come luogo
di allenamento
del pensiero”
di
Redazione
Riflettori
accesi anche sulla scuola alla 50ª Settimana sociale di Trieste (3-7 luglio).
“Scuola: educarsi alla partecipazione” è infatti il tema di una delle Piazze
della democrazia in programma il 4 luglio.
Per
Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta ed esperto in educazione alla salute e
prevenzione in età evolutiva, la scuola costituisce il cantiere dove bambini e
ragazzi si allenano alla vita preparandosi a diventare cittadini del futuro e
“rappresenta l’unico grande presidio del pensiero pensante”.
Lo abbiamo intervistato.
Dottor
Pellai, perché portare il tema della scuola alla Settimana sociale?
Per
chi sta crescendo, la scuola è in questo momento il luogo di maggiore
socializzazione; è al suo interno che bambini e bambine, ragazzi e ragazze
incontrano la maggior parte dei loro coetanei nella vita reale, in presenza, ed
è quindi a scuola che in qualche modo acquisiscono le competenze pro-sociali e
socio-relazionali. E’ inoltre il luogo degli apprendimenti, dell’acquisizione
del sapere e del saper fare; costituisce quel cantiere all’interno del quale i
giovanissimi si allenano alla vita preparandosi a diventare i cittadini del
futuro. Oggi, infine, la scuola rappresenta l’unico grande presidio del
pensiero pensante.
Che
cosa intende dire? In un mondo “virtualizzato”?
E’
un mondo che coinvolge bambini e ragazzi nell’esperienza dell’eccitazione,
della gratificazione istantanea, del divertimento, del “fallo senza pensarci
troppo”, molto più che nell’esperienza della riflessione, la scuola è luogo di
elaborazione, costruzione e allenamento del pensiero. Ecco perché costituisce
il tema per eccellenza su cui riflettere oggi, in un tempo di grave emergenza
educativa.
Quali
spunti offrirà nel suo intervento alla “Piazza”?
Anzitutto
una riflessione sul ruolo della scuola oggi e sul ruolo di chi è chiamato a
“pensare” la scuola per adeguarla ai bisogni attuali. Mi sembra che molto di
quello viene pensato, detto, generato intorno alla trasformazione
dell’educazione sia quasi esclusivamente basato sulla richiesta di adeguare la
scuola alla rivoluzione digitale, anche se quest’ultima si è rivelata un
autogol non indifferente nel percorso di crescita e formazione di bambini e
ragazzi. Inviterò ad un’inversione di rotta, a ridefinire le priorità della
scuola che non devono essere quelle di seguire – o inseguire – la direzione del
mondo che spinge ad entrare nei propri meccanismi, rivelatisi in realtà molto
disumanizzanti e incapaci di offrire i risultati sperati. Vorrei quindi condividere
una riflessione sul significato di una scuola in grado di modellare non solo il
sapere e il saper fare degli studenti, ma anche il loro saper essere.
Quanto
è importante educare fin da piccoli alla responsabilità, alla partecipazione,
al ruolo che ognuno di noi ha nella società e per il bene comune?
È fondamentale perché si tratta proprio di quella dimensione del progetto
educativo che permette di transitare dall’io dal noi; da tutto un percorso
esistenziale incentrato sull’io e sull’affermazione di sé, al noi, che è invece
quel guardare alla propria appartenenza, alla comunità, e sentirsi in qualche
modo attore, protagonista e responsabile non solo del proprio destino ma del
destino della comunità, in piccolo prima, e poi del mondo nel quale ci si
muove. Oggi invece assistiamo, paradossalmente, al fenomeno di giovanissimi che
da un lato sembrano appassionati e propensi a lottare, ad esempio per la
questione palestinese, dall’altro disertano in modo significativo l’esercizio
della democrazia e della partecipazione nel proprio Paese. Come se questi due
aspetti fossero totalmente scollati.
Lavorare per generare una mente, non tanto politica, ma una mente sociale che guardi al valore del noi in un tempo in cui si è affermato con prepotenza il valore dell’io, costituisce molto probabilmente la sfida fondamentale che anche la scuola deve imparare a cogliere. Una sfida educativa che dovrebbe essere colta e vissuta anche in famiglia?
In realtà, questo processo “ti entra” nella vita
nel momento in cui fai ingresso nella società attraverso il progetto educativo
offerto dalla scuola; è difficile fare questo lavoro da soli in autonomia, o
semplicemente all’interno del proprio nucleo familiare, proprio perché la
famiglia rimane il luogo delle relazioni intime, dei legami ad intra, mentre la
scuola è la spinta verso il fuori, verso l’altro, verso l’esterno. La scuola
dovrebbe continuare a rappresentare un elemento di unificazione, coesione e
pari opportunità, certamente non di disuguaglianze.
Secondo
lei, che effetti potrebbe avere l’autonomia differenziata?
Avere
una scuola di alto profilo che segue un progetto e un obiettivo comune da Nord
a Sud e da Est a Ovest, garantendo a tutti i bambini e i ragazzi l’accesso alle
medesime opportunità di formazione è premessa fondamentale e irrinunciabile.
Detto questo, occorre tentare di capire se e quanto questa autonomia verrà
declinata in una logica autoreferenziale di “potere”, oppure in una logica di
servizio. In questa ultima prospettiva, potrebbe rappresentare un’opportunità
per consentire a leadership illuminate di proporre e sviluppare modelli alternativi,
sperimentazioni e modalità di fare scuola che magari nella standardizzazione
dell’omogeneità non riescono ad emergere o non sono possibili.
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