La
democrazia
va sempre
di nuovo riconquistata
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di Giuseppe Savagnone*
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Ha
avuto grande eco sui mezzi di comunicazione il discorso sulla democrazia del
presidente Mattarella, in apertura della Settimana Sociale dei cattolici, a
Trieste. Per una pura coincidenza, proprio in queste settimane è in corso di
svolgimento la campagna per la raccolta di firme in vista di un referendum
abrogativo che modifichi la legge elettorale attualmente vigente, consentendo
all’elettore di esprimere le proprie preferenze per singoli candidati.
Una
iniziativa che si pone come alternativa all’attuale sistema decisamente
“partitocratico” e di cui infatti è promotore un comitato trasversale rispetto
a tutti i partiti e non riconducibile a un univoco colore politico.
Il
legame tra i due eventi è dato dal fatto che al centro del discorso di
Mattarella c’è stato un monito riguardante «tutta la difficoltà, e a volte
persino un certo affanno, nel funzionamento delle democrazie» e sul fatto che
«la democrazia non è mai conquistata per sempre».
A
ridarle sempre nuovo vigore devono essere i cittadini con la loro attiva
partecipazione. E proprio sotto questo profilo un segnale allarmante viene
dall’astensionismo sempre crescente delle ultime consultazioni elettorali.
Alla
radice, nell’analisi del presidente, c’è la perdita della grammatica elementare
della cittadinanza responsabile. Un “analfabetismo” che impedisce che «tutti
prendano parte alla vita della sua società e delle sue istituzioni (…). Ogni
generazione, ogni epoca, è attesa alla prova della“alfabetizzazione”,
dell’inveramento della vita della democrazia (…). Battersi affinché non vi
possano essere “analfabeti di democrazia” è una causa primaria, nobile, che ci
riguarda tutti (…). Per definizione, democrazia è esercizio dal basso, legato
alla vita di comunità, perché democrazia è camminare insieme».
La
proposta di referendum
Ebbene
è a questa prospettiva che si spira l’iniziativa referendaria volta a cambiare
l’attuale legge elettorale, nota come “Rosatellum” (dal nome di Ettore Rosato
che fu uno dei proponenti,) in vigore dal 2017, dopo le sentenze della Corte
Costituzionale che avevano modificato sia la legge elettorale per il Senato
nota col significativo nome di “Porcellum”, sia quella, in realtà mai
utilizzata, per la Camera, soprannominata “Italicum”.
Il
“Rosatellum” è una legge elettorale mista, in parte maggioritaria e in parte
proporzionale. Non entriamo qui nel merito della sua struttura.
Ciò
che i promotori del referendum hanno di mira e chiedono di abrogare è il fatto
che, in base ad essa al cittadino viene sottratta la possibilità di scegliere
uno o più candidati, tra quelli presenti nella lista, e di esercitare così un
ruolo decisivo nel determinare il successo dell’uno o dell’altro di sua
fiducia. A gestire il voto da lui dato alla lista è alla fine la direzione del
partito che ha composto la lista e che in buona sostanza ha scelto per lui i
candidati destinati a entrare in Parlamento.
Una
manipolazione della volontà popolare che assume la forma di una vera e propria
illusione ottica quando il leader del partito, o un altro soggetto di richiamo,
per attirare sulla propria persona il maggior numero possibile di voti si
presenta come capolista in più collegi, riservandosi di sceglierne uno, a
elezione avvenuta, e far entrare in Parlamento i “secondi”, a cui in realtà chi
aveva votato per loro non pensava affatto.
L’iniziativa
“Io voglio scegliere” vuole chiamare i cittadini a cambiare questo sistema,
reintroducendo il voto di preferenza per i singoli candidati e abolendo le
pluri-candidature.
L’intento
è quello di riavvicinare alla politica attiva frange sempre più consistenti di
cittadini che ormai non si recano neppur alle urne, nell’ipotesi che questa
disaffezione sia derivata, almeno in una certa misura, dalla consapevolezza che
il proprio voto viene ormai incasellato all’interno di un meccanismo di cui
solo i vertici dei partiti hanno il controllo.
«Il
diritto di scegliere» in una democrazia parlamentare
In
questo senso, dopo la grande ondata di populismo che ha investito il nostro
paese portando a una radicale svalutazione del Parlamento – in nome di una
“democrazia diretta” e al primato di una volontà popolare, che poi in realtà
veniva a identificarsi con quella degli iscritti alla fatidica «piattaforma
Rousseau» (il nome non era casuale) – , qui la lotta contro la “casta” viene
condotta seguendo la via opposta: non la svalutazione della rappresentanza
parlamentare, ma la sua rivalutazione e personalizzazione.
L’idea
è che la democrazia non si garantisce meglio abolendo le mediazioni e puntando
sull’adesione delle masse, come hanno sempre fatto e fanno tutti i regimi
totalitari, bensì esprimendo dei rappresentanti qualificati, con cui gli
elettori che li scelgono come espressione delle proprie idee e dei propri
interessi possano avere prima e dopo l’elezione un rapporto dialogico e
responsabile, impossibile nelle “adunate oceaniche” che caratterizzano il
consenso incondizionato al “capo” di turno.
Una
prospettiva molto diversa da quella del disegno di legge sul premierato, appena
passato al Senato, anche se per certi ha in comune con esso alcune esigenze.
«Un primo passo in avanti per rafforzare la democrazia, dare stabilità alle
nostre Istituzioni, mettere fine ai giochi di palazzo e restituire ai cittadini
il diritto di scegliere da chi essere governati», l’ha definito la premier
Giorgia Meloni.
Ebbene,
anche secondo i promotori di “Io voglio scegliere” questo «diritto di scegliere
da chi essere governati» è stato in questi anni sottratto, in una certa misura,
ai cittadini, e va restituito ad essi.
Ma
la soluzione da essi proposta non è di scavalcare il Parlamento – come nella
più pura logica populista – sottraendogli la scelta del primo ministro e del
governo , per affidarlo alla roussauiana “volontà generale”, bensì di rendere
più personale e più limpido il rapporto dei cittadini con coloro che formeranno
il Parlamento e che poi dovranno esprimere l’esecutivo.
Non
è certo questo l’intento del disegno di legge sul premierato. Basta pensare che
in esso si prevede che alla lista del premier eletto spetti un «premio su base
nazionale, che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere».
Il
dibattito parlamentare, a questo punto, sarebbe a priori vanificato e il
Parlamento avrebbe solo il compito di sanzionare e tradurre in leggi le scelte
del premier. Come in tutte le dittature. Non è un caso che proprio grazie all’introduzione del premio di
maggioranza, previsto dalla legge elettorale Acerbo, nel 1923, il fascismo
abbia potuto dare al suo potere una vernice di legittimità costituzionale.
Sempre
in nome della fiducia nel “capo” («Se volete dirmi che ancora credete in me
scrivete sulla scheda “Giorgia”) che rende superflua l’attenzione alle persone e ai programmi dei membri del
Parlamento.
Ma
perché un eventuale referendum sul “Rosatellum” abbia successo e non naufraghi
nell’indifferenza generale, come tanti altri, per la mancanza del quorum, è
necessario un risveglio della coscienza
politica degli italiani, da troppo tempo assuefatti a una logica di
delega.
Il
vecchio e il nuovo populismo si possono sconfiggere solo attraverso quella
effettiva, consapevole, personale assunzione di responsabilità dei cittadini
verso il bene comune a cui il presidente Mattarella si appellava nel suo
discorso a Trieste. È attraverso questo sforzo di consapevolezza, non con la
fede in un leader, che potremmo riappropriarci della nostra democrazia.
*Scrittore
ed editorialista. Pastorale della Cultura dell’Arcidiocesi di Palermo
www.tuttavia.eu
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