Con i nostri figli abbiamo sbagliato tutto”
“Riscrivere le fiabe è da
insensati. Educare è un rischio, la vita pure. I genitori che preparano lo
zaino e girano il caffelatte ai figli sono un disastro e fanno danni seri.
Viviamo come anestetizzati e in solitudine, le emozioni ci fanno paura perché non
sappiamo come comunicarle e affrontarle. Per questo facciamo finta che non
esistano. Le persone mi seguono perché non sono mainstream e dico quello che
molti miei colleghi tacciono…”
Paolo Crepet è uno dei grandi provocatori dei nostri tempi. Ogni volta che rilascia un’intervista o scrive un libro, scatena polemiche. Molti genitori lo bacchettano. Alcuni colleghi lo criticano. Pochi restano indifferenti. È seguitissimo sui social, TikTok incluso. Riempie teatri e arene come una popstar. Prendetevi la luna, uscito l’anno scorso, è stato un bestseller.
Ma che cosa dice di tanto
scandaloso Crepet? Che i genitori che preparano lo zaino e girano
anche il caffelatte ai figli sono un disastro. Che la scuola non forma più,
anzi spesso esalta la mediocrità. Che tornare a casa ubriachi alle cinque del
mattino quando si hanno solo tredici anni non va bene. Che riscrivere le fiabe
all’insegna del “politicamente corretto” è insensato. Che parlare di trauma
quando si prende lo spigolo del comodino con il mignolo è ridicolo.
Cose semplici. Quasi
banali. Scandalose. L’ultimo libro s’intitola Mordere il cielo – Dove sono
finite le nostre emozioni (Mondadori), ed è tra i saggi più letti del
momento.
Professor Crepet, che fine hanno fatto le emozioni?
“La fine che abbiamo
voluto… Nulla avviene per caso e all’improvviso, è una trasformazione iniziata
in maniera silenziosa qualche decennio fa. Se andiamo a ritroso negli anni
vediamo quali sono stati i turning points, i momenti decisivi”.
Ne indichi uno.
“Cito l’ultimo, la
pandemia, con quello slogan demente, ‘andrà tutto bene’. Sempre con quest’idea
che ci sarà sempre qualcuno che ci salva, non noi con le nostre forze e le
nostre deboli e contraddittorie decisioni”.
Lei scrive che per non
perdere emozioni, dignità e libertà bisogna ribellarsi. A cosa?
“Alla cultura dominante,
che ci sta anestetizzando”.
Faccia qualche
esempio.
“Ma lo sa che ci sono
stati tantissimi genitori che sono andati all’esame di maturità dei figli per
festeggiarli con mazzi di fiori e spumante? È evidente che si tratta di un
comportamento privo di qualsiasi senno, significa voler male ai propri figli. Se
uno spiana loro la strada, li esalta per ogni cosa, cerca di togliere ai
ragazzi ogni difficoltà, rendendo loro la vita il più possibile lieve e comoda,
è chiaro che i futuri adulti non avranno più la forza e la determinazione per
reagire davanti a una difficoltà anche minima. Sembro il solo a dire queste
cose”.
In parte lo è.
“C’è chi mi ha detto: ‘Ma
poverini questi ragazzi, era solo per festeggiare’. Alcuni miei colleghi hanno
tirato fuori la storia della gratificazione. Ma quale premio? Davvero oggi la
maturità è un traguardo da festeggiare, se la scuola ormai promuove tutti e non
boccia nessuno? Una sera, al termine della presentazione del libro, si avvicina
un istruttore di nuoto per raccontarmi che i genitori dei suoi allievi si erano
rivoltati contro di lui: ‘E no, caro, non si fa così… non si azzardi più a dire
ai nostri figli di ‘fare il morto’ perché li traumatizza… ha capito?'”.
Cosa gli ha risposto?
“La cultura di oggi vuole
mediocrità, la coccola, la esalta, la moltiplica. Questo libro cerca di dire
che è esattamente il modo per distruggere le emozioni. L’emozione sta anche
nella possibilità di perdere, di non farcela. E se poi a volte vinci, quando in
certi casi ce la fai, allora lì sì che scattano la grande gioia e il godimento
del premio. Stiamo commettendo un errore madornale, che apre le porte alla
tecnologia, perfettamente a suo agio con questo contesto di mediocrità”.
In che senso?
“Ho definito
l’intelligenza artificiale una mediocrità artificiale. Un genio come Jackson
Pollock non verrebbe mai fuori dall’IA. Certo, uno può dire che cosa ce ne
frega di Pollock. E allora accontentiamoci di chi farà i quadri con l’IA. Oggi
manca il capolavoro perché non lo cerchiamo, non lo vogliamo. Penso ai tanti
libri firmati da influencer, pubblicati perché hanno migliaia di follower…
allora rassegniamoci, non ci saranno più Borges e Calvino. Come fa un inventore
di cose surreali e straordinarie a venir fuori da algoritmi che premiano la
ripetitività?”.
Non è un po’ troppo
pessimista?
“Credo di no”.
Lei passa per fustigatore
implacabile degli adulti. È possibile che tutti i genitori di oggi siano
incapaci di educare?
“Mordere il cielo non è
un libro sull’educazione, ma un grido di dolore. Riguarda l’idea della vita,
che cosa vogliamo fare, il futuro del mondo. Noi occidentali ci stiamo giocando
tutto. Non credo che in Cina o in India vadano alla maturità con le orchidee”.
Di chi è la colpa?
“Del benessere diffuso e
del lassismo che ha allentato ogni freno inibitorio. A Torino, ex capitale
d’Italia, la città di Pavese, De Amicis e Mario Soldati, alcuni ragazzini sono
andati a picchiare un barbone che faceva le bolle di sapone… ci sono giovani
ebrei che non vanno a feste organizzate per paura di essere picchiati in quanto
ebrei. E l’altro giorno i russi hanno bombardato un ospedale pediatrico a Kiev
uccidendo più di 44 bambini. Siamo come anestetizzati”.
Le proteste ci sono e ci
sono state.
“Poche, flebili. In
Europa c’è chi sostiene che ammazzare dei bambini sia il costo fisiologico
della guerra. Ma dove siamo arrivati? Il politicamente corretto è una grande
ipocrisia che ha pervaso tutto: la geopolitica, l’arte, la cultura. Negli Stati
Uniti ci sono teatri dove non si può più mettere in scena Puccini, perché
Madama Butterfly è considerata razzista nei confronti delle donne orientali,
mentre al Teatro Bolshoi di Mosca non si possono più ricordare i grandi
ballerini russi perché omosessuali”.
Nel libro se la prende
anche con chi riscrive le fiabe, o vorrebbe fossero riscritte…
“Detestiamo le emozioni
che ci portano a riflettere e, qualche volta, anche alla libertà. Essere liberi
ci spaventa, è un fardello che non riusciamo a portare neanche per un
attimo”.
Cosa c’entra questo con
le fiabe?
“Se legge Collodi a un
bambino, quel bambino si nutrirà di emozioni attraverso le disavventure di
Pinocchio, l’intervento provvidenziale della fatina, l’angoscia di Geppetto.
Poi arrivano i carabinieri che incarnano la paura delle regole, mentre la volpe
è un animale con una psicologia meravigliosa. Pinocchio è anche una fiaba sul
rischio della libertà. Se togliamo il pathos, il dolore, il dramma della
sconfitta, la possibilità che possa finire male, non resta nulla. Ma la vita
vera è come ce la raccontano le fiabe, non come chi vorrebbe
edulcorarle”.
Negli Stati Uniti alcuni
hanno chiesto di eliminare il bacio del principe a Biancaneve perché “non
consensuale”…
“Oltre all’idiozia della
cancel culture, questo accade perché non ci baciamo più, non ci abbracciamo
più. Biancaneve diventa fuori contesto. Il principe non deve dare un bacio, ma
semmai inviarle un’emoticon in chat. Che questo lo dica un tizio qualunque al
bar posso anche capirlo, che lo dica un intellettuale no. Gli intellettuali
hanno colpe enormi”.
Lei si considera una voce
fuori dal coro.
“Se riempio tutti i
teatri e vendo tanti libri è perché le persone sono confuse e io non sono
mainstream. La stragrande maggioranza dei miei colleghi ha detto che
festeggiare la maturità con fiori e spumante è la cosa più giusta del mondo. Io
no”.
Una vita da bastian
contrario.
“Dico queste cose da
tempo. Nel libro Non siamo capaci di ascoltarli (Einaudi, 2006) avevo scritto
che la scuola era fallita. E tutti a darmi contro. È andata così. Che io non
stia simpatico a certe lobby culturali è evidente, ma non mi preoccupo. Piuttosto,
è strano vedere gente, come l’altra sera a Reggio Emilia, farsi cento
chilometri tra andata e ritorno per ascoltarmi e acquistare tre copie del mio
libro. A Verona in tre mesi ho riempito due volte il teatro Romano,
milleseicento posti. Non lo dico per narcisismo. Forse intercetto un sentimento
più diffuso di quanto si pensi”.
Perché tanti ragazzi
sognano di diventare influencer?
“Perché è facile. E noi
gli abbiamo detto di fare solo cose facili. Che ci vuole? Spesso il curriculum
di un influencer o di un creator è ben poca cosa, e questo è drammatico. Il
metro di misura del futuro è di sei mesi, al massimo un anno. Io ne ho 73 e ho
scritto quarantacinque libri. Stiamo insegnando ai ragazzi che la Repubblica è
fondata non sul lavoro e sui sacrifici, ma sull’eredità: ‘Non fare nulla, resta
sul divano tranquillo che poi erediti'”.
Perché ha paragonato
l’eredità alla manna biblica?
“Cade dal cielo e dura
poco. I miserabili oggi non sono quelli di cui parlava Victor Hugo, ma i
ricchi. Miserabili in senso etico, perché è una miseria morale stare seduti sul
divano in attesa della convocazione del notaio. In passato, la povertà materiale
schiudeva una speranza, perché se eri un disgraziato senza soldi potevi sperare
di riuscirci a farcela da solo e ti inventavi qualcosa. Migliaia di miserabili
sono andati in altri continenti e, con sacrificio e creatività, hanno inventato
grandi cose e fatto fortuna. La miseria materiale aveva una cura, quella morale
come si fa a curarla?”.
Me lo dica lei.
“Forse cambiando etica e
rifiutandosi di dare tutto ai figli, perché i nostri ragazzi devono mordere il
cielo, andare a prendersi il mondo e nel farlo devono sbagliare, cadere,
rialzarsi e cadere di nuovo. Tutte le avanguardie, in politica, nella filosofia,
nell’arte, hanno avuto come protagonisti persone anticonformiste e impavide che
hanno avuto il coraggio di ribellarsi e intraprendere strade nuove, diverse.
C’è gente che ha avuto la possibilità di cambiare la visione del mondo e l’ha
fatto e questo alla fine è stato riconosciuto e premiato. Se nel Seicento non
ci fosse stato Caravaggio a scombinare tutto avremmo continuato con le
Madonnine di profilo”.
Non tutti i i ragazzi,
però, sono sul divano, o in attesa dell’eredità.
“No. Ci sono giovani che
svolgono il mestiere di vivere, nonostante sia faticoso, e sono contenti di
farlo. Questo mi dà speranza. Penso a Gianluca Gotto, scrittore torinese, che
ha viaggiato molto e ha scritto diversi libri che consiglio di leggere”.
Perché i giovani fanno
sempre meno sesso, stando alle ricerche?
“Perché abbiamo ucciso le
emozioni vere, sesso incluso. Non a caso 1 su 3 si rifugia nel sexting online.
Il sesso all’interno di una relazione è faticoso. Devi sedurre una persona,
creare un legame. Tutte cose complicate, non immediate, rischiose perché magari
l’altro alla fine rifiuta il corteggiamento e ti dice no. Ma noi ai ragazzi
abbiamo detto che meno rischiano, meglio è. E questo è il risultato. Il
desiderio è morto. Basta vedere la figuraccia che abbiamo rimediato agli
Europei. Oggi gli adolescenti passano più tempo a tatuarsi che a giocare a
pallone”.
Non hanno il tempo di
annoiarsi?
“Ai miei tempi la noia
produceva qualcosa di strepitoso, perché ti faceva osare, disubbidire,
cambiare. La noia dei ragazzi di oggi li induce a fare sempre le stesse cose e,
spesso, a finire male: alcol, droga, gioco d’azzardo”.
Che infanzia è stata la
sua?
“Divertente, piena di
colori, frenetica. E menomale che non c’erano psichiatri infantili, perché me
la sono cavata benissimo. Ricordo la nonna Maddalena, che era romagnola, e
quando doveva occuparsi di me mi diceva: ‘Badati’. In quest’espressione c’è un concentrato
di intelligenza educativa straordinario. Significa: ‘Io non ti dico di non
andare in bicicletta sulla ghiaia perché cadi, ma ti dico semplicemente che
devi essere in grado di badare a te stesso’. Geniale, se pensiamo che mia nonna
non era Maria Montessori”.
Anche sua figlia si
chiama Maddalena. Quando la sua ex compagna le ha annunciato che sarebbe
diventato padre che cosa ha provato?
“L’ho raccontato nelle
prime pagine del libro Non siamo capaci di ascoltarli, la lettera che ho
scritto a mia figlia e che lei ha ricevuto quando ha compiuto 18 anni. Una
lettera che molti preti hanno adottato e utilizzato per il battesimo”.
Cosa le ha scritto?
“Quello che penso
dell’esistenza: fatti la tua vita, non dipendere dagli altri, ama le sorprese,
osa, rischia. Oggi ha 30 anni e fa la scrittrice“.
Ha seguito i suoi
consigli?
“Questo dovrebbe
chiederlo a lei”.
Che responsabilità ha la
politica in tutto questo?
“Gigantesche. Ha mai
sentito un politico italiano che vuole far votare i ragazzi di 16 anni? Lo ha
fatto solo una volta il Pd per le primarie e poi si è tirato indietro. La
politica ha paura dei giovani, non li considera, e i giovani non vanno più a
votare. Guardi come la politica ha ridotto la scuola”.
Su questo le
famiglie non hanno colpe?
“Tutte le sere incontro
insegnanti che mi fanno resoconti terrificanti per ribellarsi a questo orrendo
new deal che non è né deal né new. Stiamo tornando all’Ottocento, a Parini,
perché se la scuola è per gran parte un’istituzione mediocre è ovvio che ci
sono alcuni illuminati e ricchi che manderanno i propri rampolli nelle scuole
migliori e daranno loro una formazione d’alto livello. L’istruzione sta
diventando una questione classista, non in senso economico, ma intellettuale.
Quale ministro dell’Economia pensa che la scuola possa contribuire al Pil?
Eppure è così”.
Perché abbiamo rimosso la
morte?
“Perché è un’emozione.
Dire a un bambino che il nonno non c’è più è quasi impossibile se il bambino
non ha mai potuto giocare e non ha mai ascoltato delle fiabe. Senza questi
elementi la comunicazione sulla morte – e su molte altre cose capitali dell’esistenza
umana – diventa impossibile”.
Se dovesse consigliare
delle letture?
“Ripartiamo dalle fiabe.
Per immergersi nelle emozioni Il barone rampante di Italo Calvino. In una
classe di liceo farei vedere Full Metal Jacket di Kubrick, anche se non so
quante denunce mi prenderei. Invece è un film contro la violenza, perché ne fa
vedere tutta la stupidità. L’arte che consola dura poco, serve quella che
inquieta”.
Il pensiero che fa la
sera prima di dormire.
“Credo che scrivere e
parlare abbia senso se tu riesci a scrivere e dire cose migliori di te. Mi
chiedo sempre se nelle parole sono stato migliore di quello che sono”.
E cosa si risponde?
“A volte sì, a volte
meno”.
Nessun commento:
Posta un commento