"È
sbagliato irridere la religiosità. I Giochi antichi erano un evento sacro"
La dissacrazione della tradizione cristiana e occidentale compiuta dall'inaugurazione di Parigi rappresenta la fatuità di questi nostri poveri giorni.
- di Vito Mancuso
Un
tempo le Olimpiadi iniziavano con una consacrazione, oggi invece sono iniziate
con una dissacrazione. E il punto è che la dissacrazione della tradizione
cristiana e occidentale compiuta dall'inaugurazione di Parigi dice di noi:
rappresenta la fatuità di questi nostri poveri giorni, fotografa la miseria
culturale e spirituale che li caratterizza, è l'emblema dell'inimicizia sempre
più intensa verso la nostra storia. Una pianta senza radici secca, una civiltà
senza radici lo stesso: e la nostra civiltà, che è post-cristiana,
post-occidentale, post-umana, è ormai sradicata da tempo. Non c'è praticamente
manifestazione culturale di massa che non ce lo ricordi. I movimenti languidi
dei corpi delle cosiddette drag queen l'altro ieri a Parigi nella loro parodia
queer dell'Ultima Cena di Leonardo da Vinci (cioè dell'immagine pittorica
universalmente più nota dell'Ultima Cena di Gesù Cristo) rappresentavano, in
quel momento in mondovisione, l'emblema degli spasimi in cui si contorce
l'anima occidentale, nemica di se stessa e della propria tradizione, secondo la
medesima tendenza manifestata da "cancel culture", "woke" e
orientamenti culturali del genere. Se non si deve beatificare il passato,
secondo quella visione altamente immatura che colloca nel passato tutto il bene
e vede nel presente solo il male, non si deve neppure cadere nell'eccesso
opposto. La storia siamo noi, cantava Francesco De Gregori, il che significa
che noi, oggi, siamo anche la storia di ieri, essa è dentro di noi, ci consegna
le parole con cui parliamo e le idee con cui pensiamo, e ogni operazione che
intende "cancellare", e non, giustamente e kantianamente
"criticare", è necessariamente destinata a non capire e quindi a fare
male. L'ignoranza, è matematico, produce sempre male, tanto più quando si
presenta come "cultura".
Le
Olimpiadi prendono il nome da Olimpia, città-santuario dell'antica Grecia sede
del grande tempio dedicato a Zeus Olimpio al cui interno vi era l'enorme statua
del dio supremo, catalogata tra le sette meraviglie del mondo antico, opera di
Fidia, raffigurante Zeus reggente nella mano destra una Nike dorata. A quei
tempi Nike si pronunciava proprio così, nike, e non, come oggi, naik, ed era
una divinità classica, non un logo commerciale americano. Uno a quei tempi
guardava Zeus e la Nike e vi si votava, a differenza di oggi quando uno guarda
una nike nel senso di naik e chiede quanto costa.
Ogni
quattro anni a Olimpia si svolgevano le rinomate gare atletiche passate alla
storia con il nome di Olimpiadi, le quali, prima di tutto, erano un avvenimento
sacro. Ebbero inizio nel 776 a.C., le ultime sono registrate nel 393 d.C.,
l'anno in cui l'imperatore Teodosio, che aveva fatto del cristianesimo la
religione di stato e aveva dichiarato illegale la religione classica cioè
l'anima della civiltà greco-romana, proibì anche i giochi olimpici per le
radici religiose cui essi pur sempre rimandavano. Si trattò di uno dei primi
nefasti esempi di cancel culture. Un altro caso fu quello in cui l'imperatore
Giustiniano chiuse la Scuola di Atene, la più illustre sede della filosofia
classica, perché pagana e non cristiana.
Ma
torniamo alle antiche Olimpiadi. La loro durata standard era di cinque giorni:
nel primo gli atleti e i giudici pronunciavano un solenne giuramento di essere
leali e rispettare le regole; nel terzo davanti all'altare di Zeus si svolgeva
il grande sacrificio di cento tori detto ecatombe; nel quinto vi era la
processione finale. Ed era in questa cornice sacra che si svolgevano le gare
sportive con i vari tipi di corsa, di lotta, di salti, di lanci, di corse col
carro, di corse a cavallo. I premi dei vincitori? Non medaglie d'oro, ma corone
di foglie di olivo.
Nella
Grecia antica vi erano altri tre giochi panellenici: quelli detti Pitici, che
si tenevano a Delfi e che all'inizio erano solo competizioni musicali e
letterarie ma che poi presero a ospitare anche gare sportive; quelli detti
Istmici, che si tenevano sull'istmo di Corinto; e infine quelli detti Nemei
perché celebrati presso il santuario di Zeus Nemeo nella vallata di Nemea,
città del Peloponneso settentrionale. I premi? Corone di alloro, di pino
selvatico, di piante aromatiche.
Si
legge nella celebre guida della Grecia antica redatta da Pausania proprio al
tempo delle Olimpiadi: «Moltissimi sono gli spettacoli meravigliosi che la
Grecia offre e alcuni destano meraviglia in chi ne sente solo parlare; ma nelle
cerimonie dei misteri eleusini e dei giochi di Olimpia si coglie la presenza di
una particolare cura del cielo». Una particolare cura del cielo, scrive
Pausania. Per gli antichi greci (cioè per i padri della nostra civiltà, a cui
noi ancora oggi dobbiamo gran parte della nostra cultura) curare il cielo e
onorare gli dèi significava curare e onorare la loro umanità. Oggi questa ormai
abitudinaria dissacrazione del divino e irrisione della religiosità è la porta
della dissacrazione dell'umano?
Qui
il discorso diventa complicato e lo spazio a mia disposizione per questo
articolo si va esaurendo. Gli antichi greci avevano gli schiavi, noi, almeno
formalmente, non più. Erano tremendamente maschilisti e le donne non contavano
nulla, da noi le cose sono ormai molto diverse. Non si tratta quindi di
mitizzare il passato; si tratta, come ho già detto, di apprenderne la lezione,
di capire che veniamo da lì. Il cristianesimo quando si impose operò nei
confronti delle radici classiche in materia di spiritualità una vasta e
tremenda operazione di cancel culture. Sarebbe opportuno che noi oggi,
postmoderni e postcristiani, non ripetessimo lo stesso errore con il
cristianesimo sempre più indebolito, ma ne onorassimo l'eredità. È la maniera
più saggia e più matura di progredire e di evolvere conservando la nostra
umanità.
Alzogliocchiversoilcielo
Nessun commento:
Posta un commento