A PROPOSITO
DI
SATNAM SINGH
-di
ENZO BIANCHI
Bastano
forse due settimane per dimenticare un atto di barbarie e di patologica
indifferenza verso il prossimo?
Possibile
che non si ricordi più con orrore e condanna che un uomo, un lavoratore
agricolo mutilato da una macchina mentre lavorava, è stato abbandonato sulla
soglia di casa: lui, sua moglie e il suo braccio amputato gettato in una
cassetta della verdura?
Questa
è una narrazione opposta a quella che fece Gesù per indicare che cos’è l’amore
per il prossimo: non l’indifferenza di chi abbandona il sofferente al suo
destino, ma la sollecitudine di chi, provando compassione, se ne prende cura
per salvargli la vita.
È
incredibile ciò che è successo nelle campagne di Latina, ma è il segno della
morte della compassione e del regnare dell’indifferenza. Si fa silenzio e non
si denuncia l’imbarbarimento della vita sociale nel mondo occidentale.
Chiunque
abbia capacità di osservazione si rende conto che facciamo passi verso la
barbarie, che la nostra vita è sempre meno segnata da fiducia, mitezza,
rispetto degli altri, riconoscimento della loro infinita dignità. Eppure, i
filosofi dedicano attenzione alla compassione considerata non solo come virtù
personale, ma come emozione sociale di base, come fondamento della vita della
polis.
Martha
Nussbaum arriva a considerare la compassione come una mediazione verso la
giustizia perché il suo interesse è nell’orizzonte dell’altruismo, è
un’emozione dolorosa causata dalla consapevolezza della sofferenza altrui.
André Comte-Sponville afferma che ogni sofferenza merita la compassione, è un
appello a condividere il dolore in cui uno si trova, senza che si pongano
condizioni. Per lui la compassione è una virtù universale che scaturisce dalla
vulnerabilità umana. Compassione, patire-con, è più che simpatia, è più che
empatia, perché è un avvicinamento consapevole all’altro fino a condividere la
sua “passione”. Infatti, non è la molteplicità di volti umani che crea la
socialità, ma quella relazione che inizia nel dolore, nel mio dolore in cui
faccio appello all’altro e nel suo dolore che mi turba, nel dolore dell’altro
che non mi è indifferente.
Lo
sappiamo tutti: soffrire non ha senso, ma la sofferenza per ridurre la
sofferenza dell’altro è la sola giustificazione della sofferenza.
Alla
compassione bisogna essere aperti e occorre esercitarvisi.
La
sofferenza dell’altro grida, chiama, e la compassione che a essa risponde fa
del mio corpo una cassa di risonanza della sua sofferenza.
Così
la visione di colui che soffre si fa ascolto e spinge alla cura. Noi umani non
abbiamo altre vie per combattere il male se non quella di sentire compassione
ed esercitarla attivamente: combattere contro il male è più decisivo che
vincerlo.
Così
si combatte l’indifferenza, la barbarie: avvicinandoci a chi soffre e
rendendolo prossimo per giungere a un vero contatto fisico, mano nella mano. E
allora non solo i cuori batteranno insieme ma le viscere soffriranno insieme e
ogni cura tentata porterà sollievo.
Alzogliocchiversoilcielo
Immagine
Nessun commento:
Posta un commento