Ma Gesù disse loro:
«Un profeta non è disprezzato
se non nella sua patria,
tra i suoi parenti e in
casa sua».
E lì non poteva
compiere nessun prodigio,
ma solo impose le mani
a
pochi malati e li guarì.
Vangelo:
Marco 6,4-5
Commento di Laura
Padalino
La
chiamata a essere profeti è assegnata fin dal principio, nella Bibbia, a ogni
credente, uomo o donna, in quanto immagine e manifestazione di Dio nel mondo:
se la regalità è esercitata solo dagli uomini della famiglia di Davide e il
sacerdozio è assunto solo dagli uomini della famiglia di Levi, la profezia è
invece caratteristica di donne e uomini discendenti dalle diverse tribù.
L’antica regalità di Giuda e l’originario sacerdozio israelitico hanno
conosciuto un inizio e una fine nell’esercizio di compiti e funzioni; la
profezia, invece, ha attraversato i tempi e l’intera Scrittura, è attribuita a
tutti i credenti, ad Abramo, a Sara, ai patriarchi e alle matriarche, a Mosè, a
Davide, ed è assegnata a figure imponenti, maschili e femminili, nella Torah e
nei “libri storici”: Miriam, Debora, Elia, Eliseo, Natan, Hulda. Personaggi
capitali, senza cui diversa sarebbe stata la storia del popolo di Dio.
Nella
Scrittura la profezia non si estingue, ma cammina con il popolo per aiutarlo a
riconoscere i momenti in cui è visitato dal suo Signore: è l’anziana profetessa
Anna, insieme al vecchio Simeone, ad accogliere nel Tempio il Cristo Messia,
insieme a Maria e a Giuseppe, il giorno della presentazione (cfr. Luca
2,22-38); sono i veri profeti, in ogni tempo, a rendere manifesta la volontà di
Dio, «ciò che è buono, a Lui gradito e perfetto» (Romani 12,2). Per loro, come
per Gesù, è in agguato il rifiuto di quanti non vogliono accogliere la vita che
Egli è e dà, la via che Egli addita, la verità che Egli rivela: può accadere
anche «in patria», nei luoghi in cui si condivide il pane, l’ideale, la fede. È
«lo scherno dei gaudenti, il disprezzo dei superbi» (Salmo 122, Responsorio)
che si fa forza della presunta conoscenza di una persona per rifiutarne lo
specifico dono di grazia: tutti corriamo il rischio di giudicare senza
ascoltare, pensando che da quanti conosciamo non possa venire nulla di buono e
finendo per vivere il carisma degli altri come «motivo di scandalo» (Vangelo,
Marco 6).
Il
rifiuto ha effetti devastanti, perché impedisce l’azione della grazia: per la
mormorazione dei molti, Gesù «non poté compiere nessun prodigio». «Un profeta
non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua»: è
l’esperienza di Ezechiele, (I Lettura) inviato «ai figli di Israele, una razza
di ribelli che si sono rivoltati contro il Signore» perché essi «ascoltino o
non ascoltino, sappiano che un profeta è in mezzo a loro»; è quella di Pietro e
dei successori, che adempiono nelle traversie della storia al mandato di
Cristo, a guida della Chiesa; è l’esperienza di Paolo e di quanti, come lui,
sono inviati alle “genti” perché tutti possano giungere nella casa del Padre; è
l’esperienza di ogni apostolo in ogni tempo. Portare Colui che è Parola viva
«non è un vanto, ma un dovere» (1Corinzi 9,17): di fronte alle persecuzioni «si
manifesta pienamente, nella debolezza, la forza» del Signore, perché sempre
«basta la sua grazia» (II lettura, 2Corinzi 12,7-10). Offriamo dunque con
coraggio la testimonianza di essere, per il Battesimo, sacerdoti, re e profeti
in Gesù!
Famiglia Cristiana
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