I giovani hanno bisogno di una grande speranza, che è quella di coinvolgerli nella costruzione di un mondo migliore.
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di Italo Fiorin
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La
centralità dell’apprendimento, espressa dallo slogan dell’imparare ad
apprendere, è ormai universalmente riconosciuta, ma il modo di interpretare in
che cosa debba consistere questo apprendimento non è univoco. Semplificando,
possiamo dire che si fronteggiano due diverse visioni, quella funzionalista e
quella personalista.
Nella
visione funzionalista, è soprattutto la realtà economica a dettare alla scuola
e all’università quali debbano essere le priorità e a decidere della qualità di
queste istituzioni. Tanto più godranno di reputazione, quanto meglio sapranno
rispondere alle richieste del mercato.
Nella
concezione personalista, finalità e obiettivi devono rispondere alle esigenze
di sviluppo della persona umana, considerata nella integralità delle sue
dimensioni. La qualità del percorso formativo sarà valutata non solo in base
alla capacità di rispondere alle richieste del mercato del lavoro, ma di
promuovere lo sviluppo armonico degli studenti.
La
visione funzionalista sottolinea maggiormente gli aspetti produttivistici e la
dimensione cognitiva dell’apprendimento, mentre la concezione personalista
considera anche gli aspetti relazionali, sociali, di costruzione della
personalità e di significatività personale dell’esperienza.
Nella
prospettiva del funzionalismo quello che conta è il risultato. Viene apprezzato molto l’agire individuale,
la capacità che l’individuo ha di prendere decisioni autonome, di sbrigarsela
da solo, di emergere, se possibile, primeggiando. A queste doti vengono
associati dei valori, quali il raggiungimento dell’eccellenza, il
riconoscimento del merito, la capacità di competere e di raggiungere il
successo.
Questa visione presenta aspetti che non vanno sottovalutati. Nessuno può negare l’importanza dell’impegno personale, il valore che c’è nel cercare di risolvere i problemi autonomamente, senza cedere di fronte alle prime difficoltà. Spesso, però, l’enfasi sulla realizzazione personale si accompagna ad una concezione individualistica dell’educazione, nella quale non c’è posto per gli altri, se questi possono rappresentare un ostacolo al desiderio di affermazione personale.
La cultura nella quale viviamo spinge in tale direzione, in mille
modi, favorendo una dimensione autistica della vita personale, e una dimensione
competitiva della relazione con gli altri. Sembrerebbe che l’unica motivazione
all’agire sia l’interesse personale e l’utile che ne può derivare.
Ricorrere
a forme di riconoscimento esterno per sollecitare l’impegno nello studio è
molto parziale e rischia di produrre più danni che benefici.
Una visione tanto riduttiva del valore dell’apprendimento trascura che, per i giovani, può risultare molto più allettante essere coinvolti in un progetto di trasformazione della realtà, spendersi per un ideale grande al punto da sembrare utopico. Non è detto che l’elogio del successo individuale all’interno di un vecchio mondo nel quale rapidamente integrarsi sia più seducente della prospettiva di un mondo nuovo da costruire, di un protagonismo generoso, finalizzato non alla conservazione dell’esistente ma al cambiamento profondo.
Ai giovani può essere prospettato un senso non solo privato, ma sociale
dell’impegno che si chiede loro, si può associarli ad una grande speranza, che
è quella di coinvolgerli nella costruzione di un mondo migliore.
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