La Gmg e la domanda
che ritorna
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di Sergio Massironi*
Ciò che più conta
dell’annuncio cristiano lavora sottotraccia e non appartiene all’ordine del
quantificabile. E noi cosa dobbiamo fare? Ciò che più conta dell’annuncio
cristiano lavora sottotraccia e non appartiene all’ordine del quantificabile.
Per questo le parabole del Regno di Dio raccontano un’efficacia difficile da
prevedere. Una giornata mondiale della gioventù non può sottrarsi a questa
regola.
Ciò che più conta
riguarda infatti il vangelo. D’altra parte, sin dalla prima Pentecoste è
proprio il vangelo a produrre un terremoto interiore – si sentirono frantumare
il cuore – e a lasciare affiorare una domanda: che cosa dobbiamo fare? (At
2,37). Qui abbiamo un indicatore, quasi il termometro della missione. Chi ha
condiviso coi giovani i giorni di Lisbona può ora raccogliere questo
interrogativo. E chiedersi, se non affiora, perché. Non c’è nulla da misurare,
ma un’attenzione da garantire.
Esiste, però, l’altra
parte che siamo noi, non più così giovani anagraficamente. Il vangelo, infatti,
non è mai solo per gli altri. Quella parola di Dio che sono i giovani ha
frantumato il nostro cuore? Che cosa dobbiamo fare? Quando a chiederselo sono degli
adulti, come presso Giovanni Battista o negli Atti degli Apostoli, la questione
è ancora più rivoluzionaria, perché tornando alle cose di sempre quel che c’è
da fare è già programmato: ne abbiamo in abbondanza. Il Regno di Dio, però,
impatta su questa sicurezza della maturità, per cambiare tutto. In casa
cattolica ha generato qualche fastidio e sincero dispiacere il silenzio dei
grandi media sul milione e mezzo di giovani raccolti da papa Francesco.
Di qualunque altro raduno
– anche minore – si sarebbe parlato di più. È un complotto? O semplicemente
questa meraviglia è entrata nella routine, cioè nell’ordine di ciò che conferma
il mondo conosciuto e non lo modifica? Già, la Chiesa cattolica. Che raduni
qualche milione di persone si sa. Ma le ragazze e i ragazzi di Lisbona hanno
cambiato i loro vescovi? Erano molti ad accompagnarli. Tornando alle loro
diocesi che eco avranno quelle voci e quei volti nelle decisioni da prendere?
Il mondo avrebbe ragione di fermarsi e di provare un fremito davanti a un
evento dello Spirito. Sigillo del suo passaggio è la vita nuova. Che un uomo
nasca quando è vecchio, direbbe Nicodemo (Gv 3,4).
Sui giovani ogni comunità
cristiana proietta tutte le sue immaginazioni. Il dono più onesto che meritano
è invece che le loro idee, il loro dissenso, il loro chiamarci in causa abbiano
qualche effetto. Non significa abdicare a un compito educativo, ma entrarvi
senza eccessive protezioni. Il carattere dirompente di ogni pagina evangelica
sta negli effetti della reciprocità che i sistemi di potere disinnescano.
Dobbiamo temere il quieto
vivere. Allora la vita in abbondanza sperimentata nei grandi raduni ecclesiali
non sarà come l’entusiasmo di una vacanza, ma vento e fuoco che purificano il
cammino ordinario. Protagonista di tutto questo è il Risorto, di cui possiamo
non tenere conto o parlare come di un estraneo. Invece agisce in mezzo a noi
come il più giovane di tutti.
I giovani di Lisbona
hanno rivelato, a chi la voglia vedere, una formidabile capacità di
concentrazione quando la preghiera è di qualità e veramente fra sorelle e
fratelli. Hanno manifestato il desiderio di un mondo in cui i confini siano
solo traccia di storie diverse e di problemi su cui unire le forze.
Vivono l’amicizia e
l’amore con una libertà di interrogativi senza precedenti. Sanno di essere
un’eccezione fra i propri coetanei e si chiedono cosa e come condividere. Hanno
capito che papa Francesco fa sul serio.
La domanda è: che cosa
dobbiamo fare?
* Dicastero per il Servizio dello
sviluppo umano integrale.
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