Probabilmente la novità dell’ultima
enciclica di papa Francesco, Fratelli tutti, va cercata più nella
sua forma che nei contenuti. Non perché questi ultimi siano irrilevanti , o
almeno scontati, come qualche critico ha sostenuto, ma perché la loro carica
– che non esiterei a definire “rivoluzionaria” – si sprigiona in tutta la
sua forza dirompente precisamente a causa delle modalità nuove in cui viene
comunicata.
di Giuseppe Savagnone
La forma tradizionale delle
encicliche
Finora per “enciclica” si è intesa
una lettera
pastorale del Papa ai vescovi della Chiesa
cattolica e, attraverso di loro, a tutti i fedeli. Ancora nella Lumen
fidei (2013) – la prima enciclica dell’attuale pontefice
(dichiaratamente ispirata, però, a un testo già elaborato dal suo predecessore)
– questa impostazione era stata mantenuta. Il documento si rivolgeva «ai
vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate, e a tutti i
fedeli laici» e partiva dai testi della Rivelazione. Benedetto XVI, nella sua
enciclica sociale Caritas in veritate (2009), aveva aggiunto,
ai suddetti destinatari, anche «tutti gli uomini di buona volontà». In ogni caso il punto di partenza era
la fede che accomunava i membri della Chiesa. Perciò le encicliche normalmente
si aprivano con una esposizione dei fondamenti biblici e magisteriali del
messaggio che volevano comunicare, passando poi alle applicazioni ai problemi
della comunità cristiana e della società.
La svolta della «Laudato si’»
Già con la Laudato si’ (2015)
papa Francesco ha cambiato questo struttura tradizionale. L’enciclica sulla
crisi ecologica si apre con un capitolo dedicato alla rassegna dei fenomeni
negativi che contrassegnano il nostro rapporto con la terra. E ne spiega il
motivo: «Le riflessioni teologiche o filosofiche sulla situazione
dell’umanità e del mondo possono suonare come un messaggio ripetitivo e vuoto,
se non si presentano nuovamente a partire da un confronto con il contesto
attuale, in ciò che ha di inedito per la storia dell’umanità» (n.17).
Perché la voce della Rivelazione?
Solo nel secondo capitolo, intitolato
«Il vangelo della creazione» e aperto da una sezione dedicata a «La luce che la
fede ci offre», entrano in gioco la Rivelazione e il suo insegnamento. E che
questo non sia scontato lo evidenzia l’interrogativo con cui questa sezione si
apre: «Perché inserire in questo documento, rivolto a tutte le persone di buona
volontà, un capitolo riferito alle convinzioni di fede?» (n.62).
Il Vangelo come contributo alla
riflessione umana
Due le risposte date a questa
domanda. La prima, che «se si vuole veramente costruire un’ecologia che ci
permetta di riparare tutto ciò che abbiamo distrutto, allora nessun ramo delle
scienze e nessuna forma di saggezza può essere trascurata, nemmeno quella
religiosa con il suo linguaggio proprio» (n.63); la seconda, che «anche se
questa Enciclica si apre a un dialogo con tutti per cercare insieme cammini di
liberazione, voglio mostrare fin dall’inizio come le convinzioni di fede
offrano ai cristiani, e in parte anche ad altri credenti, motivazioni alte per
prendersi cura della natura e dei fratelli e sorelle più fragili (…).
Pertanto, è un bene per l’umanità e per il mondo che noi credenti riconosciamo
meglio gli impegni ecologici che scaturiscono dalle nostre convinzioni» (n.64). Dove è chiaro che il discorso deve
parlare a tutti gli uomini, anche al di fuori della Chiesa, non prescindendo
dalla prospettiva cristiana, ma tenendola presente come un «forma di saggezza»,
dunque nelle sue implicazioni umane; e ai credenti fornendo loro «motivazioni
alte», legate alla fede, che dovrebbero renderli più direttamente protagonisti
nella lotta per la salvaguardia del creato.
Il dialogo aperto di «Fratelli tutti»
Nella nuova enciclica di Francesco
questa intenzione di parlare a tutti gli uomini e le donne del pianeta, e non
solo ai cristiani è ancora più evidente. Il papa la dichiara, del resto,
espressamente, all’inizio: «Pur avendola scritta a partire dalle mie convinzioni
cristiane, che mi animano e mi nutrono, ho cercato di farlo in modo che la
riflessione si apra al dialogo con tutte le persone di buona volontà» (n.6).
Il primato della trascendenza
Non è un caso che in Fratelli
tutti il riferimento esplicito alla prospettiva religiosa e a quella
più specificamente evangelica compaia solo nell’ottavo capitolo, l’ultimo. Dove
Francesco sottolinea che «quando, in nome di un’ideologia, si vuole
estromettere Dio dalla società, si finisce per adorare degli idoli, e ben
presto l’uomo smarrisce sé stesso, la sua dignità è calpestata, i suoi diritti
violati» (n.274). Una rivendicazione del primato della trascendenza, comune a
molte religioni, che ha il suo ulteriore sviluppo nella precisazione che per il
cristiano la «sorgente di dignità umana e di fraternità sta nel Vangelo di Gesù
Cristo» (n.277). È coerente con questa apertura
alle altre religioni il reiterato richiamo al documento firmato ad Abu Dabi col
Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb. Mentre, come lo stesso Francesco ricorda, ad
ispirarlo nella redazione della Laudato
si’ era stato il Patriarca ortodosso Bartolomeo – non cattolico,
ma comunque cristiano, ora il punto di riferimento
è il suo dialogo con un autorevole rappresentante dell’islam (cfr. n.5).
Un manifesto illuminista?
Non stupisce che l’enciclica sia
apparsa, agli occhi di una parte del mondo cattolico che da tempo accusa
l’attuale pontefice di eresia e di sincretismo, «il manifesto ideologico del
bergoglismo». Lo ha scritto sul quotidiano «La Verità» (6 ottobre 2020) un noto
intellettuale di destra, Marcello Veneziani, sostenendo che «la fratellanza a
cui allude Papa Francesco è il terzo principio della Rivoluzione Francese, dopo
liberté ed égalité» e che, con questa enciclica, l’ideologia di Bergoglio cerca
un posto alla Chiesa postcristiana nella modernità laica in nome della
fratellanza (…) inserendo la Chiesa dentro il mondo moderno, ateo e laicista,
disceso dalla Rivoluzione francese e cercando ispirazione anche da altre
religioni come l’Islam».
Una Chiesa che vuole uscire dal
tempio
In realtà, se proviamo a decrittare
questo messaggio, scopriamo che in fondo Veneziani coglie abbastanza bene
l’intenzione fondamentale del papa: fare uscire la Chiesa e il suo annuncio del
Vangelo dal ghetto in cui la cultura del mondo moderno li hanno da tempo
relegati e puntare sui valori che questa stessa cultura ha accolto e celebrato,
per mostrare le loro radici cristiane e denunciare l’incoerenza della società
attuale rispetto ad essi. Che questo diventi un’accusa lo si
comprende alla luce della pressante e ricorrente richiesta, da parte di
esponenti politici della destra, che i pastori della Chiesa “si facciano gli
affari loro”, se ne restino, cioè, ben chiusi fra le mura dei loro templi a
parlare di una fede senza il minimo riscontro nella vita reale degli uomini, a
cominciare dagli stessi fedeli.
Una fede che pretende di parlare
anche alla ragione umana
È interessante, però, che questa
sia anche la pretesa di intellettuali di segno opposto, come Paolo Flores
d’Arcais, il quale, in uno scritto di alcuni anni fa, sottolineava la necessità
di combattere «l’idea, criticamente insostenibile, che abbia qualche fondamento
la pretesa della “fides” di essere anche “ratio”, la pretesa del magistero
della Chiesa, con le proprie dottrine morali, di essere anche la custode della
natura umana in quanto ragione». Perché, «se la “fides” di cui si
tratta è (…) “follia per la ragione” (…), nessuna Chiesa potrà pretendere che
questa sua “follia”, che pure chiederà ai suoi fedeli di praticare, diventi
regola della civile convivenza». Invece, avvertiva Flores d’Arcais, «una
religione che pretende di fare tutt’uno con la ragione, anzi di essere il
compimento della ragione, inevitabilmente torna (…) alla richiesta di far
valere erga omnes, credenti e non credenti (…) i propri precetti
morali». Infatti, se si accettasse questa logica, «ogni norma in contrasto con
la “legge naturale” di ragione, inglobata nella fede, sarebbe irragionevole e
disumana, e nessuno può volere che la convivenza civile si autodistrugga con
leggi positive disumane» («Micromega» 3/2007, pp.14-215).
La sfida di Francesco
Ora, è proprio questo che papa
Francesco ha cercato di fare, già nella Laudato si’, più
decisamente in Fratelli tutti: mostrare che la Chiesa ha qualcosa
da dire al mondo contemporaneo, non in termini confessionali, ma per rispondere
a un problema che sta davanti agli occhi di tutti, credenti e non credenti,
evidenziando che la fraternità, centrale nel messaggio cristiano, è anche un
valore umano e che un mondo che la misconosce – come il nostro – è disumano. È una sfida. La parabola del
buon Samaritano – a lungo analizzata nell’enciclica come modello di fraternità,
ma che nel Vangelo è il racconto dell’umano fatto da Dio –, ci rassicura che a
porre questa sfida non è solo l’ideologia di Bergoglio.
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