SCUOLA/ Scelga se continuare a morire o seguire Leopardi e il Papa
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di Corrado Bagnoli
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Alla
Gmg che si è appena conclusa a Lisbona, il Papa ha citato il poeta portoghese
Pessoa secondo cui “essere insoddisfatti è essere uomini”. Ai giovani che lo
stavano a sentire ha poi detto “non dobbiamo aver paura di sentirci inquieti,
di pensare che quanto facciamo non basti. L’incompletezza caratterizza la
nostra condizione di cercatori e di pellegrini. Siamo in cammino. Non siamo
malati, siamo vivi! Preoccupiamoci quando, al posto delle domande che lacerano,
preferiamo le risposte facili che anestetizzano”.
Forse
aveva in mente anche un altro poeta, quel Leopardi che certamente potrebbe
rispondere in pieno all’identikit del giovane contemporaneo fatto dal Papa.
Viaggiatori, pellegrini, cercatori. E per questo costruttori del presente e del
futuro.
E
gioiosamente pensando ad alcuni dei suoi ex alunni che stanchi e trasfigurati
sarebbero scesi dal pullman che li riportava a casa dal Portogallo, il mio amico
Giuseppe – che ormai sta in ferie sempre e non ha bisogno dell’estate per
staccare dalla scuola – seduto al tavolo di uno dei pochi bar rimasti aperti in
questo agosto cattivo, focoso, ventoso e piovoso, insieme a me e ad Alice – che
le ferie invece le vede già finire e pensa al collegio del primo settembre – ha
quasi cinicamente commentato: “Certo. Scuola permettendo”.
Non
stacca mai, neanche adesso che è in pensione. Non demorde e continua ad avere
qualche perplessità. Con Alice che gli dà corda, anche se adesso la scuola è
lei.
Sì,
risponde alla mia obiezione, sono io se mi lasciano essere la scuola. Ma non è
mai così, è sempre meno così. A me viene in mente ancora Leopardi: non che si
possa parlare di una sua teoria organica sulla scuola e sull’educazione – del
resto non lo si potrebbe dire di niente che riguardi Leopardi – ma nello
Zibaldone attacca una serie di riflessioni che sembrano calzare a pennello per
l’occasione. Nei pensieri 264 e 266 dell’ottobre del 1820, il giovane inquieto
e insoddisfatto Leopardi bolla la scuola dell’età classica come quella
dell’indottrinamento: i maestri insegnavano le loro ricette e i discepoli le
riproponevano tali e quali. Quelli più intelligenti andavano di maestro in
maestro e poi si tenevano un po’ di posto per una loro invenzione, creando una
scuola nuova, una cucina diversa. Nel suo tempo invece tutte le “scuole seguono
gli stessi principii e non si diversificano, se non per la diversa disciplina
che professano” : Leopardi, sempre acuto e profetico, osserva che essa è ormai
giunta a una sorta di omologazione, a metodi didattici uniformati e addirittura
a una formazione standardizzata per i nuovi maestri.
Non
sono forse le stesse cose che dice Alice della scuola di adesso? Preoccupata
ancora di vedere un’estate in cui ministri e presidi si preoccupano di indicare
linee programmatiche, giri di vite su condotta e comportamento, concorsi e
chiacchiere su come riempire le cattedre e sistemare le cose. Ma le cose della
scuola, dice Alice, non sono quelle di un’azienda, di un processo di
produzione, in cui si possono immaginare formule per sistemare le cose. È
agosto e siamo al bar e sappiamo bene che nessuno può dare risposte, ma magari
si potrebbe cominciare a pensare in un modo diverso, tanto per capire da dove
cominciare.
Giuseppe
allora mi chiede che cosa direbbe il giovane Leopardi – fa così perché un po’
lo ha infastidito il rumore intorno alla Gmg e ai giovani di cui mai a nessuno
frega qualcosa fino al prossimo evento o al prossimo disastro – immaginando che
se ne stia lì intorno al tavolo con noi, che cosa suggerirebbe?
Ma
lo sa bene anche lui che il poeta è pieno di contraddizioni, domande e
inquietudini. E ha pochi consigli da dare. Comunque Leopardi riconosce in altri
passaggi l’importanza di un esercizio frequente, della ripetizione, del
persistente contatto con i testi che contribuiscono a creare il talento. Sembra
che questo coincida con la didattica tout court: “L’insegnare non è quasi altro
che assuefare” e “L’imparare non è altro che assuefarsi”. Leopardi sembrerebbe
avere piena fiducia in una metodologia capace di plasmare la persona:
l’assuefarsi ad assuefarsi leopardiano assomiglia un po’ a quell’imparare a
imparare che viene raccomandato dai pedagogisti di oggi?
Senonché,
comunque, il suo giudizio generale sull’educazione è negativo, perché essa è
basata su divieti e imposizioni, ed è addirittura contraria a quanto chiede la
natura: il percorso educativo – e naturalmente parla del suo, della sua
esperienza e per fortuna non è quella di tutti oggi alla scuola – è una specie
di supplizio volto a negare le istanze belle e il desiderio di felicità che
albergano nei giovani. Se da un lato il poeta sembra proclamare la necessità
della scuola intesa come esercizio e ripetizione, dall’altro lato rivendica
un’educazione come esperienza viva e libera che nessuna scuola sembra in grado
di garantire.
Attuale,
profetico e problematico come sempre: ancora oggi, soprattutto oggi, la scuola
deve scegliere se essere un percorso educativo improntato alla libertà o
configurarsi come un semplice processo formativo il cui esito pare già scritto,
quando va bene. La scuola deve decidere se è Alice e i suoi alunni,
protagonisti come li vuole il Papa. O continuare a morire pensandosi altro.
Il
Sussidiario
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