- -di NICOLETTA MARTINELLI
Perché
farselo dire dai gestori dei locali pubblici se i più piccoli possono entrare
oppure o no? A sapere cosa è meglio per i propri figli, cosa possono sopportare
e cosa li scatena, devono essere i genitori. Non sempre e non ovunque, tutto
deve essere alla portata di tutti: succede per gli adulti, figuriamoci per chi
è ancora nell’infanzia, un periodo della vita con tante sfumature di indole e
maturità. «Mamma e papà dovrebbero farsi questa domanda: ciò che sto proponendo
a mio figlio, è la cosa migliore per lui? Che tipo di esperienza vogliamo
offrirgli, di stress per ciascuno di noi oppure una situazione positiva che
appaghi tutta la famiglia?». Madre di tre figli, professore associato in
Psicologia dello sviluppo-unità di ricerca sul trauma dell’Università
Cattolica, Chiara Ionio sulla questione dei luoghi pubblici
bambini-dentro/bambini-fuori è tagliente: «Mi fa ridere questa polemica. Ci
piace un sacco parlare di inclusione, di annullamento delle differenze e poi,
dalle parole ai fatti, chiudiamo, categorizziamo in coppie, famiglie, single…
Bisognerebbe imparare a stare insieme nella diversità, insegnando ai bambini le
regole del ben vivere in comunità, trasmettendo loro – insiste la professoressa
– la capacità di leggere i contesti». Significa che, quando si trovano al
ristorante, i più piccoli dovranno rispettare le regole del ristorante, le
stesse che hanno imparato a casa, stando a tavola, ma anche altre nuove che
consentano loro di sentirsi a proprio agio nella situazione. E di non creare
disagio al prossimo: e chi può spiegare quali sono queste regole se non i
genitori? Non solo, è necessaria una strategia preventiva da parte di mamma e
papà: «Direi che è indispensabile. Se ho un figlio piccino non posso pensare di
andare in un ristorante dove so già che ci aspettano lunghi tempi di attesa.
Perché so anche che mio figlio non avrà la capacità, la pazienza di attendere.
Dall’altra parte – prosegue Ionio – se non voglio rinunciare a questa
esperienza devo aiutare mio figlio a superare i previsti momenti di noia. Non
piazzandogli in mano il telefono o il tablet, piuttosto distraendolo con
piccoli giochi o invitandolo a disegnare, ma consapevole della necessità che io
stesso sia attivo nella relazione con il mio bambino durante il pasto».
I
più piccoli dovrebbero sperimentare, e apprezzare, il piacere di ritrovarsi a
tavola, di stare insieme e di chiacchierare: succede con più facilità se gli
adulti spengono la televisione – ospite fisso quando si pranza o si cena – e
lasciano il cellulare lontano dalla sala da pranzo… «Piano piano ai bambini va
insegnato a stare fermi a tavola per periodi sempre più lunghi. Non tutti sono
uguali, e si illude chi pensa che ci sia un’età fissa per essere idonei a
frequentare ristoranti e alberghi. Bambini di otto anni riescono a stare seduti
un’ora intera e altri di 12 fanno fatica a rimanere composti un quarto d’ora. A
volte – è il suggerimento di Ionio – è più proficuo uscire quando ci sono altre
coppie con figli perché i bambini trovano il modo di stare insieme e far
passare il tempo. L’altro consiglio è scegliere ristoranti pensati con sale
gioco o spazi adeguati a intrattenerli. Ma attenzione, con questo non intendo
suggerire che i bambini stiano da un’altra parte mentre gli adulti mangiano.
Penso piuttosto a locali in cui, nei tempi morti dell’attesa tra una portata e
l’altra, i più piccoli possano sfogare la loro fisicità in luoghi adatti».
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