I social network hanno trasformato il web in un grande supermercato
Ora il profilo di una persona ha
smesso di essere rappresentazione dell’essere ed è diventato un prodotto a
tutti gli effetti
Si afferma la necessità
di intendere la pratica psicoterapeutica nella sua inevitabile interdipendenza
con il contesto sociale e anche nelle dimensioni tecnologiche
- - di EUGENIO
GIANNETTA
La gamification
Sempre più spesso oggi si
parla di salute mentale, si discute di differenti approcci psicoterapeutici
come il cognitivo comportamentale, il sistemico-relazione, la psicoanalisi, ma
si parla ancora poco di come il digitale stia influendo su queste diverse
pratiche, cambiando non solo l’approccio ma il setting stesso della terapia;
hanno però affrontato l’argomento in un libro uscito per Mimesis – Il
narcisismo del You. Come orientarsi nella clinica digitalmente modificata
(pagine 270, euro 23,00) – Riccardo Marco Scognamiglio, psicoterapeuta, membro
dell’International College of Psychosomatic Medicine e della Society for
Psychotherapy Research e fondatore nel 1996 dell’Istituto di Psicosomatica
Integrata (che ha 30 anni di vita), Simone Matteo Russo, membro dell’Istituto e
responsabile della sua équipe educativa, e Matteo Fumagalli, socio
dell’Istituto e membro del Gruppo Infanzia, Adolescenza e Parentalità
dell’Association Européenne de Psychopathologie de l’Enfant et de l’Adolescent,
nonché formatore dell’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche. Il libro
(che ha la prefazione di Miguel Benasayag) sostiene che il narcisismo del You
non riguardi la grandiosità dell’Io e nemmeno la sua vulnerabilità, bensì
l’assorbimento dell’Io nell’onnipotenza del Web. Il volume, scandito da esempi
clinici, chiarisce la necessità di intendere la pratica psicoterapeutica nella
sua inevitabile interdipendenza col contesto sociale. A questo proposito
abbiamo dialogato con gli autori per approfondire una serie di concetti come la
volontà dell’algoritmo digitale, la gamification intesa come nuova
sperimentazione del reale, ma anche il tema della società dell’immagine e il
passaggio dalla terza alla prima persona nei social, partendo da una frase
dell’antropologo Viktor von Weizsäcker: «Niente di organico è senza senso,
niente di psichico è senza corpo», ma anche dal precedente libro, sempre di
Mimesis,
Adolescenti digitalmente
modificati:
«Questo libro – spiega
Scognamiglio – è stato costruito nel confronto tra generazioni di terapeuti,
per capire il fenomeno digitale, che non nasce oggi ma circa 30 anni fa. L’idea
è quella di raccontare una nuova terra tecnologica, con le fenomenologie complesse
che si porta dietro».
I nuovi sviluppi,
l’intelligenza artificiale, hanno infatti portato a un cambiamento radicale
nella posizione del paziente, ma come è cambiato il contesto sociale, come sta
influenzando le categorie diagnostiche e cliniche, come mutano i pattern
cognitivi? «L’oggetto digitale – risponde Fumagalli – è un oggetto invisibile,
mimetizzato, e nel libro utilizziamo il concetto di Iperoggetto del filosofo
fenomenologo Timothy Morton, provando ad andare oltre al modello causa-effetto
più lineare. Per esempio: vedo l’uso del cellulare ma non vedo una
corrispondenza in termini psico-patologici; per noi questo è un errore
epistemologico, perché il digitale lo vediamo da un punto di vista macro che ci
avvolge tutti. Se non vediamo tutto questo, non vediamo gli effetti pervasivi
del digitale e ci troviamo di fronte a uno strumento che non è ad uso
dell’uomo, ma ha invece creato un ambiente virtuale che ha avvolto quello
reale, modificando in termini netti il pensiero».
Il metapensiero
Lo sforzo, invece, è
ancora quello di creare un metapensiero: «Questa – interviene Russo – era una
questione che aveva già chiarito il massmediologo McLuhan nel ’64 con Gli
strumenti del comunicare, quando parlava di come la tecnologia ci cambiasse
dall’interno, senza che ce ne accorgessimo. Per questa ragione questo libro ha
un’esigenza clinica, perché la sofferenza è già cambiata, ma il disagio è
talvolta mascherato da un efficientismo tecnologico. Non è ancora così chiaro
che questi siano strumenti della gestione dell’angoscia, dell’ansia, sintomi
che oggi vediamo in una grossa percentuale di pazienti». La tecnologia oggi ci
permette di “stare bene” senza passare dalla relazione; è questa la grande
rivoluzione nella società dell’immagine? «Quando ti rivolgi a Word – spiega
Scognamiglio – ti dice “bentornato”. È un esempio di marketing in cui c’è una
relazione speculare Io-Tu, non voluta ma inserita in sistemi che ci parlano;
però questa è una grande illusione», parte di un cambiamento epocale: «Internet
– continua Fumagalli – è cambiato moltissimo. Abbiamo avuto l’illusione che il
web potesse rappresentare una fratellanza universale, ma presto sono arrivate
le aziende, e i social si sono trasformati in un grande supermercato. Il
profilo allora ha smesso di essere una rappresentazione, ed è diventato un prodotto».
Su questa linea prosegue Russo, con un’ulteriore riflessione: «L’oggetto
internet che cambia è un oggetto che ha un’intelligenza che si attiva, e questo
non è mai accaduto prima; nei fenomeni di dipendenza è una novità, perché
internet stesso ha un suo desiderio e ci rende oggetti, per questo parliamo di
clinica senza soggetti, che sono mossi dalla rete». Come se ne esce, perciò, da
questi meccanismi? Risponde Scognamiglio: «Prima di tutto non deve pensare in
termini di pessimismo, ma fenomenologici.
Cosa fare?
Citando Benasayag: alla
domanda “cosa fare?”, dovremmo rispondere chiedendoci cosa siamo diventati,
come siamo fatti, qual è la nostra sostanza. Quando diciamo che l’Io è
sostituito da un You parlato dallo schermo e dall’algoritmo, avviamo una
rivoluzione in termini ontologici. L’Io, che dall’Umanesimo in poi abbiamo
creduto fosse al centro, non lo è più, tanto che il concetto di narcisismo
conosciuto fino agli anni ’70, è mutato: nel 1971 lo psicanalista
americanizzato Kohut inizia a ribaltare tutto questo, dichiarando che il
cambiamento è determinato dai mutamenti sociali; l’Io, che è sempre più eroso e
lui inizia a chiamare Sé, soffre di una frammentazione progressiva. Questo
capovolgi-mento ci invita a pensare che questo secolo sia la fine dell’antropocene,
come dice Benasayag, ma non ce ne stiamo accorgendo». Come rispondere quindi a
un soggetto che non c’è più? «Il paziente va in terapia – continua – ma è come
se fosse parlato, ed il ritirato sociale è il paradigma di questo svuotamento
di soggettività». Per affrontare questa nuova clinica, è spiegato nel libro, si
è quindi dovuta allargare l’osservazione ad aspetti prima trascurati dalla
psicoterapia, come per esempio l’influenza del contesto sociale e del corpo:
«Tutto questo – conclude Fumagalli – impatta con i nostri corpi, che diventano
sempre più desensibilizzati, con un’attenzione costante all’esterno, al flusso,
all’assorbimento del web, che non ci fa più sentire cosa proviamo, per esempio,
quando siamo in relazione, sia con i dispositivi digitali, sia con le persone.
In terapia, diventa allora fondamentale una domanda: cosa stai sentendo nel
corpo?». Il vero cambiamento potrebbe risiedere, perciò, in un ritorno al
corpo, come una sorta di risposta al tempo in cui viviamo, per cercare «la
singolarità del vivente – dice Benasayag –, contro la potenza infinita della
macchina», in una situazione di possibile ibridazione.
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