Un libro sulla passione dell'educare
Riflessioni controcorrente
sull'educare oggi
Far
crescere nella libertà è la funzione principale dell'educazione e dovrebbe
essere l'obiettivo della famiglia e della scuola.
Oggi
però l'educazione è in crisi e al più si confonde con l'informazione,
l'istruzione, l'apprendimento.
Nel
libro di Johnny Dotti e Mario Aldegani le suggestioni che possono ispirare
genitori e insegnanti al cambiamento in nome della fiducia nei giovani e della
speranza.
"E
vedremo cose meravigliose" è il titolo promettente del libro scritto a
quattro mani e pubblicato dall'editrice Paoline, in cui Johnny Dotti e Mario
Aldegani propongono idee, esperienze e provocazioni per riportare l’educazione
alla sua funzione principale: far crescere nella libertà. Il primo autore è
pedagogista e docente di Scienze politiche alla facoltà di Sociologia
dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, il secondo è un sacerdote
della Congregazione dei Giuseppini del Murialdo, insegnante ed educatore.
Insieme
hanno dato vita nel 2012 alla onlus Fondazione Talenti.
L'educazione
non è sinonimo di formazione e apprendimento
Il
testo che porta come sottotitolo "Riflessioni controcorrente sull’educare
oggi" parte da un presupposto dichiarato: l’educazione è in crisi e lo è
perché la crescita s’identifica per lo più con lo sviluppo tecno-scientifico e
il sapere si confonde con la specializzazione.
“Oggi
– leggiamo nell’introduzione - nell’educazione lo smarrimento è totale.
Pare
di essere di fronte a un’impossibilità vera e propria, e ciò produce due
reazioni: da una parte, una sorta di indifferenza e di fatalismo e, dall’altra,
un pessimismo inconsolabile che sbocca nella conclusione che tutto è
inutile".
A
dispetto di un contesto difficile, strade per riportare l’educazione alla sua
funzione principale - che è mettere al centro il mistero della persona -,
secondo gli autori ce ne sono ancora.
Le
idee, le esperienze e le provocazioni presentate in queste pagine si sviluppano
attraverso dieci azioni espresse con verbi all’infinito e vogliono essere un
invito a domandarsi quali suggestioni di trasformazione concreta essi possano
offrire.
Johnny
Dotti: la scuola oggi è lontana dall'educare
Quello
che i due autori ci vogliono mostrare è che "se sapremo perseverare nello
stupore e nella fiducia, vedremo cose meravigliose".
Ai
media vaticani, il professor Johnny Dotti approfondisce l'essenza
dell'educazione e invita a guardare con fiducia i giovani che chiedono a
genitori e insegnanti di essere ascoltati e accompagnati, ma anche
"lasciati andare" per poter crescere nella libertà e nella
responsabilità, per diventare "autori della propria vita":
Don
Milani e “andavamo a scuola a piedi”: al primo, sacerdote, insegnante,
educatore e molto altro è dedicato il libro; la seconda frase ricorda tutto un
insieme di comportamenti e di valori che sono molto cambiati.
Nell’introduzione
si legge però che l’intento non è ricordare il passato.
Ci
spiega che cosa significa per voi autori questi due riferimenti?
Sono
un riferimento entrambi non solo di gratitudine intellettuale, ma di
significato dell'educare.
Il
primo, don Milani, credo che simboleggi bene cosa sia l'educare, cioè il
custodire il mistero del figlio dentro di sé nel portarlo al mondo.
Io
sintetizzo sempre così l'educare: non è formare, addestrare, istruire, nemmeno
apprendere, tantomeno informare.
È
esattamente questa attitudine interiore a portare dentro di sé l'altro che si
intuisce sia proprio figlio.
Don
Milani secondo me rappresenta bene questo educatore per vocazione, che è quello
che manca oggi. L'espressione "andare a scuola a piedi" è in qualche
modo il recupero dell'educare integrale, che non è solo legata all'intelletto
ma è un'esperienza del corpo.
L'educare
ha a che fare col desiderio e studiare ha a che fare col desiderare, non
soltanto con un'applicazione mnemonica rispetto ai testi, e "andare a
scuola a piedi" rappresenta esattamente questo desiderio dello studiare
attraverso il corpo.
Educazione
e libertà sono, secondo la tesi del libro, realtà strettamente connesse.
Ma
voi dite che oggi questo legame non funziona, che la scuola, ad esempio, non
aiuta nel metterle insieme.
“La
scuola - si legge - è l'istituzione più lontana dell'educazione" e quindi
probabilmente dal rendere i ragazzi liberi.
Perché?
Perché
oggi vale ciò che funziona tanto è vero che la libertà oggi in Occidente viene
interpretata come libertà di scegliere tra tante cose, mentre la libertà è
legata all'educare e, appunto, è l'accompagnare al venire al mondo ciò che
siamo, ciò che siamo chiamati ad essere.
È
rendersi conto della mancanza d'essere che siamo e aiutare via via a compiere
la nostra vocazione nel mondo.
Questa
è la libertà.
È
evidente che questo ha bisogno di appoggiarsi sul valore del senso della vita
non sul funzionamento.
Se
si ha in mente il funzionamento, si ha in mente l'intelligenza computazionale,
la specializzazione, l'istruzione, si hanno in mente altre cose non questo.
"La
nostra personale speranza è che questo libro possa contribuire a riaccendere
l'entusiasmo, la ricerca, l'orgoglio, la passione di educare", voi
scrivete, ma come è possibile riaccendere la passione dell'educare?
Io
credo che se qualcuno dà ancora qualche peso alla speranza, di cui siamo tutti
orfani, l'educazione riprenderà spazio, perché educare e sperare sono
sostanzialmente la stessa cosa.
L'educazione
non è nient'altro che la pedagogia della speranza, cioè l'immaginare che
attraverso di me qualcun altro possa essere accompagnato a venire al mondo.
Entriamo
un po' nel contenuto del libro che offre riflessioni su dieci azioni che forse
potrebbero aiutare nell'impegno educativo.
La
prima è ascoltare, poi benedire, custodire, condividere, generare, lasciar
andare, pensare, raccontare, emancipare e imparare.
Quale
di queste azioni manca di più oggi nei confronti dei ragazzi?
Lasciar
andare, decisamente: lasciar andare!
Perché
il lasciar andare é un simbolo di fiducia.
Bisogna
avere una profonda fiducia nei figli, negli altri, nelle persone che ci sono
affidate.
Questo
è il segno dell'autorità che è autorizzare, rendere l'altro "autore"
e che quindi è disponibile sin dall'inizio a lasciarlo andare, a prendersene
cura aiutandolo a venire al mondo proprio perché rispetta la sua libertà.
Oggi
questo non c'è nelle relazioni familiari, non c'è nelle relazioni
istituzionali, non c'è perché i ragazzini escono di casa tardissimo - a 35 anni
circa - non fanno figli, non si sposano, non assumono responsabilità.
Ma
non è una loro colpa, è proprio la forma della nostra società che tende a
essere fondata sulla sicurezza e sulla certezza sempre presunte e sempre
progettate prima, che non permette il lasciar andare, cioè non gode della
libertà dell'altro.
L'intelligenza artificiale
La
scuola che è già messa alla prova dalla pesante presenza dei social nella vita
dei giovani, si troverà sempre più costretta a fare i conti con lo sviluppo
dell'Intelligenza Artificiale.
In
che modo?
Con
quale atteggiamento gli insegnanti possono affrontare tutte queste
trasformazioni?
L'Intelligenza
Artificiale non è che una delle tante intelligenze accanto a quella riflessiva,
contemplativa, estetica, meditativa, emotiva.
Mi
sembra che ci sia un accanimento eccessivo sull'IA.
Si
può affrontare innanzitutto sviluppando anche altri tipi di intelligenza, poi
ricordandosi che noi siamo intelligenza, spirito e corpo e la scuola non si
deve dimenticare di questo: noi siamo anche corpo e siamo anche spirito, che
non è solo intelligenza.
Tra
l'altro, appunto, l'Intelligenza Artificiale non è che un sottoinsieme
abbastanza banale perché si fonda sull'algoritmo, quindi sostanzialmente sul
pensiero binario gnostico, manicheo, zero-uno, bene-male, bianco-rosso,
destra-sinistra. Insomma, non dimenticandosi che l'uomo è un po' di più
dell'intelligenza analitica.
Riguardo
al pensare, lei dice che oggi si tende a negare il pensiero e che essere
istruiti non significa essere pensanti.
Lei
ne ha già accennato, ma mi sembra che questo sia il fulcro di tutto...
Eh
sì, è così, se si guarda dal punto di vista dell'intelligenza il tema è il
pensiero.
Sviluppare un pensiero critico
Che
cosa vuol dire pensare e sviluppare un pensiero critico?
Non
è semplicemente sviluppare un pensiero specialistico, ma è avere un pensiero
che sa connettere, che sa mettere insieme il frammento con le diverse
dimensioni della realtà.
Però
per fare questo, il pensiero ha bisogno di essere esperito, di fare esperienza,
e a scuola non si fa nessun tipo di esperienza, tantomeno di pensiero.
Ad
esempio, la domanda è molto più importante della risposta, ma non si educa per
nulla né ad ascoltare le domande, né a saperle fare.
Papa
Francesco dice spesso che l'educazione deve sviluppare la testa, il cuore e le
mani...
È
l'antropologia tripartita: mente-corpo-spirito.
Questa
è l'antropologia cristiana: noi "siamo" corpo, non
"abbiamo" un corpo.
Noi
siamo spirito, non abbiamo uno spirito.
Noi
siamo intelletto, non abbiamo un intelletto.
Per
questo il senso viene prima del funzionamento, altrimenti siamo semplicemente
macchine e allora è meglio avere le macchine che l'uomo.
La
macchina funziona meglio dell'uomo, un uomo non funziona quasi mai altrettanto
bene.
Le
cose più importanti della vita non funzionano così, mai, però quello è il senso
della nostra vita.
Prendiamo
in considerazione ancora due elementi: la comunità e la condivisione.
Qual
è la visione che c'è dietro a questi due aspetti?
Siamo persone
È
la visione classica personalista che dice che noi non siamo individui, siamo
persone.
L'educazione
non si può declinare dal punto di vista individuale perché l'educazione è
radicalmente una relazione.
Io
ho citato prima la relazione padre-figlio, potrei dire madre-figlia ecc...
Tutte
le dimensioni che concorrono ai codici dell'educazione sono dimensioni di
condivisione esistenziale e soprattutto di comunità intesa come munus-condiviso
cioè come regalo e obbligazione morale condivisa.
La
concentrazione e l'attenzione sono il più grande segno d'amore e non c'è
educazione senza concentrazione e senza attenzione che vuol dire uscire dal
proprio io.
La comunità educante
Nel
libro si parla di comunità educante.
A
scuola non esiste la comunità educante, se si assiste a un incontro tra
genitori e insegnanti o ad un Consiglio di classe o un Consiglio di Istituto,
beh, si vedrà che lì abbiamo lo scontro dei diritti individuali che sono un
gran problema.
L'educazione
ha bisogno di diritti personali, cioè di rapporto tra pronomi personali: non
c'è io senza tu, non c'è tu senza egli, non c'è egli senza noi, non c'è noi
senza voi, non c'è voi senza loro.
Questa è la questione della comunità. Così torniamo all'inizio.
Perché
non si va più a scuola a piedi?
Perché
nessuno si fida più degli altri e ci si immagina tutti individui, atomi, che
vanno a prendere un servizio erogato da un'istituzione per conto di sé.
E
questo proprio non va bene, infatti i risultati si vedono.
La
scuola di don Milani era una scuola comunitaria, era una scuola dove tutti
apprendevano e insegnavano.
Una scuola fondata sull'esperienza
Era
una scuola fondata sull'esperienza, una scuola che teneva conto del corpo,
dello spirito e dell'intelletto.
Ricordo
che i ragazzi di don Milani andavano all'estero a 12, 13 anni e che
aggiustavano la strada che saliva alla scuola e mettevano a posto la
biblioteca.
E
soprattutto stavano a scuola 14 ore, compreso il sabato e la domenica.
Sicuramente
un insegnante, leggendo il vostro libro, può sentirsi ispirato a qualche
cambiamento, ma che cosa può fare un solo insegnante in un istituto, in un
sistema?
Ha
la possibilità di cambiare qualcosa?
Certo
che è possibile, con la propria fragilità e debolezza può cominciare a mettersi
con altri per far nascere piccole cose.
Dalle
piccole cose nascono le esperienze che diventano esperienze istituenti che
cambiano le istituzioni.
Questo
è il percorso del senso: se si ha in mente l'idea domanda/risposta, oppure
funziona/non funziona, allora non succederà mai niente.
Cioè verremo dominati dalle macchine che è quel che sta succedendo di fatto in Occidente.
Le cose più importanti della mia vita, non le ho imparate né
all'università, né ai master, né facendo il professore, le ho imparate da mia
nonna che aveva fatto la terza elementare.
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