece di moda una volta: «Pederasta, invertito, sodomita, finocchio,
frocio, ricchione, femminiello, culattone sono ormai termini da tribunale, non
ci resta che chiamarli gay importando un’altra parola straniera nel nostro
lessico italiano». O come quando sottolinea che a differenziare uomo e donna è
il «batacchio» che si trova fra le gambe del primo e di cui è sprovvista la
seconda.
Niente
di nuovo, insomma, rispetto a una mentalità diffusa in passato e ancora
presente in molti ambienti, in cui ad essere dominante era soprattutto il
disprezzo verso chi era diverso – le maledette minoranze, che ora invece hanno
preso il sopravvento e schiacciano le persone “normali”.
Tra
queste minoranze non potevano mancare gli immigrati. «Ma non prendiamo la
migrazione come una fatalità alla quale ci dobbiamo arrendere, è una balla
madornale!». Sembrava inserirsi in questo contesto anche la battuta sul colore
della pelle della pallavolista Paola Egonu, di origini nigeriane, ma a pieno
titolo cittadina italiana, di cui Vannacci sottolinea nel libro che «i suoi
tratti somatici non rappresentano l’italianità che si può invece scorgere in
tutti gli affreschi, i quadri e le statue che dagli etruschi sono giunti ai
giorni nostri». Anche se poi in un’intervista, ha precisato che la Egonu «non
solo è bravissima, ma è anche molto intelligente perché non si è lamentata. È
giustissimo che giochi con l’Italia».
Sulla
stessa linea l’esaltazione indiscriminata della legittima difesa privata: «Come
si può limitare il diritto alla difesa della propria abitazione e della propria
famiglia? (…) Il danno (la morte del ladro) qualora ci fosse, ed anche la
perdita della vita, nei casi più estremi, sarebbe da considerarsi
auto-procurato (…). Perché non dovrei essere autorizzato a sparargli, a
trafiggerlo con un qualsiasi oggetto mi passi tra le mani o a catapultarlo giù
dalle scale o dalla finestra dalla quale sta tentando di entrare e renderlo per
sempre inoffensivo?».
Insomma,
siamo davanti a un repertorio di luoghi comuni del pensiero e del linguaggio
leghista. Non c’è da stupirsi che Salvini abbia offerto la propria piena
solidarietà al generale, che, come possibile candidato della Lega, alle
prossime elezioni europee, potrebbe garantire al Carroccio un recupero di voti
a destra.
Resta
da chiedersi se, dopo la spontanea reazione negativa di Crosetto, la Meloni si
ricorderà di aver finora in sostanza avallato questa linea e tornerà ad
uniformarsi ad essa, anche per non rischiare di perdere consensi, o se avrà il
coraggio di cercare piste nuove, che vadano al di là di questa stanca
rimasticatura di vecchi slogan.
Per
il bene dell’Italia, che ha urgente bisogno di trovare finalmente una vera
cultura “di destra” (così come ce ne vorrebbe una “di sinistra”, anch’essa
latitante), non possiamo che augurarci che si verifichi questa seconda ipotesi.
*Scrittore
ed editorialista. Pastorale Cultura Diocesi di Palermo
www.tuttavia.eu
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