Vivere
è sempre ricominciare
-
di Vincenzo Sansonetti
Il
primo romanzo di Massimo Camisasca, vescovo emerito di Reggio Emilia, “Nella
luce dell’inizio”, è una storia che aiuta “a comprendere e a vivere i rapporti
tra le generazioni”
“Un
padre conosce mai un figlio? Un figlio conosce mai un padre?”. Da queste
semplici ma ineludibili domande, che ci riguardano tutti, prende le mosse il
romanzo Nella luce dell’inizio (San Paolo, 2023), di
monsignor Massimo Camisasca. Dopo decine di saggi di carattere spirituale,
teologico, storico e pastorale, il vescovo emerito di Reggio Emilia-Guastalla
ci offre la sua prima prova narrativa. È una vicenda ricca di umanità, che
racconta il rapporto non facile tra Enrico, un avvocato romano che – anche a
causa del suo passato – sta vivendo un momento molto tormentato, e il figlio
Marco, studente universitario, pieno di speranze, che vorrebbe avere con il
padre un legame più sincero e schietto, più libero. Entrambi alla ricerca di un
senso da dare alla propria vita, che li aiuti a superare le loro debolezze e a
riscoprire la bellezza dell’esistenza. Ma perché, abbiamo chiesto all’autore,
un vescovo scrive un romanzo? Perché l’ha fatto? “Questo libro”, spiega
monsignor Camisasca, “nasce da una urgenza che è andata maturando dentro di me
da parecchi anni. Desideravo infatti riflettere attraverso una narrazione sul
rapporto padre-figlio. Dopo i due racconti per ragazzi con protagonista Tullio
(entrambi editi da Electa Junior, ndr), ho scelto di scrivere una storia per
adulti. Volevo capire se ero in grado di elaborare narrativamente una vicenda
che mi stava a cuore. Diranno i lettori se ci sono riuscito”.
Il
romanzo copre un arco temporale che va dagli inizi del Novecento fino al mese
di giugno del 1968, poco dopo il fatidico Maggio francese (“Sono giorni di
fuoco in tutta Europa”), e comprende travagliate vicende familiari (Enrico è
del 1915 e ha avuto un’infanzia difficile, il figlio Marco è nato nel 1946,
nell’immediato dopoguerra) strettamente intrecciate a vicende storiche. Come,
per esempio, l’armistizio dell’8 settembre 1943, con il cambio di alleanze e il
confino di Enrico, ufficiale dell’esercito, in un campo di prigionia tedesco
(“Nel lager emergevano gli aspetti migliori e peggiori di ciascuno, era un
inferno e un paradiso assieme”). I luoghi che fanno da sfondo alla narrazione
sono diversi: da Milano a Roma, dalla spiaggia molisana di Termoli al buen
retiro di Tivoli dai nonni, da Cortina a Marbella, in Andalusia. E su padre e
figlio incombe il ricordo della loro moglie e madre, morta prematuramente dopo
una lunga malattia, “donna forte, abituata a lottare tanto quanto dolce era il
suo animo, un’anima fragile in un temperamento duro”. Monsignore, i personaggi
descritti sono di pura fantasia o c’è qualche riferimento autobiografico o
comunque a persone conosciute nella sua esperienza di sacerdote ed educatore?
“Nessun riferimento esplicito, ma ogni scrittore porta nelle sue pagine
esperienze vissute: la loro trasposizione letteraria conferisce universalità a
ciò che altrimenti resterebbe relegato nel solo ricordo personale”.
Viene
raffigurato un mondo lontano anni luce da quello di oggi. Dai rapporti
familiari a quelli affettivi, dal lavoro al contesto sociale, tutto è diverso.
Una certa leggerezza e pacatezza, pur nella sofferenza e nella fragilità, che
emergono dal racconto, sono state sostituite nella società odierna da un
approccio convulso e quasi disperato alla realtà. Chiediamo al vescovo-autore
se è un caso che il racconto si fermi al 1968, quasi che quell’anno sia un
crinale, il confine tra un “prima” e un “dopo” … “Tanto più ce ne allontaniamo
cronologicamente”, risponde, “tanto più il Sessantotto ci appare in effetti
come un vero discrimine tra il prima e il poi. Ma non ho apertamente affrontato
questo tema, mi sono volutamente tenuto lontano da analisi sociologiche,
approfondite ormai in innumerevoli saggi, per concentrarmi invece sulle vicende
personali dei protagonisti, che per me avevano un’importanza primaria”.
Non
si può tuttavia negare che con il Sessantotto c’è un cambio di paradigma, di
riferimenti culturali e ideologici. Che cosa abbiamo “perso”? Nelle pagine del
romanzo si respira, pur nelle innegabili difficoltà, una serenità, una fiducia,
un ottimismo che sembrano appartenere a un passato che non tornerà più. È così?
“L’umanità dei miei personaggi”, precisa Camisasca, “ha per me una sua validità
permanente, che anche oggi possiamo non solo apprezzare ma ritrovare nei
rapporti con i giovani, che hanno in fondo le stesse attese di allora”.
I
protagonisti della storia sono un padre e un figlio e il loro complesso legame,
che alla fine del racconto si trasforma in un fecondo rapporto di scambio (“Il
rapporto tra padre e figli è proprio il più difficile, ma anche il più bello”,
ammette Marco). Ma nel romanzo c’è anche Lucia, la fidanzata e futura sposa
dello stesso Marco. Qual è il suo ruolo? Per Camisasca “il ruolo di Lucia, come
suggerisce anche il nome, è di portare luce nella vita di Marco, facendo
emergere gli strati più profondi della sua personalità, sia positivi che
negativi, aiutandolo così a camminare verso la maturità”. La “luce” è presente
anche nel titolo del libro, Nella luce dell’inizio. Qual è il significato di
questo bel titolo? “L’ho scelto per dire che vivere è sempre ricominciare, come
dice Pavese nel suo diario”.
Infine,
monsignore, a quali lettori si rivolge questa storia familiare? “A tutti, ma in
particolare a chi è interessato a comprendere e a vivere i rapporti tra le
generazioni”.
Massimo
Camisasca, Nella luce dell’inizio, ed .San Paolo, 2023
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