DEL TEMPO ORDINARIO
Lectio divina su Mc 6,30-34
Invocare
Dona ancora, o Padre, alla tua Chiesa, convocata per la Pasqua settimanale,
di gustare nella parola e nel pane di vita la presenza del tuo Figlio, perché
riconosciamo in lui il vero profeta e pastore, che ci guida alle sorgenti della
gioia eterna. Per Cristo nostro Signore. Amen.
In ascolto della Parola
30Gli
apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano
fatto e quello che avevano insegnato. 31Ed egli disse loro:
«Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po'». Erano
infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di
mangiare. 32Allora andarono con la barca verso un luogo
deserto, in disparte. 33Molti però li videro partire e
capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
34Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di
loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare
loro molte cose.
Dentro il Testo
Domenica scorsa avevamo meditato sull’invio dei Dodici per
fare ciò che Gesù stesso ha fatto. Ora “Gesù accoglie i suoi tornati
dall'annuncio di domenica scorsa. Sono entusiasti ma stanchi, pieni di gioia e
di luce negli occhi. Li ascolta col sorriso, perché Gesù ama il successo dei
suoi subalterni, è felice delle nostre gioie, non è un Maestro che adora essere
adorato” (Paolo Curtaz). Qui affronterà quali sono i veri e i falsi pastori, i
veri e falsi profeti.
Sullo sfondo del Vangelo troviamo l’immagine del Pastore Buono, che gioisce
perché le sue pecore lo ascoltano, ed Egli ne ha una profonda conoscenza, ed
esse lo seguono dovunque Egli vada.
L’evangelista Marco sembra darne una struttura diversa, suggerendo questo
titolo: “il ritorno dei discepoli”. Infatti, viene descritto, quasi per
istinto, come i Dodici ritornano da colui che li aveva inviati in missione.
Il brano è un continuo invito al servizio ma allo stesso
tempo a fermarsi per trovare se stessi. In questa sosta per rinfrancare il
cuore, troveremo un compagno ideale: il verbo “compassione”.
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 30: Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli
riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato.
Quest’introduzione ci riallaccia a quanto abbiamo già
ascoltato in precedenza sull'invio dei Dodici (cfr. vv. 7-13). Un particolare
emerge in questo versetto. L’incarico che Gesù affidò era di proclamare il
bisogno di emendarsi, scacciare i demoni, e, come complemento, guarire, ungendo
con olio, fomentando così la speranza della restaurazione nazionale, senza
tener conto dell’alternativa del Regno. I Dodici però aggiungono una novità:
“quello che avevano insegnato” attività che non solo non era stata affidata
loro da Gesù, ma che in questo Vangelo è esclusiva di Gesù e che egli esercita
solo con ascoltatori giudei (insegnare = proporre il messaggio partendo
dall’AT: 1,21b;2,13;4,1;6,2 ecc.).
Questi non erano pronti a questo tipo di attività, perché
non avendo assimilato l’insegnamento di Gesù, il loro insegnamento è legato
alla nazione giudaica più che a un messaggio particolare. Ma forse è il caso di
scoprire un nuovo volto che conduce ovunque.
v. 31: Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo
deserto, e riposatevi un po'». Erano infatti molti quelli che andavano e
venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Il versetto è consequenziale. L’evangelizzazione richiede
una verifica, un riposo, un discernimento. Per scoprire un nuovo volto non
occorre l’euforia ma l’interiorità, uno stare in disparte. Gesù invita a vivere
questo tempo nel silenzio, lontano. È il tempo della meditazione, per far luce,
far entrare la Luce. Il luogo deve essere deserto. Il termine greco che allude
anche al deserto è per eccellenza un orizzonte di silenzio e di solitudine; è
il luogo dell'intimità con Dio (cfr. Os 2,16).
Il verbo “riposare” viene usato nei LXX in Is 14,3 per significare la
liberazione da parte di Dio dalla schiavitù di Babilonia; Marco allude a quel
passo per indicare che Gesù vuole liberarli dalla ideologia che li domina e
impedisce loro la sequela.
Gesù sta impedendo che i cuori dei Dodici si riempia di euforia per il bisogno
che li circonda, fino al punto che non hanno tempo per mangiare e per stare con
Lui e accogliere l’essenziale.
v. 32: Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte.
Qui abbiamo due immagini: una barca e il luogo deserto. Una barca fa
pensare alla sua navigazione in mare tra i suoi flutti. Rappresenta anche una
“navigazione nel mare della vita”. Per questo in essa troviamo anche il simbolo
della Chiesa, piena di speranza, in cammino verso l’eternità. Tutti ci
ritroviamo in questa barca: fragili e disorientati, ma anche importanti e
necessari in quanto chiamati a remare insieme in questa vita.
Rimane quel luogo deserto, in disparte.
È il luogo dell’intimità tra Dio e l’uomo: lì Egli si fa incontrare, parla al
suo cuore e gli indica la via vera da seguire. Proprio nella solitudine del
deserto il cuore dell’uomo, staccato e libero da tutte le altre cose, si apre
alla Parola di Dio e risponde con la preghiera, filiale e fiduciosa, e con la
vita, rinnovata dalla grazia. “Dal deserto le cose si vedono meglio, con
proporzioni più eterne” (Carlo Carretto). Il deserto è il luogo di
purificazione; è il luogo formativo. È il luogo che fa da cerniera all’AT e al
NT. Il deserto è il luogo dell’ospitalità: è la vita; ed è una necessità per
chi vuol seguire Gesù. Egli è l’essenziale non il bisogno della gente. Ma,
dall’altra parte, il deserto è anche il luogo e il simbolo per eccellenza della
prova, dove il Tentatore, approfittando della fragilità e dei bisogni umani,
insinua la sua voce menzognera, seduce con una voce alternativa a quella di
Dio, lo rende sordo all’appello di Dio e muto nel rispondergli, e lo porta alla
rovina. Il deserto ci permette di percorrere la strada suggerita dalla Parola
di Dio, quella dell’amore, del perdono, del servizio.
v. 33: Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città
accorsero là a piedi e li precedettero.
In questo versetto accade la stessa cosa che accadde a Gesù. Dopo la sua
prima giornata di missione non hanno goduto un po’ di pace pur andando in un
luogo deserto. Ricordiamo Pietro che pose fine a questo isolamento
avvertendolo: «Tutti ti cercano» (1,36)».
Questo fatto si ripete anche ai nostri giorni. Lo stare con Gesù non va inteso
come un contatto esterno, sebbene familiare, con il Maestro; si tratta
piuttosto di una progressiva condivisione interiore, profonda. Lo stare con
Cristo equivale a essere come Cristo.
v. 34: Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di
loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare
loro molte cose.
La folla qui continua a frustrare Gesù e i discepoli. È tanta ed è formata
da tanta gente, da diversi villaggi, che si era mossa via terra verso questo
luogo (6,33) per incontrarsi con il gruppo.
Questa presenza commuove Gesù. La commozione di Gesù per la folla non è una
commozione "umana", nel senso comune che noi diamo al termine. È una
partecipazione sofferta ed intima; è un atteggiamento messianico!
La «compassione» di cui parla Marco (in ebraico rahàmìm =
viscere), corrisponde al greco oiktrimoi (compassione
manifestata) o splàgnon (connesso con splén =
milza indica genericamente le viscere; più specificatamente può indicare il
seno materno) ed indica un movimento degli intestini, nel senso che Gesù provò
un forte turbamento nelle sue viscere come lo prova una madre per suo figlio
(letteralmente «si sentì smuovere le viscere»; secondo l'antropologia biblica,
le viscere sono sede della sollecitudine materna).
Il termine commuoversi (splanchnízomai) indica un comportamento tipico
di Gesù e «caratterizza la divinità del suo agire». Matteo spiega più
chiaramente in qual modo ebbe compassione di loro, dicendo: “Ebbe misericordia
della folla e risanò i loro ammalati” (Mt 14,14).
Nell’evangelista Luca ritroviamo il verbo con la parabola del padre
misericordioso (Lc 15,20) e del samaritano che soccorre il malcapitato (Lc
10,33).
Nella Bibbia la compassione, la misericordia è una
caratteristica di Dio (Lc 1,50; cfr. Sal 86,15; 111,4; 112,4; 145,8).
Ciò che commuove Gesù è il fatto che la folla era come pecore
senza pastore (cfr. Ger 23,2-4), brancolante nel buio, abbandonata,
disorientata, senza un senso per la propria vita.
La similitudine viene tratta dall'AT; in modo particolare ricorda due testi: Nm
27,17 ed Ez 34,5.8.31 (ma anche 1Re 22,17; Zc 10,2; 13,7; ecc.) ed esprime
molto bene la condizione di smarrimento.
Gesù assume il ruolo di pastore di Israele e il suo primo obiettivo è dare
nutrimento alle persone. L’umanità senza pastore abita il cuore di Dio. Marco
non espone concettualmente il contenuto dell’insegnamento, ma lo spiega per
mezzo dell’azione di Gesù.
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella
quotidianità (Contemplare-agire)
Mi lascio condurre in disparte da Gesù per vivere il ministero della
compassione per la folla stanca e smarrita, senza dimenticare che il Vangelo è
Gesù!
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