venerdì 26 luglio 2024

L'ILLUSIONE DIGITALE

 

QUANDO IL TU E' L'IO

I social network hanno trasformato il web in un grande supermercato 

Ora il profilo di una persona ha smesso di essere rappresentazione dell’essere ed è diventato un prodotto a tutti gli effetti

Si afferma la necessità di intendere la pratica psicoterapeutica nella sua inevitabile interdipendenza con il contesto sociale e anche nelle dimensioni tecnologiche

 

-        - di  EUGENIO GIANNETTA


La gamification

Sempre più spesso oggi si parla di salute mentale, si discute di differenti approcci psicoterapeutici come il cognitivo comportamentale, il sistemico-relazione, la psicoanalisi, ma si parla ancora poco di come il digitale stia influendo su queste diverse pratiche, cambiando non solo l’approccio ma il setting stesso della terapia; hanno però affrontato l’argomento in un libro uscito per Mimesis – Il narcisismo del You. Come orientarsi nella clinica digitalmente modificata (pagine 270, euro 23,00) – Riccardo Marco Scognamiglio, psicoterapeuta, membro dell’International College of Psychosomatic Medicine e della Society for Psychotherapy Research e fondatore nel 1996 dell’Istituto di Psicosomatica Integrata (che ha 30 anni di vita), Simone Matteo Russo, membro dell’Istituto e responsabile della sua équipe educativa, e Matteo Fumagalli, socio dell’Istituto e membro del Gruppo Infanzia, Adolescenza e Parentalità dell’Association Européenne de Psychopathologie de l’Enfant et de l’Adolescent, nonché formatore dell’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche. Il libro (che ha la prefazione di Miguel Benasayag) sostiene che il narcisismo del You non riguardi la grandiosità dell’Io e nemmeno la sua vulnerabilità, bensì l’assorbimento dell’Io nell’onnipotenza del Web. Il volume, scandito da esempi clinici, chiarisce la necessità di intendere la pratica psicoterapeutica nella sua inevitabile interdipendenza col contesto sociale. A questo proposito abbiamo dialogato con gli autori per approfondire una serie di concetti come la volontà dell’algoritmo digitale, la gamification intesa come nuova sperimentazione del reale, ma anche il tema della società dell’immagine e il passaggio dalla terza alla prima persona nei social, partendo da una frase dell’antropologo Viktor von Weizsäcker: «Niente di organico è senza senso, niente di psichico è senza corpo», ma anche dal precedente libro, sempre di Mimesis,

Adolescenti digitalmente modificati:

«Questo libro – spiega Scognamiglio – è stato costruito nel confronto tra generazioni di terapeuti, per capire il fenomeno digitale, che non nasce oggi ma circa 30 anni fa. L’idea è quella di raccontare una nuova terra tecnologica, con le fenomenologie complesse che si porta dietro».

I nuovi sviluppi, l’intelligenza artificiale, hanno infatti portato a un cambiamento radicale nella posizione del paziente, ma come è cambiato il contesto sociale, come sta influenzando le categorie diagnostiche e cliniche, come mutano i pattern cognitivi? «L’oggetto digitale – risponde Fumagalli – è un oggetto invisibile, mimetizzato, e nel libro utilizziamo il concetto di Iperoggetto del filosofo fenomenologo Timothy Morton, provando ad andare oltre al modello causa-effetto più lineare. Per esempio: vedo l’uso del cellulare ma non vedo una corrispondenza in termini psico-patologici; per noi questo è un errore epistemologico, perché il digitale lo vediamo da un punto di vista macro che ci avvolge tutti. Se non vediamo tutto questo, non vediamo gli effetti pervasivi del digitale e ci troviamo di fronte a uno strumento che non è ad uso dell’uomo, ma ha invece creato un ambiente virtuale che ha avvolto quello reale, modificando in termini netti il pensiero».

Il metapensiero

Lo sforzo, invece, è ancora quello di creare un metapensiero: «Questa – interviene Russo – era una questione che aveva già chiarito il massmediologo McLuhan nel ’64 con Gli strumenti del comunicare, quando parlava di come la tecnologia ci cambiasse dall’interno, senza che ce ne accorgessimo. Per questa ragione questo libro ha un’esigenza clinica, perché la sofferenza è già cambiata, ma il disagio è talvolta mascherato da un efficientismo tecnologico. Non è ancora così chiaro che questi siano strumenti della gestione dell’angoscia, dell’ansia, sintomi che oggi vediamo in una grossa percentuale di pazienti». La tecnologia oggi ci permette di “stare bene” senza passare dalla relazione; è questa la grande rivoluzione nella società dell’immagine? «Quando ti rivolgi a Word – spiega Scognamiglio – ti dice “bentornato”. È un esempio di marketing in cui c’è una relazione speculare Io-Tu, non voluta ma inserita in sistemi che ci parlano; però questa è una grande illusione», parte di un cambiamento epocale: «Internet – continua Fumagalli – è cambiato moltissimo. Abbiamo avuto l’illusione che il web potesse rappresentare una fratellanza universale, ma presto sono arrivate le aziende, e i social si sono trasformati in un grande supermercato. Il profilo allora ha smesso di essere una rappresentazione, ed è diventato un prodotto». Su questa linea prosegue Russo, con un’ulteriore riflessione: «L’oggetto internet che cambia è un oggetto che ha un’intelligenza che si attiva, e questo non è mai accaduto prima; nei fenomeni di dipendenza è una novità, perché internet stesso ha un suo desiderio e ci rende oggetti, per questo parliamo di clinica senza soggetti, che sono mossi dalla rete». Come se ne esce, perciò, da questi meccanismi? Risponde Scognamiglio: «Prima di tutto non deve pensare in termini di pessimismo, ma fenomenologici.

Cosa fare?

Citando Benasayag: alla domanda “cosa fare?”, dovremmo rispondere chiedendoci cosa siamo diventati, come siamo fatti, qual è la nostra sostanza. Quando diciamo che l’Io è sostituito da un You parlato dallo schermo e dall’algoritmo, avviamo una rivoluzione in termini ontologici. L’Io, che dall’Umanesimo in poi abbiamo creduto fosse al centro, non lo è più, tanto che il concetto di narcisismo conosciuto fino agli anni ’70, è mutato: nel 1971 lo psicanalista americanizzato Kohut inizia a ribaltare tutto questo, dichiarando che il cambiamento è determinato dai mutamenti sociali; l’Io, che è sempre più eroso e lui inizia a chiamare Sé, soffre di una frammentazione progressiva. Questo capovolgi-mento ci invita a pensare che questo secolo sia la fine dell’antropocene, come dice Benasayag, ma non ce ne stiamo accorgendo». Come rispondere quindi a un soggetto che non c’è più? «Il paziente va in terapia – continua – ma è come se fosse parlato, ed il ritirato sociale è il paradigma di questo svuotamento di soggettività». Per affrontare questa nuova clinica, è spiegato nel libro, si è quindi dovuta allargare l’osservazione ad aspetti prima trascurati dalla psicoterapia, come per esempio l’influenza del contesto sociale e del corpo: «Tutto questo – conclude Fumagalli – impatta con i nostri corpi, che diventano sempre più desensibilizzati, con un’attenzione costante all’esterno, al flusso, all’assorbimento del web, che non ci fa più sentire cosa proviamo, per esempio, quando siamo in relazione, sia con i dispositivi digitali, sia con le persone. In terapia, diventa allora fondamentale una domanda: cosa stai sentendo nel corpo?». Il vero cambiamento potrebbe risiedere, perciò, in un ritorno al corpo, come una sorta di risposta al tempo in cui viviamo, per cercare «la singolarità del vivente – dice Benasayag –, contro la potenza infinita della macchina», in una situazione di possibile ibridazione.

www.avvenire.it

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