Attacco alla mente
nell’epoca digitale
Nita Farahany: «La privacy celebrale è minacciata dall’integrazione di sensori mentali in ogni dispositivo multifunzionale indossabile» Nel suo libro la scienziata evidenzia le luci e le ombre delle neurotecnologie: potenzialità positive sono affiancate dallo spettro del controllo del cervello
- - di
ANDREA LAVAZZA
Un gruppo di scienziati del
California Institute of Technology ha pubblicato poche settimane fa uno studio
su Nature Human Behaviour in cui si dà conto di impianti cerebrali in
grado di decodificare il linguaggio interno - identificando le parole cui due
persone hanno pensato senza muovere le labbra né emettere alcun suono. Sebbene
la tecnologia sia ancora in fase iniziale funziona con una manciata di parole e
non con frasi compiute - potrebbe avere applicazioni cliniche per pazienti non
più in grado di parlare. Dispositivi simili di interfaccia cervello-computer,
che traducono le attivazioni cerebrali in testo, hanno raggiunto velocità di
62-78 parole al minuto per alcuni pazienti. Ma tali dispositivi sono stati
istruiti per interpretare espressioni almeno in parte vocalizzate o mimate. Lo
studio di Wandelt e colleghi è il primo a cogliere dall’esterno parole solo
“pen-sate”, registrando in tempo reale l’attività di singoli neuroni. Si tratta
del sogno (o dell’incubo) della lettura della mente, che le nuove neurotecnologie
stanno rendendo qualcosa di molto concreto.
Si tratta di strumenti avanzati che
possono monitorare o modificare il funzionamento del cervello. Si va
dall’imaging cerebrale (come la risonanza magnetica funzionale) ai dispositivi
di stimolazione cerebrale fino, appunto, alle interfacce cervello-computer.
Sono tecnologie sviluppate per aiutare persone colpite da gravi deficit o
patologie, ma che possono anche essere usate per scopi ricreativi (per usare i
videogiochi) o per scopi militari (per lo più sconosciuti). Se, come nel caso
dell’impianto realizzato da Neuralink di Elon Musk, si vuole ridare mobilità a
un tetraplegico, lo scopo è più che lodevole. Preoccupazioni etiche e legali
sorgono però con il potenziale uso delle neurotecnologie per il controllo dei
comportamenti, ancorché con un obiettivo condivisibile. In Cina si è testato un
caschetto, imposto ai conducenti di treni ad alta velocità e tecnici di
centrali nucleari, che valuta la stanchezza mentale e i cali di attenzione, in
modo da aumentare la sicurezza dei lavoratori e dell’intera società.
Per questo è urgente una riflessione
allargata sulla prossima diffusione di strumenti capaci di agire sulla nostra
mente. Lo ha fatto la studiosa Nita Farahany nel suo libro Difendere il nostro
cervello. La libertà di pensiero nell’era delle neurotecnologie, appena
tradotto da Bollati Boringhieri (pagine 288, euro 27). Farahany, sulla base di
una formazione interdisciplinare in biologia, genetica e giurisprudenza, è
docente di Diritto e Filosofia presso la Duke University, negli Stati Uniti, e
fondatrice della Duke Initiative for Science & Society. Dal 2010 al 2017 ha
fatto parte della Commissione presidenziale Usa per lo studio delle questioni
bioetiche. Oggi è una delle voci più autorevoli sul tema della privacy
cerebrale.
Professoressa Farahany, in passato
sembrava che i pensieri fossero solo nostri. Si poteva certamente drogare una
persona o cercare di plagiarla, ma nessuno poteva entrare nella mente di un
altro. Oggi sembra possibile violare quest’ultima fortezza. Che cosa sta
accadendo?
« I progressi delle neurotecnologie
stanno consentendo un accesso che non ha precedenti ai nostri pensieri più
intimi, rendendo labile il confine tra quello che è privato e quello che
diventa pubblico. L’ultima fortezza della privacy è assediata da tecnologie in
grado di decodificare i segnali neurali e dalla biometria cognitiva (qualcosa
di simile alle “impronte digitali” del cervello) che permettono di fare
inferenze sofisticate sui nostri sentimenti e sui nostri stati mentali,
sollevando notevoli prodelle blemi etici e legali».
Quali sono le applicazioni più
promettenti delle neurotecnologie al di fuori della medicina? Saremo in grado
di migliorare le nostre capacità cognitive o di “rieducare” i criminali?
« Al di là della medicina, le neurotecnologie sono promettenti per il potenziamento cognitivo, il miglioramento dell’apprendimento e l’aumento della produttività. Tuttavia, l’idea di “rieducare” i criminali solleva dilemmi etici sul consenso e sull’autonomia persone coinvolte, nonché sui rischi di manipolazione e di imposizione cognitiva che mi rendono molto preoccupata ».
Quali sono le neurotecnologie
emergenti che possono minacciare maggiormente la nostra privacy cerebrale?
« L’integrazione di sensori
cerebrali in ogni dispositivo multifunzionale come auricolari, orologi e cuffie
rappresenta la minaccia maggiore, alcune grandi compagnie stanno già pensando
di inserire strumenti miniaturizzati per l’elettroencefalografia nei loro
dispositivi che saranno venduti liberamente al pubblico. Hanno il potenziale
per accedere e decodificare i nostri pensieri, le nostre emozioni e le nostre
intenzioni, ma le minacce diventano invisibili mentre noi siamo impegnati in
altri usi di questi dispositivi».
Si avvicina il momento in cui
potremo utilizzare dispositivi che ci renderanno la vita più facile, ma che
potrebbero esporci alla divulgazione dei nostri dati cerebrali/ mentali?
«Sì, a mano a mano che le
neurotecnologie si integrano nelle nostre attività di tutti i giorni, la
comodità che offrono comporterà alcuni compromessi in termini di privacy. Il
rischio di accesso non autorizzato alle informazioni cerebrali aumenterà, richiedendo
una solida protezione dei dati biometrici neurali e cognitivi».
Dove vede i maggiori rischi
nell’abuso delle neurotecnologie: da parte di malintenzionati o da parte di
Stati che vogliono controllare i propri cittadini?
« Entrambe sono potenziali minacce
rilevanti. I malintenzionati potrebbero sfruttare le neurotecnologie per
ottenere vantaggi per sé o provocare danni ad altri, mentre gli Stati
potrebbero usarle per la sorveglianza e il controllo, con gravi violazioni delle
libertà individuali e dei diritti umani».
Si potrebbe pensare che, visti i
pericoli, sarebbe meglio rallentare la ricerca sulle neurotecnologie non per
uso clinico. È fattibile? Qual è la sua opinione?
«Rallentare la ricerca non è
fattibile né auspicabile, visto il mandato etico che vale per tutti gli
studiosi di provare a trovare rimedio a malattie e sofferenze che hanno origine
nel cervello e sono assai diffuse. Dovremmo invece concentrarci sulla definizione
di linee guida etiche e di quadri normativi che garantiscano lo sviluppo e
l’uso responsabile delle neurotecnologie».
Quali strumenti legali possiamo
mettere in atto per proteggere la privacy e l’integrità mentale delle persone?
Abbiamo bisogno di diritti neurali come nuovi diritti umani?
« Abbiamo bisogno di poterci basare
su un chiaro ed esplicito diritto alla libertà cognitiva, ovvero il diritto di
ogni individuo a mantenere il controllo sui propri processi mentali e sulle
proprie esperienze cognitive. La libertà cognitiva deve garantire che le
persone possano formare opinioni, prendere decisioni e sviluppare idee senza
coercizione; deve proteggere i pensieri, le emozioni e le esperienze mentali
dall’accesso non autorizzato e dalla sorveglianza non voluta; deve assicurare
che le persone non siano soggette a interventi che alterano i loro stati
mentali senza consenso informato. Ciò ci porterebbe ad aggiornare la nostra
interpretazione del diritto umano all’autodeterminazione e alla privacy. Solo
così si potranno pienamente salvaguardare intrusioni che provochino letture,
manipolazioni e persino “punizioni” dei nostri pensieri da parte di soggetti
terzi. Questi diritti sono sanciti dai codici internazionali che esplicitano i
diritti umani e la loro estensione dovrebbe essere aggiornata in base al
concetto di libertà cognitiva appena descritto, che deve assumere un ruolo
centrale».
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